COMMENTO
di Sacha Piersanti
«La profondità sta spesso in superficie», sosteneva, parafrasando Hofmannsthal, Valentino Zeichen, e converrà ricordarcelo, questo, qui, ché la poesia di Iolanda La Carrubba nasce e si sviluppa dalla stessa (apparentemente) paradossale consapevolezza, dalla stessa coscienza, cioè, di quanto spesso sia già tutto davanti ai nostri occhi, di quanto anche l’oggetto o dato più insignificante in realtà significhi, e significhi realtà. Senza assoluti da evocare. Realtà. Nuda, viva, vibrante realtà:
Sono fatti confusi oggi,
in perenne rischio
di collisione,
varcano periferie di pensieri,
nevicano negli armadi pieni
e si posano sulle cose
chiuse al sicuro in casa.
(Era oggi)
Da uno “zerbino nuovo” a un “mezzo litro di latte”, dalle “bollette da pagare” ai “fogli / nudi” di Alda Merini, passando per “due lampadine a led”, “una rampa di scale” e il tanto “fumo” che vortica in queste pagine, ogni cosa s’impone all’attenzione del lettore, costringendolo a prendere atto non solo della materia o della consistenza di cui è fatta, ma puntualmente della storia che la riguarda e, inevitabilmente, lo riguarda. Articolata in sette sezioni che mimano nei titoli e nelle forme il progressivo farsi (e disfarsi) di una settimana, a metà tra diario e sceneggiatura, questa Raccolta indifferenziata va infatti a delineare una quotidianità che si finge parziale, singolare, per mostrarsi con più efficacia per ciò che è davvero: contemporaneità condivisa:
Arrestare l’assenza del silenzio,
sbadigliare a bocca piena di niente
e ridere della nevrosi collettiva
accettando di farne parte, pienamente.
(PienaMente)
E “pienamente” è tra le parole più significative dell’intero libro, se La Carrubba sembra scrivere aderendo senza filtri e senza precauzioni alla realtà, alla totalità che la circonda, a costo di rischiare di disperdere la propria identità in quel vortice di tutto. In più di un passaggio, infatti, la volontà di raccontare, o, meglio, di restituire intero e integralmente quel mondo di cose e oggetti che le e ci sta intorno, spinge la stessa autrice a mettere in discussione il proprio sé, a concepirsi cosa-tra-le-cose, svuotandosi di singolarità fino a dubitare della propria stessa esistenza – in un tutto di cose che sono solo e sempre cose, un tutto che è, sta e si appaga del suo stare, senza simboli né misteri da nascondere, persino l’ “io” smette di essere qualcosa di specifico o speciale:
Nell’attesa di niente,
fumo,
ho imposto astinenza ma
niente
la resa non sembra arrivare.
Il corpo vuole fumare,
tossire
e capire se esiste,
veramente.
(Smettere)
Al di là di ogni comunque legittima questione o quisquilia di gusto o di stile, e al di là pure delle tante possibili chiavi di lettura, sta probabilmente in questa diffidenza nei confronti non solo del proprio io, ma dell’io in generale, la forza di questa Raccolta differenziata. Figlia della miglior tradizione “sperimentale” (termine obbligato, ancorché semplicistico e ormai quasi vuoto, alla stregua di quel “postmoderno” che a qualcuno leggendo queste pagine verrà senz’altro in mente), cresciuta a cinema e arte visiva, happening e videoarte, La Carrubba costruisce infatti un libro che è insieme organico e compatto e aleatorio, come aperto, con l’obiettivo di rendere plasticamente tangibile sulla pagina l’inutilità di ogni tentativo di fissare in un’identità una la spinta umana che l’ha informato. Prova ne sia che già nella struttura generale Raccolta indifferenziata sembra denunciare l’insufficienza della spazialità canonica della forma-libro, dando costantemente l’impressione di voler andare oltre se stesso, oltre la pagina, esattamente come l’autrice, che a quest’ “io” che pure deve scrivere (per prassi o gioco di ruolo) sembra guardare come alle sbarre di una gabbia – come all’1-0 di una sequenza informatica obbligata, priva di reale consistenza, senza vera ontologia:
Numero
innocuo sulla carta
1 resta 1
compone addizioni
si sottrae, moltiplica, divide
ma numero
resta innocuo sulla carta.
0 vale 0
non contiene valore
immobile, inoffensivo
resta sulla carta.
(Selezione numerica)
Merito anche di una coscienza ritmico-compositiva e di una massiccia dose di (auto)ironia che le permette di affrontare anche il più disperato dei temi (si legga, per esempio, Di lunedì) con la naïveté di un informale o, perché no, di un crepuscolare (ma se proprio si deve farlo, si vadano a cercare i riferimenti di questo libro in alcune tra le pagine più belle del nostro miglior cantautorato: Gaber e De André, per dirne due, s’affacciano in filigrana in più di un testo), La Carrubba computa versi e prende nota costruendo quella che non sbaglieremmo a definire una sorta di epos domestico, che non solo ci riguarda ma puntualmente ci ritrae. Tra quelle cose e quegli oggetti, tra quelle mura in quella casa, in quelle strade e in quelle liste, ci piaccia o no, ci siamo pure noi. E è la nostra, proprio la nostra, quella “terra di miele e croci” che La Carrubba abita e coltiva.
“Raccolta indifferenziata. Storia, vento e lotta” di Iolanda La Carrubba (Ed. Ensemble, 2024)