Gli amori di Madame du Deffand

Letture

“Madame du Deffand e il suo mondo” di Benedetta Craveri, Adelphi, 1982.

Madame du Deffand
visse da libertina gli anni mirabilmente sventati della Reggenza; animò le feste perenni del «regno di Sceaux», dedito alla tirannia dello svago; esercitò la potenza di grande salonnière nella Parigi intorno alla metà del Settecento; sostenne in modo decisivo d’Alembert, fu amica di Voltaire, ma guardò con insofferenza agli illuministi come «partito»; si abbandonò, cieca e settantenne, alla più intensa passione della sua vita, quella per Horace Walpole, di molto più giovane di lei; rimase fino all’ultimo lo spirito lucidissimo che scriveva a Voltaire: «Non c’è parte che si possa recitare nel teatro del mondo a cui non preferirei il nulla». Se vogliamo respirare l’essenza più pura del Settecento non abbiamo che da aprire una delle sue lettere, le uniche paragonabili a quelle di Madame de Sévigné.

 

Vi troviamo le peculiarità eminenti del secolo: il culto dell’intelligenza, la sovranità del gusto, il senso della naturalezza. Ma in Madame du Deffand esse sono spinte a un estremo doloroso, labili e scintillanti figure che spiccano su un fondo desertico. Perché ogni forma, per quanto perfetta, appare qui corrosa da un tarlo: il «flagello della lucidità» (Cioran), il riconoscimento del carattere torturante della coscienza, accompagnato dall’ossessione della «noia», che qui evoca la percezione acuta, cronica del nulla delle cose.

Questo libro di Benedetta Craveri è la prima biografia di Madame du Deffand adeguata al suo oggetto: tentativo innanzitutto di far parlare i ricchissimi testi, osservando, ascoltando dall’interno questo essere aspro e conquistante, avvicinandosi al suo gioco segreto, quello di una «natura passionale che rinnega continuamente se stessa»; e insieme ricostruzione sottilmente calibrata del «mondo» di Madame du Deffand, una scena su cui sfilano e parlano d’Alembert e Voltaire, Julie de Lespinasse e Madame de Staal Delaunay, Montesquieu e Horace Walpole, e tante dame, tanti mondani, che magari ci hanno lasciato soltanto una frase memorabile. Una scena dove giungono gli echi delle mode, delle guerre, delle dispute, delle feste di una civiltà che vive in modo temerario il proprio compimento.

Senza ricorrere ad alcuna delle categorie psicologiche fiorite in anni in cui «gli sciocchi sono banali e freddi», e non più «stravaganti e assurdi come una volta», la Craveri è riuscita a restituire il loro peso specifico, dato dalle circostanze e dalle tensioni del momento, alle parole di Madame du Deffand, rendendo nitidissima ai nostri occhi una figura che ha sempre sconcertato per i suoi scarti bruschi fra un doloroso distacco dal mondo, un’impietosa maestria mondana e una rovente intensità di sentimenti.

Costruita come un continuo controcanto ai testi, questa biografia sembra felicemente contagiata dal tono della conversazione nel salon della protagonista. Scuola impeccabile per un biografo, se è vero – come scrisse Sainte-Beuve – che «Madame du Deffand ha in generale un merito: quello di essere vera».

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