Appuntamento
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Le parole di Salvo Licata, giornalista e drammaturgo palermitano scomparso tredici anni fa, tornano al Teatro Biondo Stabile di Palermo con uno dei suoi testi più significativi e maggiormente legati all’anima e alla storia di Palermo, La città azolo, in scena nella Sala Strehler dall’8 al 31 maggio 2013 con la regia di Luca D’Angelo. In scena, a raccogliere il testimone dello scrittore, la figlia Costanza Licata, che ha trasformato in canzoni i versi del padre, Salvo Piparo, che ha saputo dare voce (dopo Giorgio Li Bassi) al poeta di strada Peppe Schiera, riscoperto proprio grazie a Licata, e la pianista Rosemary Enea. Le luci dello spettacolo, prodotto dallo Stabile palermitano, sono di Pietro Sperduti.
Scritta a metà degli anni Ottanta, La città azolo ha per sfondo l’epoca buia della guerra di mafia. Un testo poetico e toccante, che riesce ad essere una sintesi efficace tra poesia e prosa, tra lirica e dialetto, tra immaginazione e cronaca.
Nell’opera di Licata la storia diventa il pretesto per una denuncia giornalistica, il reportage di una Palermo colore azolo, inconsolabile come i suoi abitanti. Nato come prologo al Macbeth di Shakespeare, il poema di Licata è diventato un apologo sul potere, che corrompe e annienta. Tra le righe, il travaglio e lo strazio di Palermo negli anni di piombo dell’onnipotenza mafiosa.
La piece, breve e intensa, si articola in tre parti: un’antifona in apertura, una serie di salmi e un
epilogo in gloria, una sorta di percorso verso la liberazione. Come ha scritto Marcello Benfante: Licata fonde in un unico afflato musicale, attualissimo e sempiterno, la dimensione mitico-liturgica e la denuncia giornalistica, con riferimenti appena velati all’assassinio mafioso di Antonino Cassarà e
Roberto Antiochia o l’accenno alle contrite commemorazioni del “giudice ucciso” (probabilmente Chinnici).
Se continuiamo a considerare il potere come entita’ astratta, separata da noi, non arriveremo mai a stabilire una societa’onesta. Quando riconosciamo che il potere siamo noi, che lo stato siamo noi, non possiamo piu’ denunciare, lamentarci e soffrire con stupore. Il lavoro di cambiamento e’ un lavoro di formica. Ma come cambiare la natura umana? Certi hanno cominciato in Sicilia e nel mondo, ma trovano ostacoli insormontabili, creati sempre da uomini. Perche’? Perche? Non si puo’ mettere in prigione una nazione intera! …e l’educazione sembra non avere alcun impatto.
Non conosco il testo La città azolo, concordo con quanto dice Adriana.La realtà è che ormai vige una corruzione culturale ed etica nella società così profonda e persistente che l’illegalità è del tutto “banalizzata” diventando quasi una “normalità” a priori e spontanea, e invece l’onestà,il rispetto delle regole e dell’uguaglianza e la solidarietà sono considerate una cosa “estranea” da acquisire faticosamente perché “contro” il comportamento generale,contro il sistema di dis-valori che così in profondità impregnano la politica e la società attuali. Vedo molto lontano un reale cambiamento che deve interessare ogni singolo, cambiare l’etica della politica, modificare la distribuzione dei beni tra paesi ricchi e paesi poveri, recuperare laicamente il valore della vita e della pari dignità tra singoli e tra popoli tutti.Dobbiamo arrivare a concepire che tutto quanto viene fatto agli altri può essere fatto a noi, che le sofferenze che patiscono i bambini e gli adulti di ogni angolo della terra, nelle condizioni ambientali di quei popoli, li patirebbero i nostri figli e nipoti, li patiremmo noi stessi.