In memoria di te,
Margherita Guidacci (e Luigi Baldacci)
a cura di Luigia Sorrentino
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Essere là, più avanti
di Luigi Baldacci
A pensarci bene, al di là dei modi espressivi, è la deflagrazione dei contenuti che ci colpisce, cosa di cui la Guidacci (nella foto di Dino Ignani) ha avuto coscienza chiarissima, come risulta dalle pagine di Ragion Poetica che furono da lei affidate all’antologia della poesia italiana contemporanea che Spagnoletti pubblicò nel 1959. Sono pagine che si aprono con un intensissimo ricordo: un’intermittenza, un’epifania, una sensazione subliminare. La bambina sta accanto alla nonna e a un tratto avverte che lei e la nonna sono lo stesso fluire di uno stesso nulla che va verso l’acqua dell’identità ( quest’idea dell’acqua la raggiungiamo noi oggi pensando al fiume che si apre in mezzo alla strada). Ma poi seguono altre informazioni, anche più interessanti: quella, per esempio, inerente “l’amore di chiarezza” che fu quasi uno scandalo nella Firenze ermetica degli anni Quaranta ma non per polemica: anzi c’era nella giovane allieva di di De Robertis una gran voglia di assimilare quei modi, solo che il risultato era tutt’altro.
“Avevo capito – scriveva la Guidacci – che i miei interessi erano soprattutto di contenuto. Che le parole per me valevano per il loro senso ordinario e corrente, di scambio, non per un soprassenso demiurgico che le isolasse dal resto del linguaggio – e che la mia ricerca, qualunque potesse essere la sua portata e il suo approdo, avrebbe dovuto svolgersi in un accostamento drammatico di significati anzicché in un accostamento magico di suoni.”
Questa è la difficile condizone della poesia di Margherita Guidacci: essere là, essere più avanti. E lo è ormai da oltre trent’anni, con una quasi stupefacente tenuta di fronte a ogni contingente tentazione: dalla sua resistenza istintiva alla cultura ermetica, che pure era una grande cultura, all’inattaccabilità nei confronti di ogni sperimentazione.
E’ raro che un poeta della generazione della Guidacci sia del tutto refattario, oggi, all’esempio di Zanzotto; la Guidacci lo è. E la stroria è fatta anche di queste resistenze negative, nei confronti di fatti che, comunque si voglia valutarli, hanno un’indiscutibile portata.
Giuseppe De Robertis parlava spesso della poesia della Guidacci in termini ammirativi, con una sola riserva che però riguardava la persona: la Guidacci era superba. La Guidacci, per chi la conosca, non è affatto superba; ma era comunque un modo di cogliere con acutezza la diversità di quella voce, la sua capacità ad accordarsi.
Da: Poesie d’amore, L’assenza il desiderio, Le più importanti poetesse contemporanee presentate da trentasei critici, a cura di Francesca Pansa e Marianna Bucchich, Newton Compton Editori, 1986
Il problema è sempre aperto: privilegiare il contenuto o la forma, la parola, il ritmo; privilegiare la “chiarezza” o l’ermetismo.
Szymborska o Luzi, per fare due nomi. Credo che la poesia non possa rinunciare al contenuto e a un linguaggio in cui le parole siano “mirate al massimo potenziale di espressività” e la forma al massimo ritmo ottenibile.
Era il 1988 anno in cui Margherita Guidacci era qua al ‘Camaiore.’ Una cinquina in quell’edizione tra le più significative targate anni ’80. Oltre alla sublime Margherita: Nelo Risi, Italo Alighiero Chiusano, Alberico Sala, Mario Dell’Arco. Ricordo lei sul palco del Cavalluccio Marino al Lido declamare le sue poesie con una forza e un trasporto che affascinavano il pubblico. Sono riferimenti grandi poeti come la Guidacci, che hanno segnato intensamente il ‘900, e che oggi e domani é necessario rivisitare. Rosanna Lupi segr. Pqremio Camaiore
Margherita Guidacci è una poetessa straordinaria e dimenticata, grande più di tutte le autrici di poesia novecentesca. A venticinque anni scrive versi solenni e sapienziali come versetti biblici (La sabbia è l’angelo, 1946), a sessanta compone straordinarie poesie d’amore (Inno alla gioia, 1983). Rappresenta con vivida spietatezza le angosce della malattia mentale (Neurosuite, 1970), riassume nelle stazioni di una particolare Via Crucis le tappe remote e recenti del calvario della nostra storia (Via Crucis dell’umanità, 1984). E ancora, scrive intensi e brevi conponimenti in forma di haiku (Una breve misura, 1988), celebra tutto il dolore dell’attentato alla stazione di Bologna (L’orologio di Bologna, 1981) e scrive di mare e di santi, di antiche Sibille, di intricati dipinti e poi di anniversari, di episodi biblici, ma anche di problemi ambientali, sempre servendosi di un verso limpido e intenso, sempre fedele ad una poesia di denso significato, dove si coglie tutta la forza di una tensione alla trascendenza, sospinta dalla sua compatta e fervida religiosità:
La mia testa sulla tua spalla e la lucciola nel grano.
La mia anima nel tuo respiro e il mare nella conchiglia.
Ogni stella nel cielo, ogni uccello sul ramo,
il nostro amore e la notte e l’universo e Dio…
Mario Mastrangelo