E’ in libreria Figura Solare di Nicola Vitale, un rinnovamento radicale dell’arte, Inizio di un’epoca dell’essere Ed. Marietti, 2011 (€. 25,00).
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PREFAZIONE
di Maddalena Mazzocut-Mis
Caro Lettore,
il lavoro che ti accingi a leggere non è solo frutto di una ricerca o di una riflessione. È piuttosto teoria applicata; è tecnica che diventa teoria. Il testo “parla” all’epoca attuale e nasce nell’attualità della pratica artistica; apre a questioni legate alla sensibilità e al sentimento, prima ancora che alla ragione; apre alla tecnica artistica prima ancora che all’estetica; supera la morte dell’arte, delineando un’arte solare che, lontano da essere un manifesto d’arte contemporanea, è ricerca di una coerenza di senso, a partire da un percorso artistico ad ampio raggio – una irradiazione solare – per diventare o essere prima di tutto pratica artistica.
Della figura solare l’Autore disvela ordito e trama e, da un’aderenza istintiva (quanto genio c’è nell’istinto!) a idee che erano sostrato comune a diversi artisti – così Vitale racconta, facendo dell’autobiografia un percorso di ricerca -, diventa proposta di prassi poetica e di interpretazione estetica.
La pratica artistica non è sempre facilmente teorizzata dagli stessi suoi attori, al di fuori di essenziali e a volte toccanti analisi legate alla poetica; eppure Nicola Vitale esce dal campo della teoria delle arti per addentrarsi nel dominio estetico, affrontando percorsi storico-filosofici non facilmente sradicabili da pericolose ideologizzazioni, individuando proposte estremamente vivaci che vanno nella direzione di un vissuto radicato e documentato, fino ai vasti universi delle “differenze” tra artista e artista, nel momento in cui l’arte, prima tra tutte le espressioni dell’uomo, non può presentarsi come unitaria o monolitica. L’avvertenza dello stesso Autore è del tutto chiara: «questo scritto è dedicato all’esperienza concreta della pittura, argomento che tuttavia non può prescindere da un discorso generale sull’Arte». Il testo non tradisce mai questa premessa.
Che cos’è quindi l’arte, proprio nel momento in cui nessun Autore contemporaneo si sentirebbe in grado di dare una risposta che si discosti molto da un generico “tutto ciò che si autodefinisce tale”? Il percorso intrapreso è lungo, estremamente articolato e coinvolge tutta la storia dell’arte occidentale alla luce del nietzscheano binomio apollineo-dionisiaco, cogliendo le fasi in cui tali impulsi confliggono o si riconciliano.
Eppure il peregrinare nella storia dell’arte non è affatto un errare, ma un netto percorso che porta l’Autore a individuare nella contemporaneità due figure di svolta: Edward Hopper e Balthus, artisti che hanno saputo raggiungere una personale reinterpretazione dell’apollineo e del dionisiaco, mettendo in gioco tensioni oppositive e arrivando, più che a una sintesi dei contrasti, a una loro vivificazione assolutamente organica.
Percorso complesso, quello del testo, nel momento in cui esso diventa vivo proprio per i continui rimandi e confronti tra artista e artista, in un perenne avvicendarsi di analogie e differenze. Mai pura e semplice lettura di prassi applicative, il testo si fa via via più coinvolgente. Matisse, Modigliani, Morandi, De Chirico, ecc. diventano compagni di strada, senza indicarla, tuttavia, perché quella dell’Autore vuole essere una via originale.
Hopper viene letto come creatore di atmosfere, che diventano per Vitale esercizio interpretativo che è tanto un dare quanto un ricevere; atmosfere che non vanno mai del tutto destoricizzate; che diventano ritmo e spazio, distanza vissuta e prossimità emotiva.
Balthus e Hopper sono un ‘antico’ che si rinnova, nel senso che la loro capacità atmosferica è tensione verso “un’essenza atemporale”. Un’esperienza estetica che Vitale rimanda a quell’unità nella varietà che ha veramente forgiato l’arte nei secoli e ha rappresentato al contempo una sintesi teorica mai eludibile. Il mondo atmosferico di questi artisti è processo sensibile e nello stesso tempo è qualcosa di perpetuamente mutevole. Perciò, proprio dove poetica ed estetica si incontrano, Vitale opta giustamente per la poetica, scrivendo «è necessario uscire dall’ambito filosofico di un’eventuale riflessione su cosa sia l’arte e il bello, per lasciarsi orientare dall’esperienza diretta di una conoscenza pratica». In ciò non solo l’arte guadagna «migliore efficacia», ma le stesse descrizioni del lavoro degli artisti, dei quadri, delle tele, dei colori e le analisi teoriche si fanno ‘tecnica’ che prescinde da una stretta visione contenutistica. Il pensiero di Vitale, partendo da esempi specifici, compie un’astrazione la quale, lontano da un’arbitraria fantasticheria, è analisi di un indeterminato o di un indicibile (siamo vicini al simbolico), che è nello stesso tempo disciplina originaria, forma di mediazione visiva, rigore cioè tecnica nel senso più nobile. Ecco perché Hopper e Balthus diventano alchimisti, dove per alchimia, s’intende «quella pratica sapienziale dalle origini ancestrali che accompagna sotterraneamente la cultura occidentale sin dalle origini»; è «modo di raggiungere un senso esistenziale profondo nella congiunzione degli opposti».
La via alchemica allora risponde, passando per la figura solare e chiudendo il cerchio, alla domanda: che cos’è l’arte? La radice di questa risposta si irradia tra la fine degli anni Settanta e i primi anni Ottanta del Novecento, «quando alcuni artisti europei riprendono a dipingere in modo ‘tradizionale’, avvicinandosi alla conoscenza diretta dalla pittura degli antichi maestri, tuttavia rinnovandone radicalmente i presupposti». Ci si avvicina così alla conclusione del testo che di nuovo tratteggia svariati orizzonti attraverso le analisi dei lavori di Salvo, Jan Knap, Milan Kunc, Peter Angermann, Luigi Ontani, Helgi Friðjónsson, Lorenzo Bonechi. Sono immagini a vario titolo legate alle illustrazioni per l’infanzia, a una certa iconografia popolare cristiana, a stereotipi, a momenti di cultura “bassa”, il tutto ricreato sulla base di una tecnica che si fa sapienza antica e insieme tratto sicuro e limpidezza; i contenuti ingenui, immediati o popolari, di una saggezza arcaica, diventano energia ‘dionisiaca’ e si fanno sentimento spazializzato. Ci si dispone, di fronte a questi artisti, a una per¬cezione affettiva e proprio-corporea che ha immediate conseguen¬ze valutative ed espressive, ma la cui spiegazione va ricercata proprio nelle parole dell’Autore.
Che cos’è allora l’arte? È una figura solare che si fa mito e si fa archetipo attraverso il lavoro di questi artisti. È arte che nasce da uno stupore, anche ingenuo, nel senso di ‘puro’ e originario. Un affinamento della sensibilità e un ampliamento della percezione, attraverso una tecnica viva, ricettiva e generosa. La stessa tecnica che Nicola Vitale sperimenta tutti i giorni, con i suoi colori, le sue forme, in stretto contatto con quella superficie del quadro che diventa vivente e palpitante.
(Maddalena Mazzocut-Mis)
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Un libro che offre, in un momento di cambiamento una visione nitida e convincente di quanto sta accadendo nell’arte visiva, ponendo in modo deciso l’ipotesi di un svolta epoca le in atto. L’autore affronta questi temi alla luce della sua esperienza trentennale, dando spazio ad ampie digressioni che rendono il discorso accessibile anche a un pubblico non specialistico. La conoscenza approfondita della pittura ha permesso all’autore di trovare un collegamento rivelatore tra quanto elaborato da alcuni artisti indipendenti del panorama internazionale, affermatisi negli anni Ottanta, e il pensiero filosofico postmoderno, che si interroga sul destino delle arti, ne cerca il valore originario di strumento reintegrativo per un riavvicinamento all’unità dell’essere. Il percorso è dunque destrutturante: dalle cristallizzazioni intellettuali in cui si è arroccata l’arte del Novecento, si sciolgono lentamente i dilemmi di un’estetica che sembra arrivata a una sorta di punto finale.
L’arte nuova, individuata da Nicola Vitale, dopo le premesse di Hopper e Balthus, nell’opera di Salvo, L. Ontani, J. Knap, M. Kunc, P. Angermann, H. Friðjónsson e L. Bonechi, ritrova il valore estetico originario, rimettendo in campo quell’aspetto dimenticato di pathos ritmico, di empatia sensibile e forza trascendente della visione che ritroviamo ad ogni rinascere ciclico dell’arte, che si manifesta in intensità e splendore dell’immagine. In questo passaggio epoca le che si rinnova si abbandona l’idea di un’arte che vuole descrivere o denunciare una realtà che ha perso consistenza e senso, privilegiando invece l’aspetto di disciplina in grado di coltivare una nuova realtà spiritualizzata, all’insegna della riunificazione della coscienza. Una solare gioia di vivere in cui sono uniti e trasfigurati stereotipi della figuratività popolare, elementi drammatici e strutture astratte del nostro tempo, proiettati in una più ampia prospettiva esistenziale.”
(Leggi l’introduzione e il primo capitolo su www.figurasolare.it)
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Salvo (Salvatore Mangione) è nato nel 1947 a Leonfonte, nella provincia siciliana di Enna, e risiede a Torino. Ha raggiunto notorietà internazionale già negli anni Settanta, con mostre in importanti gallerie e musei in Italia, Francia, Germania, Olanda e Stati Uniti, così come gli sono state dedicate diverse mostre antologiche in Europa. E’ stato invitato alle edizioni del 1976 e 1984 della Biennale di Venezia e nel 1972 alla rassegna Documenta 5 di Cassel. Nel 2007 un’importante retrospettiva al GAM di Torino (Galleria Civica di Arte Moderna). E’ oggi uno dei più noti pittori italiani.
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Jan Knap è nato nel 1949 a Chrudim nell’odierna Repubblica Ceca, trasferitosi in Germania nei primi anni Settanta, frequenta l’accademia di Düsseldorf sotto l’insegnamento di Gerhad Richter. Nel 1979 fonda con Milan Kunc e Peter Angermann il Gruppo Normal. Partecipa alla XI Biennale di Parigi. Negli anni Ottanta espone con gallerie di rilievo in Germania, Italia e Stati Uniti. Gli sono state dedicate mostre antologiche in Europa. Oggi è un artista riconosciuto a livello internazionale.
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Milan Kunc è nato a Praga nel 1944, dove tuttora vive, si trasferisce nel 1968 in Germania per seguire le lezioni di Joseph Beuys e Gerhard Richter all’Accademia di Dusseldorf. Sono gli anni del Gruppo Normal con Knap e Angermann. Partecipa alla XI Biennale di Parigi. Negli anni ’80 raggiunge notorietà internazionale esponendo in note gallerie in Germania, Olanda, Stati Uniti e Italia. La sua opera è presente in importanti musei europei.
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Peter Angermann, nato nel 1945 a Reehau in Baviera, terzo componente del gruppo Normal, ha condiviso con Knap e Kunc negli anni Settanta l’esperienza all’accademia di Dusseldorf sotto l’insegnamento di Joseph Boys. Da metà degli anni Settanta espone prevalentemente in Europa. I suoi dipinti sono in permanenza in musei in Germania e in Italia. Dal 1996 al 2002 ha insegnato pittura alla Städelschule di Francoforte, e dal 2002 al 2010 all’Academy of Fine Arts di Norimberga.
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Luigi Ontani è nato nel 1943 vicino a Vergato, un paese della provincia bolognese in Italia. Il suo lavoro, versatile e poliedrico, spazia in tutte le modalità espressive dell’arte visiva. Artista noto in Italia e all’estero, da più di trent’anni espone assiduamente in gallerie private e spazi pubblici di rilievo, così come gli sono state dedicate diverse mostre antologiche. La sua opera è in permanenza in musei di rilievo internazionale. E’ stato invitato alla Biennale di Venezia nelle edizioni del 1972, 1978, 1984, 1986 e del 2004, e in importanti rassegne internazionali.
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Helgi Fridjónsson è nato nel 1953 a Budardalur, un paese nel nord ovest dell’Islanda, Partecipa alla XLIV Biennale di Venezia del 1990, Padiglione Islandese. Espone in mostre personali e collettive in vari paesi europei. La sua opera è presente in diversi musei del Nord Europa. Nel 2005 il National Museum of Iceland di Reykjavik gli ha dedicato una grande retrospettiva.
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Lorenzo Bonechi nasce nel 1955 a Figline in Valdarno, frazione della provincia di Firenze, e scompare prematuramente nel 1994, all’età di trentanove anni. Raggiunge notorietà negli anni 80 in Italia e a New York, dove espone alla Galleria Sperone Westwater. I suoi dipinti sono stati presentati alla XLVI Biennale di Venezia del 1995. Nel 2005 è stata realizzata a Palazzo Strozzi a Firenze una grande esposizione di tutta l’opera.
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Nicola Vitale è nato a Milano, dove vive, nel 1956. Pittore e Poeta, i suoi dipinti sono stati esposti dal 1987 in mostre personali e collettive in Italia, Svizzera, Stati Uniti e Islanda. E’ stato invitato alla 54° edizione della Biennale di Venezia (Padiglione Italia).
Ha pubblicato: La città interna (Guerini e Associati, 1991); Progresso nelle nostre voci (Mondadori, 1998); La forma innocente (Stampa, 2001); Condomino delle sorprese (Mondadori, 2008; Premio Rhegium Julii 2009, Premio Laurentum 2009). E’ tradotto in albanese e spagnolo. E’ presente nell’antologia Poeti italiani del Secondo Novecento a cura di Maurizio Cucchi e Stefano Giovanardi (Mondadori, 2004). Ha pubblicato articoli di critica e di estetica e ha tenuto conferenze sull’arte visiva in centri culturali e in sedi istituzionali. Dal 1991 è docente dei corsi di pittura organizzati dall’Unicredit.