Bruno Conte è un giovane poeta, e anche un ottimo critico di poesia. Ha diciannove anni e vive a Torre del Greco.
Nel 2010 si è iscritto alla Facoltà di Lettere e Filosofia all’Università Federico II di Napoli.
Bruno Conte è anche un calciatore (chiunque lo voglia conoscere sotto il profilo sportivo, può trovare in rete le informazioni necessarie). Bruno ha coniugato in sè il famoso motto latino di Giovenale: “Mens sana in corpore sano”. Per Bruno “il poeta d’oggi deve essere un atleta, allenato alla corsa del mondo. Deve compiere uno slancio. E la parola, la sua voce deve immergersi nella bellezza e nella mutevolezza del mondo. In questo modo, forse, si potrà ‘reinventare una speranza’ “, scrive Bruno Conte citando il poeta francese, Yves Bonnefoy.
Bruno Conte non ha fretta di scrivere e pubblicare poesie. Sa bene che ogni qualvolta si tenti di rappresentare con le parole ‘l’intima essenza del poeta’ si dispone di mezzi del tutto provvisori.
Bruno Conte ha già letto Rilke, che gli ha detto: “Si interroghi sul motivo che le intima di scrivere; verifichi se esso protenda le radici nel punto più profondo del suo cuore; confessi a se stesso: morirebbe, se le fosse negato di scrivere? Questo soprattutto: si domandi, nell’ora più quieta della sua notte: devo scrivere? Frughi dentro di sé alla ricerca di una profonda risposta. E se sarà di assenso, se lei potrà affrontare con un forte e semplice «io devo» questa grave domanda, allora costruisca la sua vita secondo questa necessità. La sua vita, fin dentro la sua ora più indifferente e misera, deve farsi insegna e testimone di questa urgenza. […]”
“La poesia è una richiesta. La poesia ti nomina. Unisce e divide. Misura e sconfina. Ti stringe le mani. La vera poesia giunge a piedi scalzi, senza artifici: è un atto incondizionato d’amore. Ti sorregge. Ma si badi: la poesia bisogna coltivarla con cura. Deve sbocciare quando è matura, senza fretta. Nei suoi geni deve ricordarsi di ieri, capire cosa è stato realmente detto e ricavarne l’essenzialità.”
di Bruno Conte
L’arrivo è lontano,
un fragore distante
falcia il presente
“Bestia di gioia” di Mariangela Gualtieri (Einaudi, 2010)
<<“Ogni frutto \ stringe il seme come giurando. \ Cadendo giura e in forma di radice risponde \ alla terra che chiama. Alla terra che canta \ la promessa infinita. C’è solo vita \ niente altro. Solo vita”. Questa poesia è tratta dall’ultima raccolta di Mariangela Gualtieri “Bestia di gioia” ( Einaudi, € 12,00 ). Sin dalle prime liriche del testo si può intuire l’acutezza della parola che diviene voce spiegata e respiro profondo. “Il poeta deve farsi sacerdote,deve fare il sacro” sottolineava l’autrice in una delle sue tante interviste, riprendendo una citazione di Ungaretti. Ebbene, in questo libro la Gualtieri si rende sacerdote . La sua poesia, appunto, è un canto che richiama il sacro ed evoca i dettagli e in questi dettagli fa risiedere l’origine, che sia di un fiore, di un mattino o di un “niente più grande” non importa poiché : ” Tutto è uno che cresce \ che muore. Che felicità”. In “Naturale sconosciuto” , prima delle cinque sezioni del libro, sussiste un forte contatto con la Natura fino a raggiungere un carattere pressoché panico e riverberante. Ma tutto questo risulterebbe impossibile senza la conoscenza e la pratica di un culto : il silenzio. Parola cara alla Gualtieri, il silenzio non è solo “la lezione più grande” o lo strumento che “incendia le ore” ma è soprattutto una necessità per giungere all’amore e alla gioia. Diversamente agisce il tempo. Si veda l’esordio di “Un niente più grande” : “Tante cose da fare \ e mai il tempo lento \ si sdraiava ai suoi piedi”. Tuttavia, non c’è una fine assoluta. E come il tempo “sarà decapitato”, anche il Tutto, così largamente nominato nel libro, “scolora e torna”. Appare dunque inconfutabile il tono mistico dell’opera contraddistinto da un linguaggio classico e armonico. Si notano pure le frequenti cesure del testo che indicano di prestare attenzione ad ogni singola parola : “Piangono. Ogni tanto.” Lo scavo profondo dentro le vertigini e le richieste dell’animo si completa – non esaurendosi – in “Sponda degli insonni” e in “Per solitario andare” dove si assiste tra il poeta e la poesia “in un darci la voce \ continuamente in questo deserto” con la notte che diviene trama perfetta per confrontarsi con la “capra sul fondo di me” e specialmente, per descrivere le fatiche e le ansie del domani. Sottile e ben delineato è anche il rapporto creato dall’autrice con il lettore, più volte richiamato con un “noi” caloroso e fortemente comunicativo. L’apice di questa complementarietà è nella sensazione di essere avvolti realmente nel “mistero della gioia” riflettendo a fondo su ogni pagina poiché essa ” è tempio e preghiera – musica precipitata \ dall’abisso, da un panico deposto \ fino alla nota pura”.
Si può dire, infine, che la poesia della Gualtieri sembra nascere “su un’onda d’amore” – citando una felice espressione di C. Betocchi sull’origine dell’arte poetica -ed è intrisa dalla volontà di coniugare la parola con il silenzio e la gioia con il sacro. Basti comprendere la sintesi effettuata in “Mio vero”, ultima sezione del libro, sorretta da un’insistente affermazione : “Esiste solo l’uno, solo l’uno esiste”. L’autrice, poi, messaggera di verità spoglia di inganni, ascoltando “il tonfo della pigna e della ghianda \ la lezione del vento” segnala che è necessario ai fini dell’amore intuire “L’intesa fra tutto ciò che tace”. Per concludere, “Bestia di gioia” si mostra concretamente, senza mai travisare il suo disegno poetico, per quello che è : un libro dalle mani che cercano di toccare il cielo e la terra, la bellezza e l’unicità della vita.>>
di Bruno Conte
Mi piacerebbe leggere di più di Bruno!
Ciao Riccardo! Mi rende felice sapere che tu sia curioso di leggere altro.
La “mia” poesia è ancora in fasce. Devo ancora possedere la “mia” voce. Credo che tutti ci siano passati, è una condizione necessaria affinché una poesia possa lasciare realmente qualcosa.
Le tue mi sono piaciute, le trovo molto interessanti. Quell’ “apriori” – giustamente annotato nei commenti – è un metodo per giungere alla sintesi della parola.
Comunque, ti invierò con estremo piacere alcuni scritti.
Grazie ancora per l’interessamento..
Bruno
Bruno, i commenti si sono ‘azzerati’ sulla tua recensione e sul tuo discorso sulla poesia. Mi piacerebbe capire perchè, ma se non ci saranno commenti, sono indotta a credere che i poeti che scrivono a questo blog – non tutti s’intende – siano meno portati alla curiosità verso altri poeti, forse perchè non considerano la lettura di altri poeti, una necessità. Mi piacerebbe, invece, instaurare ‘un clima’ di serena conversazione sulla necessità di leggere e scrivere poesia.
Io credo invece che come inizio . . il percorso di Bruno è da stimare e da seguire !
…Luigia, posso domandarti cosa intendi dire? Finora, di fronte ad un nucleo più corposo di versi, i poeti si sono sempre espressi. Ho fatto subito fatica a capire cosa avevo di fronte, quando ho aperto la pagina di Bruno e ancora adesso, intuitivamente, l’occhio toglie lo sguardo dopo poche righe. Una confessione: la critica ad un testo poetico è qualcosa che prendo in considerazione solo dopo una mia lettura, dopo cioè aver creato le mie immagini, sulle immagini del poeta.
Sono attirato qui, dai versi altrui. Non amo molto la critica alla poesia, ne ho ricordi scolastici, come per l’arte, pessimi, fumosi, logorroici, ripetitivi, applicando formulette a qualcosa che spero sempre nasca con la pancia e che con la pancia venga letto.
Amo Hikmet. Ma in generale, ti direi che per far poesia, forse leggere di altri poeti non è in fondo necessario.E forse neanche saper scrivere, mi verrebbe da dirti. Conta il vissuto, conta il lasciarsi andare, conta il non fermarsi mai di fronte a ciò che è dato per scontato, conta il non limitarsi a fare una fotografia di ciò che si ha di fronte, ma il cercare, cito male Antonioni, l’immagine dietro l’immagine. Anche se mi sto rendendo conto che quello che penso non sia il sentore generale. ciao
Ovviamente Bruno esagera quando dice che la sua poesia è ‘in fasce’. E’ ‘molto critico’ verso se stesso, questo la avrete capito. Bruno sta lavorando molto sulla poesia degli altri, legge, si sofferma, analizza molto e soprattutto i poeti che lo precedono – o che lo hanno preceduto -. Ha un enorme rispetto per la parola scritta, per la parola data. Si, perchè quando si scrive, si dà la parola. Non ci si deve ‘pentire’ mai di quel che si è scritto. La poesia, insomma, deve resistere al tempo.
Ringrazio Sara per il suo commento… Anche Sara, che ha 16 anni, legge e … forse scrive poesie.
“Il poeta deve farsi sacerdote,deve fare il sacro”
Questo scrive Bruno Conte riprendendo il pensiero sulla poesia di Mariangela Gualtieri.
Spero che il mio commento non sparisca come l precedenti. Anche a me piacerebbe leggere ancora qualcosa di bruno. Le premesse sono buone, nel senso che si accosta alla poesia con rispetto e umilta’.
Vincenzo celli
Luca, eccoci!
Son d’accordo e non sono d’accordo con quello che dici.
La poesia è un gesto spontaneo, ma non può rimanere solo quello.
Ha necessità di mettersi in cammino conoscendo – anche – da dove arriva la ‘chiaroveggenza’, intendendo per ‘chiaroveggenza’ il ‘veder chiaro’, non mi riferisco cioè a poteri extrasensoriali.
A un certo punto a chi scrive serve anche ‘leggere’ quelli che l’hanno preceduto, serve per capire meglio e di più. Per entrare ‘nel nome della cosa’, della cosa che fa, che si fa, con la poesia.
Luca, certo che conta il propro vissuto, ma quello da solo, non basta. D’altra parte ciò che un poeta scrive ‘da giovane’ sono quelle che egli stesso poi definirà ‘poesie’ giovanili, e questo non vuol dire, necessariamente, che sono meno belle.
Quanto al discorso sulla ‘critica della poesia’, credo, invece, che sia necessario che il poeta legga e scriva di un altro poeta. Sai perchè? Perchè sono pochissimi i lettori di poesia, ancor meno i ‘critici’ di poesia. Si contano sulle dita delle mani.
Io credo che un vero poeta abbia a cuore la poesia dei poeti. Lo credo davvero e fermamente.
…ah!ah!ah!ah!…pienamente d’accordo con te.
Hai ragione, siamo proprio pochi e bisogna nel concreto non rassegnarsi alla riserva che ci consegnano, leggere, muoversi, proporsi… ed è , altrettanto vero, che
fermarsi a fare immagini non basta, almeno non umanamente parlando. Ed è probabilissimo che in una ricerca continua si debba per forza passare per le poesie altrui e per chi fa arte, per capire un po’ questa esigenza misteriosa che è il fare immagini, su carta, su tela, come architettura… solo questo vorrei dirti, che il vissuto non basta, ma per fare immagini non basta neanche attraversare le immagini altrui o saremmo tutti artisti e poeti. Quella è un’ esigenza di una parte di persone,esigenza molto intima e tutta da cercare, intuire, portare alla luce… e il discorso ritorna a quello che dicevi tu, si chiude perfettamente, fa un bel cerchio. ciaociao
Caro Vincenzo,
eccomi! Non ho cancellato nessun tuo commento.
In questo momento ‘il canale’ è in diretta. Spesso, durante la ‘diretta’ si verificano problemi sul server.
Su questo blog nessun commento verrà mai cancellato, a meno che non leda la dignità delle persone.
Ciao a tutti!
Luca dici, infine, che per ” fare immagini ” non basta esclusivamente il vissuto tantomeno attraversare le immagini altrui. Giusto, per scrivere Poesia ( che è sicuramente qualcosa in più rispetto al fare immagini ) è necessario coniugare questi due momenti ma credo che sia prima indispensabile soffermarsi mai incautamente alla Voce dei poeti validi – del nostro o di un altro tempo -. Altrimenti si sfiorerebbe nel già detto, e tutti, in questo caso, sarebbero poeti-artisti. E dopo questo ” lento o rapido” attraversamento si può trascrivere in versi il vissuto perchè prima di “lasciarsi andare” bisogna avere una voce sana e un timbro indistinguibile e soprattutto, comprendere che valore hanno realmente le tue parole( sempre per scrivere una vera Poesia, anche solo d’occasione). Prima di allora saranno solo tentativi.
Quando si entra in un tempio ( la Poesia ) bisogna prima necessariamente conoscere cosa c’è all’interno e da chi è stato creato ( i Poeti ) e poi chissà un giorno si può anche trovare un pò di spazio in tutta quella bellezza. E credo fermamente che il critico possa dare un aiuto, di certo un suggerimento.
Ho inserito un post oggi, su Valentino Zeichen. Vi invito a prenderene visione. Come potrete notare Zeichen ha pubblicato solo recentemente e in un piccolo volume le sue primissime poesie intitolato, appunto, “Poesie Giovanili”.
Il libro di Zeichen costituisce un Unicum anche per il racconto che il poeta fa dell’ultimo incontro con sua madre, Evelina, morta di tisi.
La sua personale storia, con le foto d’epoca, l’infanzia sofferta e l’adolescenza vissuta ‘ai margini’ della Storia, assume oggi un’elevata importanza anche per la lettura di tutta la sua opera poetica.
Inoltre, il post su Zeichen riassume bene la nostra conversazione sulla poesia fatta fin qui, nella sezione Opere Inedit.
Buona lettura.
…spiacente Bruno, siamo distanti anni luce. La prima poesia l’ho scritta dopo esser stato in cmpagnia d’una donna. E l’ho scritta in ”trance” come per le più riuscite. Non sto esagerando. Il rischio di scrivere qualcosa di già scritto, c’è solo se fare poesia diventa un lavoro coscente. Fotografa. Fotografa ciò che c’è intorno, del proprio vissuto… il vissuto dalle mie poesie sparisce,non si riconosce più, perchè se sai lasciarti andare, ogni immagine che tiri fuori è già una trasformazione di un esperienza vissuta, è firmata dalla tua identità, non potrà mai essere identica a quella di un altro.
La poesia, per me, non esprime proprio un bel niente, ma rappresenta. Lo dirò fino alla nausea. Il sapere il valore di ciò che si scrive, a chi saprà lasciarsi andare in un cert modo, non interesserà perchè avrà già la certezza di aver fatto una trasformazione creativa (o geniale) perchè l’oggetto sarà irriconscibile e inconfondibile. Venisse qui Neruda a dirmi di lasciar perdere, lo ”inviterei a farsi una passeggiata”, non per una qualche presunzione artistica, ma per le certezze relative alla mia umanità. L’idea di tempio, qualcosa di pesante, congelato nel tempo, divino, astratto, a cui sottomettere la proprio volontà, è qualcosa per me di così lontano dalla poesia, che è trasformazione e libertà, all’interno del rapporto e dell’amore verso gli altri (uomini e non dei)… e anche se mi venisse dato del presuntuoso, in fondo non importerebbe. L’umiltà e l’arte non vanno insieme, bisogna scommetere se stessi per lasciarsi andare.
…e scusate la grammatica, ho scritto di getto.
Luca, per quel che mi riguarda, son d’accordo e non sono d’accordo con te, anche su questo punto.
Bruno ha scritto poesie, ne ha scritte moltissime, ma, come dicevo, è molto critico verso se stesso, e dunque per ora, non mi autorizza a pubblicare i suoi inediti. Quindi il problema non è averle scritte o meno…
Ma chissà, forse Bruno potrebbe anche cambiare idea!
In realtà la riflessione da fare insieme è essenzialmente questa: quando ci si pone il problema di ciò che è stato già scritto – come fa Bruno – il rischio può diventare non scrivere più, oppure, scrivere in condizioni esclusivamente ‘razionali’.
Tuttavia, si può trovare ‘la misura’. Una potrebbe essere, ad esempio, scrivere dopo essersi allontanato da quanto si è letto.
Ottima la richiesta che fai a Bruno di ‘fotografare’ in parole, ciò che sta attorno a lui.
L’idea del Tempio, suggerita da Bruno, tuttavia, non è qualcosa di ‘astratto’. La grande poesia, metaforicamente, è un Tempio.
Personalmente comprendo Bruno, perchè anch’io ho avuto timore ‘di entrare’ in uno spazio ‘sacro’.
Perchè la poesia è l’amata, ma è anche il precipizio.
In realtà il calciatore è Bruno Conti (il romanista che è in me non poteva tacere)
Ovvero, nel nome comincia la responsabilità. Con il suo, fare il poeta è legittimo, ma fare il calciatore, avendo avuto alle spalle un campione del mondo come Bruno Conti, insomma, un po’ di misura…
Spero di non sembrare troppo brutale, quando asserisco qualcosa.
Non sono per niente brutale in realtà, e sottolineo ancora una volta, che sono solo pensieri personalissimi, legati al mio modo
di far poesia, ai poeti che amo e in cui scorgo un rapporto con la poesia che mi risuona… Ho dei punti saldi a cui mi tengo stretto, ma sono sempre pronto a rimettermi(anf!anf!non finisce mai!!!)in dscussione.
benvenuto a Fabio Ciriachi, amico, poeta e scrittore..
No, ti sbagli! (smile)
Bruno Conte, non Bruno Conti…
Eccomi!
Luca la mia poesia è e sarà sempre un gesto spontaneo. Il mio approccio,ora,ai miei scritti è,come sottolinea Luigia,molto critico. Alcuni sono solo dei tentativi. E la mia volontà di non pubblicarle è perchè considero molte di queste troppo legate a personalismi.
Solo quando sentirò di non cambiare per niente al mondo un “verso” cercherò di pubblicare. Forse è questo il motivo per cui di solito si presentano le “poesie giovanili” dopo aver raggiunto una certa maturità. Quando in un certo senso si è anche lontani. Il post fatto da Luigia su Zeichen è da esempio.
Solo ora poteva pubblicare le sue poesie giovanili – che come si vede sono colme di vissuto – perchè solo ora ne è realmente distante.
Per Vincenzo :
tutti scherzano su questa mia quasi completa omonimia con il grande Bruno Conti!
E se con il calcio affronto quotidianamente questo ” improbabilissimo confronto ” con il campione del mondo, in poesia c’è un altro omonimo, in cognome, ugualmente grande, Giuseppe Conte. Proprio vero, nel nome comincia la responsabilità!
…Bruno. Il discorso se pubblicare o meno, il rapporto che si ha con la poesia e la distanza ch si prende da essa, sono qualcosa di intimo e personale, io non metto parola.
Intervengo sulle idee, semmai. E pur ammettendo che per intraprendere un qualsiasi percorso umano fatto di crescita e certezza della propria identità, il riconoscere il valore altrui è un cardine fondamentale, il discorso dell’umiltà e del rispetto di che è venuto prima, è sempre un rischio.
Il pensatore che diventa icona intoccabile, il padre che diventa Dio… è la storia di Crono e si rischia di avere generazioni vampire, che non permetteranno mai ai figli di realizzarsi, se non come padri anch’essi. E quindi una catena che non finisce mai, in cui l’uguaglianza fra gli uomini non si raggiunge mai, in cui non si ha la libertà di dire no, non la penso così. Siamo tutt uomini, anche a 19 anni (non sto parlando di te e della tua scelta) Mozart era sempe Mozart. E credo, che dare per scontato un plusvalore nell’esperienza degli anni, sia un errore e che tolga il giusto riconoscimento a chi questo plus valore lo raggiunge. Guardiamoci intorno e vediamo un po’ quanti uomini arrivati verso il capolinea sono realmente felici, sono vitali…e guardiamo gli artisti e i pensatori, guardiamo le loro parabole discendenti… i 90 anni di Picasso,( o i miei 90 anni o i tuoi ) bisogna conquistarseli sul campo…della vita.
si, Bruno… ma il problema dell’omonimia lo poneva Fabio, non Vincenzo…
Forse devi rettificare…
Si è vero! Rettifico immediatamente :
Fabio :
tutti scherzano su questa mia quasi completa omonimia con il grande Bruno Conti!
E se con il calcio affronto quotidianamente questo ” improbabilissimo confronto ” con il campione del mondo, in poesia c’è un altro omonimo, in cognome, ugualmente grande, Giuseppe Conte. Proprio vero, nel nome comincia la responsabilità!
Luca :
Che un artista a 19 anni possa essere già il più grande non c’è dubbio. Nessun plusvalore o altro, la qualità non dipende dagli anni, e son d’accordo. Il punto è attraversare. Chi ci riesce velocemente è o per istinto, slancio di genio o per infinito “allenamento”,almeno credo, e a volte queste due componenti sono necessariamente da coagulare ( vedi Rimbaud, Leopardi ). Poi penso, diversamente, a Lucio Piccolo che a 54 anni decise di far leggere le sue poesie a Montale. E Piccolo è allo stesso modo geniale. Ci sono dei tempi. La poesia rilancia la vita e c’è chi come Zeichen solo ora ci pubblica il suo “inizio”.
Vero, guardiamoci intorno..la parabola discendente è destinata a fiancheggiare tutti..e
Come dici,
Ci vuole coraggio. Ma la parola scritta, la parola nominata è un abisso che bisogna scendere senza ansia di..
Nella recensione non c’è solo la Gualtieri, ma ci sono Io soprattutto. Sembrerà strano ma è così.
nel senso che si può dilatare la propria voce poetica attraverso i versi altrui, e questo mi è servito più di un tentativo di poesia.
Ciao Bruno
uno
dei modi per succiare fuori dalla testa è la lettura di un altro poeta, le idee che ne vengono fuori, a volte sono commenti di idee parallele,
poesie!
Sono d’accordissimo con te.
Luca: vedo che non hai disprezzato Rimbaud, strano…forse perché è poco confutabile.
Vero, Vincenzo, verissimo!