Quarantadue anni, una vita dedicata alla poesia e al suo paese, il Tibet. Tsering Woeser con le parole ha lavorato da sempre, per affermare il suo pensiero e per creare arte. Internet l’ha aiutata a farsi conoscere ma ora si trova stretta nelle maglie della censura, ufficiale e non.
Vive a Pechino dal 2003 e le autorità cinesi dimostrano di non amare il suo lavoro: i suoi blog sono stati già censurati, i suoi libri vietati e recentemente, accusata di eversione per aver parlato ai giornalisti occidentali e per aver diffuso cronache sulle repressioni subite dai tibetani, è stata vittima di un attacco di hacker nazionalisti al proprio account Skype, al quale non riesce più ad accedere.
Tsering Woeser è nata nel 1966 a Lhasa, regione autonoma del Tibet, dove suo padre era soldato dell’Esercito popolare di liberazione. Come figlia della Rivoluzione culturale, è stata cresciuta ed educata interamente in lingua cinese e non ha mai imparato a leggere o a scrivere nella lingua nativa tibetana. Ironicamente, è questo che le ha permesso di diventare una voce così influente. Si dice che sia la prima tibetana ad aver giocato un ruolo pubblico di intellettuale in Cina.
Tsering Woeser ha studiato letteratura cinese al Southwest Nationalities College di Chengdu, provincia di Sichuan e ha iniziato la sua carriera professionale come reporter del Ganzi Daily, quotidiano della provincia tibetana di Kham (oggi provincia di Sichuan). Nel 1990 è diventata redattrice del Lhasa-based Chinese-language literary journal of Tibetan Literature. Questo è stato l’inizio del suo risveglio politico, ha iniziato a scrivere poesie e a leggere libri stranieri critici verso il governo cinese arrivati clandestinamente in Tibet.
Il suo primo libro, una raccolta di poesie, fu pubblicato nel 1999 e presto divenne un’acclamata e prolifica scrittrice in lingua cinese. Nonostante la sua educazione, la formazione giornalistica e l’esperienza letteraria, Tsering Woeser divenne membro del “Tibet’s Chinese Writers’ Group”, una piccola elite letteraria di tibetani che scrivono in lingua cinese.
Le autorità cinesi le impediscono di recarsi all’estero, è stata più volte fermata e sottoposta agli arresti domiciliari. Continua a scrivere dal piccolo appartamento di Pechino in cui vive con il marito, lo scrittore Wang Lixiong, utilizzando Internet e pubblicando i suoi libri a Taiwan.
E’ un personaggio scomodo. Narra nelle sue poesie del coraggio e delle lotte del suo popolo e ha raccontato gli avvenimenti che hanno interessato nel 2008 il Tibet: le rivolte per l’indipendenza, il giro di vite sui controlli nella capitale del paese. Vicende che riescono a sfuggire alla censura e alla mancanza di giornalisti sul luogo solo grazie a foto e frasi rubate da semplici cittadini e diffuse grazie alla rete, a Twitter, ai portali per la condivisione di video; quando è possibile, visto che per esempio YouTube non è accessibile dalla Cina. Solo brevi e travagliate testimonianze delle rivolte e delle repressioni che riescono ad aggirare la censura.
La situazione in Tibet
Il monastero di Kirti nel Tibet Orientale teatro di altre autoimmolazioni da un anno circa è il luogo più caldo della resistenza tibetana in questo momento. L’ultimo a immolarsi, il monaco tibetano di 18 anni. Il suo nome è Gete: è la ventissettesima vittima censita dal 2009.
Un fenomeno che ha avuto inizio il 27 febbraio del 2009 a Ngaba: il primo ad immolarsi è stato Tapey di 24 anni, monaco di Kirti.
Dal 27 febbraio 2009 al 16 marzo 2011 non ci sono più state autoimmolazioni perché i mesi di febbraio e di marzo sono 2 mesi critici perché coincidono con il nuovo anno tibetano e con l’anniversario dell’insurrezione di Lhasa del 10 marzo 1959. La Cina in questo periodo inasprisce le misure repressive e di controllo sui tibetani i quali manifestano la loro protesta verso l’occupante con varie modalità tra cui le autoimmolazioni (il bruciarsi vivi), oppure protestano gridando slogan indipendentisti (inneggiano l’indipendena del Tibety) mostrando foto del Dalai Lama che sono vietate in Tibet, tutti quelli che si sono bruciati lo hanno fatto gridando per la libertà del ibet e per il ritorno del dali lama in Tibet.
Il Dalai Lama vive in esilio in Inda dal marzo del 1959
Sono riprese dal 16 marzo 2011 e con un ritmo sempre più incalzante, all’incirca una ogni settimana.
Il problema mai risolto del Tibet non ha trovato da parte di Pechino nessuna diponibilità al dialogo, e le proposte moderate del Dalai Lama non hanno mai trovato risposta. Le richieste del Dalai Lama sono quelle di proporre il dialogo con le istituzioni cinesi affiché il Tibet (e i tibetani) raggiungano un’autonomia ‘genuina’ dalla Cina, sancita anche dalla costituzione cinese. La mancata risposta a queste richieste moderate è la causa principale del grado di esasperazione che ha portato ai suicidi.
Il Dalai Lama non incoraggia tali forme di protesta, ma prova un sentimento di grande ammirazione per il coraggio dimostrato dai giovani monaci che si immolano che lui chiama ‘eroi martiri’.
(I dati sono dell’Associazione Italia Tibet, il principale gruppo di supporto Tibet in Italia).
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[flv]http://www.rainews24.rai.it/ran24/clips/2012/03/luigia2_13032012.mp4[/flv]
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Tsering Woeser è l’esempio di quanto i tibetani, anche con una prospettiva di vita facile e prospera conformando alla società cinese, riconoscano comunque la brutalità dell’oppressione cinese. Scelgono la via della verità scomoda e dolorosa per il sogno comune di vivere in libertà e nel rispetto dei diritti umani
La lotta del popolo Tibetano contro la regime cinese è la lotta della non violenza contro la violenza, la spritualità e materialismo, tra verità e menzogne, tra valore universaledella compassione contro psicosi di supremazia della razza cinese Han. La non violenza e la verità trionferà. ma la vittoria arriva prima se il mondo civili non ignora il Tibet.