Opere Inedite
a cura di Luigia Sorrentino
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Oggi leggiamo Anna Raffaella Belpiede, che scrive di “Nani sgorbi strascicano sulla terra stanchi/ Ovunque soffi rancidi e rancorosi si spandono/ Al di qua dello schermo/ Tutto è penoso”.
Chi saranno mai i nani sgorbi di cui scrive Anna Raffaella?
A noi l’immaginazione. “Mi piace Carver”, scrive ancora, e aggiunge: “La sua materialità mi fa sentire normale”. Ma prima di addormentarsi nel vagoni-lit, Anna Raffaella ha letto Lea Melandri, ed ha capito… “Voi non sapete cos’è l’amore” …
1-Leggendo Carver e Lea Melandri
Leggo Carver, seduta sul divano,
dal balcone il sole ha invaso la stanza.
Ho i piedi a mollo nel bacile.
Carver pensa a Balzac
che, con la cuffia e la camicia da notte,
si è trascinato fino al gabinetto,
buttando da una parte l’orlo della camicia da notte,
dirige un gran getto di piscio.
Non potrò mai dirigere un gran getto di piscio,
posso solo farlo scorrere.
E questa l’Assenza di cui parlano?
Mi manchi.
Mi piace Carver.
La sua materialità mi fa sentire normale
Ho letto Melandri prima
di addormentarmi nel vagon lit:
“al culmine dell’innamoramento il confine tra Io e Oggetto
minaccia di dissolversi”
L’altro giorno ho sentito che potevo sciogliermi.
E ancora Melandri:
ripetiamo continuamente l’Eros
nella forma del rapporto madre/ figlio.
Ho capito mi sono detta
anche questa volta devo voltar pagina.
Perché ho portato a casa questo libro?
Ora ricordo:
“l’assimilazione del corpo femminile al “corpo vile”,
è frutto della nostra storia greco/ romana/ cristiana”
e l’ africana?
Più avanti Lea spiega l’attrazione totale e
ossessiva verso la Donna.
Ho chiuso il libro:
quello che sto facendo è induzione all’attrazione
forse ossessiva!
Una domanda:
Melandri qualche passione se l’è concessa?
Ci ho dormito su tutta la notte, finalmente,
senza pensarti. Athena sorvegliava.
Stamane
stiracchiandomi nel lettino del vagone
si è affacciata l’immagine del tuo viso,
due occhi mi stavano sorridendo.
Un fluido indicibile ha invaso la cabina.
Mi manchi
Ora, sul divano, i piedi a bagno, il sole in faccia,
ho spento il telefono, il computer.
Desidero silenzio.
Non fuggo, ma ho chiuso con l’Assenza.
” Voi non sapete cos’è l’Amore”
***
2- Immobile
Ti ho visto. Immobile. Il corpo senza vita
la testa fasciata composto ul letto
Le viscere mi salivano fino alla gola
Il vortice Immobilizzata Era finita
Il Suo strazio serrava il mio dolore
come il marmo sul sarcofago
seppelliva ogni emozione
Mi hanno trascinata lontano. Poi il vuoto
Per anni i segni della tragedia:
il volto affilato duro scialbo
la piega rigida della bocca
il vuoto degli occhi
Il pianto seppellito sotto le Sue urla
nel chiuso di quella stanza buia
Lei seduta su quella poltrona
a fianco della consolle che ho ereditato
già… me le ero guadagnata
Accoccolata dietro quella porta
ad attendere che Lei rientrasse (alla vita)
In punta di piedi silenziosa
qualche incursione:
” vattennnnn”,
ricacciata dal grido dei suoi rifiuti
Poi un giorno finalmente sono penetrata
accucciata ai suoi piedi. Fedele.
Mi aveva accolta:
il primo segno di ritorno alla vita
Io, la disperata, diventavo il suo bastone.
L’Oggetto dell’Amore di Lui diventava il mio
aggrappata a lei per combattere l’orribile spirale
che mi risucchiava nel vuoto
Sei sparito. Tu, lo sguardo dell’Amore,
mi avevi abbandonata,
a nessun altro potevo concedermi
Assumevo il Tuo Amore per Lei
rimosso sei stato
come il dolore che non aveva potuto scorrere
“Per fortuna non c’è, non mi avrebbe concesso la libertà”
dicevo a 20 anni
Di quale libertà parlavo?
La libertà di fuggire
e, rompere, con il Karma genealogico?
***
3-Tempi bigi
Nani sgorbi strascicano sulla terra stanchi
Ovunque soffi rancidi e rancorosi si spandono
Al di qua dello schermo
Tutto è penoso
***
4-Alle mie figlie
Mi sveglio anche oggi
inquieta irrequieta
E’ settembre
il mese del trapasso dell’inizio
non dormo più
Il vento mi innalza
i piedi non sono più ancorati alla terra
Canto
di nuovo cerco la penna il quaderno:
è un ossessione
E’ domenica
il mio giorno di pace ma non c’è pace
ho perso la bussola
i polmoni scoppiano
Lei non io padrona
la sigaretta
La madre si è ritirata
l’adolescente incalza:
caos inquietitudine
Ho perso la bussola
basta poco tutto è saltato
Settembre
mese di trapasso mese di inizi
Passioni
eterno richiamo della mia anima
inutili insensate
passioni da plasmare
La danza ha ripreso il ritmo e non si ferma
Piatti sporchi da lavare
disordine
aumenta il mio aumenta il loro
ci rispecchiamo
So
vi è mancata la calma quiete
di chi vi accoglie silenziosa
la pacificante cura di
chi vive all’ombra di qualcuno
Dura emergere per voi
sulla strada già segnata dall’Altra
lo specchio è invaso
rompetelo!
abbiatene la forza
l’ho fatto anch’io
Lei occupava tutta la scena
calpestate anche voi altre strade
non le mie
***
5-La soglia
Hai varcato tu la soglia
mi hai cercato
ero tranquilla
Affascinante!
per me era lavoro solo lavoro
ti avevo notato non eri alla mia portata
sono rimasta lì sulle mie carte
sei stato raffinato
tu che come le api
cogli di fiore in fiore
hai toccato un altro violino
seduzione intelligente
avevi colto ero sensibile
Hai varcato tu la soglia del mio nido
nido di vespe di lottatrici “intelligenti”
Ti ho riaperto l’uscio
vola
voglio essere scelta
***
6-Frammenti
Mi succede di perderti,
l’anima arresa
non intravede futuro,
l’angoscia sale.
Allora mi ritiro scompostamente,
e, come una risacca,
attendo che tutto si quieti.
Detriti,
frammenti di un discorso amoroso,
mi recingono e mi assalgono.
Fantasmi.
La prima volta mi hai scelto,
ed ora?
***
7- Alla madre
Il porto, l’ancora che ripara
dai marosi di questa vita
Lo specchio in cui mi rifletto
Il sorriso che dissolve ogni affanno
Il mio desiderio si proietta come ombra lunga
su di loro
Non darmi pena del tuo
Non voglio conoscerti intera, desiderante
Un giorno i frammenti rimossi risaliranno
Ci rincontreremo
***
8- Come la prima volta
Sospiri
in attesa dell’eterno immaginifico delirio e
non ti concedi un attimo fugace
del presente
***
9 – I terreni ardui e scoscesi del Paradiso
Il monologo di Eva
“Melma”
quella materia che ti ha plasmato
che ci rende umani e divini
l’antro da cui un giorno sei emerso.
il vortice che annulla ogni anelito
la materia bruta dei corpi
che ci rimescola nel magma.
L’attimo
abbagliato riflesso dell’eterno
Melma
“lei è la dolce mela, che s’arrossa in vertice di ramo,
vertiginosa, in vetta,…”
che rinasce dai suoi semi marciti
per coglierla bisogna ridiscendere nel fango
e non aver paura delle vertigini.
***
Nato di Donna
Arduo ridiscendere nel gorgo della melma da cui fosti partorito
e risalire a limpide altitudini.
Paura di essere risucchiato.
***
Maria Maddalena e la rottura dell’imene
Per te romperò il velo nuziale che mi avvolge
Ora so che scenderò nei bassifondi
Solo da quella sponda potrai ritrovare il mio respiro,
il respiro della vita.
***
Come Teresita
Io mi accompagno con te in eteree sfere
là dove la gioia pervade ogni cosa
e la bimba che è in me ti allieta
In quei luoghi le mie tenerezze risanano
colmano i vuoti e allentano gli affanni
Ivi mi è concesso specchiarmi e chiamarti Amore
***
10- In principio c’era Dio
Emozioni vibrazioni profonde
che ci consentono di attraversare
le onde di questo mare
torbido tempestoso piatto
vibrazioni sepolte nel nostro intimo
da quando Aristotele ci indicò
la strada, ci siamo “elevati”
la ratio maschile ha dominato
Distante la terra
le sue multiple energie sono sprofondate
in pesanti coltri
Trasformate in vulcani
scuotono periodicamente il mondo
immiserito
dei sorrisi mancati, delle emozioni non palesate
il loro mondo
E noi, vestali dei turbamenti e dei moti dell’anima,
ricacciate nell’intimo, nel privato
“Dietro un grande uomo una grande donna”
il talamo continua a dettar legge sommersa
La terra è distante soffocata da manti di nubi
Paura del femminile che alberga in tutti noi
In principio c’era Dio
l’Unico il Solo
Femmina e Maschio
Completo
poi ci ha creato e con esso
la nostra peregrina dualità
Custodi, oggi colte, di questa profonda
disarmonia
sosteniamo il loro svuotamento
Madri onnipotenti conniventi
il loro femminile abbiamo inglobato
non possono più emozionarsi se non marchiati
Ora nel pubblico ci arroghiamo il loro maschile
la forza femminile non apre nuove strade
nuovi orizzonti
Com’ è tortuosa, dolorosa la strada del ricomporre
le nostre identità duali mentre
lo stagnante, il già detto, avanza
Dicono che la saggezza stia solo
nell’accogliere ciò che siamo
nel dialogo con l’alterità interna ed esterna
non giudicante
Fragili siamo
liberati i soffi vitali forse a qualcuno
potrà giovare
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Maria Raffaella Belpiede. E’ nata a Cerignola in Puglia, vive e lavora a Torino. Madre di due figlie. Sociologa, formatrice ed esperta in mediazione culturale e dei conflitti. Lavora presso le Biblioteche civiche di Torino dove è responsabile della progettazione e dell’intercultura. Autrice di numerosi articoli sulle tematiche interculturali, ha curato i seguenti saggi: “La mediazione culturale” (Utet libreria, 2002), ” La professione di mediatore/trice culturale. Ricerca comparata sulle tipologie concettuali e pratiche di utilizzo della risorsa immigrata in campo sociale nell’area dell’intercultura” (Associazione Alma Terra di Torino, Regione Piemonte, 1999) e “Midab. I fili spezzati della seconda generazione e la sfida del protagonismo”(Città di Torino, Commissione Europea, 2001).
Ha pubblicato la raccolta di poesie: “L’Amare delle donne” edizioni Lieto Colle 2011 collana Erato.
Questa poesia piace, ma trovo che la bilancia penda troppo dal lato dell’intelletto/sentimento e poco da quello del canto.