“Il ritorno all’isola” di Daniela Attanasio, Nino Aragno Editore, 2010 (10 euro).
<<“Il ritorno all’isola” è un libro sulla dignità del vivere ricercando e sperimentando la bellezza. Questa parola, che si pronuncia con sempre maggiore difficoltà come fosse una debolezza o un modo fatuo di osservare la realtà, è stata censurata, per vizio estetizzante, dalla dittatura della contemporaneità. Io però sono refrattaria a ogni censura così come a ogni definizione – idealismo, realismo, orfismo… – e dentro la contemporaneità ci sto stretta. “La contemporaneità non è tutto il mio tempo” diceva Marina Cvetaeva -che di cose illuminanti ne ha dette e scritte molte. Invece bellezza è una parola che va pronunciata, urlata; è un bene della vita, una risorsa rigenerante di cui non si può fare a meno perché quando scarseggia, la quantità mancante viene riempita di volgarità e violenza -con tutto quello che ne consegue in campo sociale, economico, etico. In questo libro c’è l’amore perché c’è la vita, ed è il motore di questo sperimentare la bellezza, quello che fa accendere qualche scintilla senza la quale “è impossibile la vita, tutta un’intera vita”, come riporto ad apertura del libro. Ne “Il Ritorno all’isola” racconto questo andare verso e tornare alla bellezza in luoghi e tempi diversi. Non solo l’isola e la natura, ma la città nel suo degrado urbano contiene bellezza, quella della diversità delle razze, della luce improvvisa che illumina un particolare, di un sorriso sulla faccia di un barbone che ti dice grazie, del germoglio su un alberello di hibiscus, innaffiato dai gas di scarico, che malgrado tutto vive. “L’acqua della poesia scorre su cose sporche e /zone d’amore come sui rauchi rumori /di questa piazza/ sulle sue solitudini di razza”, è scritto in una poesia della raccolta.
Potrei parlarvi di altre cose, del tempo che non muore ma che riversa vita vissuta nel presente producendo nuovo linguaggio e nuova poesia -e questo in fondo è il senso dei versi : “Niente s’è spezzato. Nata. E sono ancora dentro quella nostalgia di vita che è una nascita”.
Non c’è frattura fra passato e presente, il tempo non si spezza: quanto è accaduto neppure la morte lo può ammazzare e la bellezza passata ci rimane addosso, il tempo la fa tracimare e la riconsegna al presente .
Potrei parlarvi dell’isola, come grumo di terra dai confini stretti dentro un orizzonte di mare sconfinato -come fosse la parola di un poema, la pagina di un libro… Ci sono delle prose-poesie a fine raccolta che si sono presentate da sole, memorie che non sono andata a cercare, manifestano quanto c’è d’imprevedibile nella linearità di un racconto, quel fatto o quella storia che pure non essendo miei mi hanno segnato e spostato dalla mia solitudine. Perché non siamo soli al mondo ed è importante e commovente lasciarsi contagiare da altre solitudini e da altre intelligenze. E infatti a questo punto, nel libro c’è uno scarto, un dire in terza persona, la presenza di una voce esterna che è forse la coscienza di Amelia Rosselli, la parte sana del suo cervello malato.>>
di Daniela Attanasio
“La poesia è il tentativo di mettersi in contatto con la pienezza della realtà. Un modo euforico di stare al mondo -perché la vita entra come una corrente d’aria fredda che riossigena, e distruttivo – perché penetra fino alle più strette cavità del cervello spazzando via l’opacità di ogni certezza.”
“Fare luce, fare emergere la realtà nella sua compiuta consistenza, coglierla sul nascere. per avere questa chiarezza io mi servo della natura che conserva il tempo nella sua durata e si rinnova modificando forme e confini.”
“Questo spazio dell’origine si confronta con i miei sensi, e mi fa stare ‘all’erta’, pronta a tradurre con il linguaggio quei segni che rimpolpano la realtà di significato.”
“L’isola è un’unità di misura, come il mare e come l’amore. Il tempo è un grande contenitore.”
di Daniela Attanasio
Risveglio
Questa mattina uscendo dal sonno
ho visto entrare dai vetri della finestra una luce fredda
simile all’incedere di una compagna risentita e severa.
Qualcuno allora mi spieghi perché la mia finestra,
nei risvegli di luce calda, è Gerusalemme e la sua Moschea
Gerusalemme e la sua Porta, Gerusalemme e il Getsemani.
Sembra non ci sia spazio né aria per i miei risvegli:
o nel freddo fondente dell’alba, così vicino al dolore,
o nel calore del sacro che non tocca la verità dei miei
pensieri.
Luce e voce della vita passano senza mai collidere.
Commiato
Un molo di cemento / dente forte.
Un binario di metafore secche
poche parole di commiato.
Coraggio e dolore insieme
qualcosa di simile
alla poesia.
Nell’aria fluttuava un gocciolare freddo.
Bagnava capelli e spalle, sull’acqua spezzava
piccole lame di vento, un’increspatura
come di labbra disgustate da tanto inespresso dolore.
«Va – t – en, va – t – en…»
Una forma nuova
Un nome, un’idea e ci perdiamo
scivoliamo fuori liquidi,
prendiamo forma nuova –
una forma nuova dell’idea, del nome
il tuo sorriso come un pieno nella vita
come un filo d’erba che scivola fuori dalle labbra.
La nuca è lucida, nera
la luce si spande in una vasca d’acqua
simile a un fiore. Per una breve incoerenza
io sono sola con il silenzio che diventa la testa
che diventa il respiro.
Sono già l’altro
l’altra idea, l’altro nome.
Nata
Niente s’è spezzato.
Nata.
E sono ancora dentro quella
nostalgia di vita che è una nascita.
Da: Lei, la voce
Ti conosci ma non abbastanza per fronteggiare il terrore di
un cielo
troppo scuro sopra la tua testa e di un blu
troppo profondo per essere semplicemente mare.
Dentro o dopo c’è un bianco accecante – tu lo chiami amore
*
da tutti i tuoi mali d’amore nasce sempre qualcosa,
tocca la primavera di aprile scolpita sulle foglie
i voli frastagliati degli uccelli, le rondinelle
ma il tempo non è mai un compagno, ti lascia sempre
indietro.
Da un punto fermo vedi le case che non hai abitato
uomini e donne che non hai conosciuto
spiriti dell’età passati prima o dopo
*
sono da qualche parte le tue mani, infilate nel taglio della
giacca
fredde della neve caduta in un improvviso scroscio d’acqua
sopra la tua città di nero catrame. Sono mani pronte a
congiungersi
– malgrado il gelo di un inverno così poco mediterraneo –
mani sottili e nodose, due libere associazioni lanciate sulla
carta
dei numeri e delle possibilità
e poi cadute strette sul selciato di una chiostrina
*
se nella luce che fioriva hai cominciato a maledire il mondo
il centro del tuo dolore si è allargato come una goccia d’olio
nell’acqua
come una macchia d’inchiostro –
una cosa non vista, persa tra i libri della tua stanza
se hai imparato a maledire il mondo mentre la luce che
fioriva
ti sfiorava la pelle
quella luce non ha neppure riscaldato il poco amore
conservato nel tuo cassetto della malinconia
maledicendo il mondo sei ritornata al dolore dell’infanzia
quando anche la spina di una rosa sanguinava in silenzio.
Da: Il ritorno all’isola, di Daniela Attanasio
meravigliose semplicemente