Letture
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Chi ha conosciuto almeno un poco la cultura siciliana la fiuta immediatamente, la riconosce a naso, nella mischia irriverente di canto e morte che intride la poesia di Erminio Alberti. Alto e basso, luce e buio a improvvisi, la malinconia profonda di un popolo che incatena a dei fili la tragedia degli eroi dei poemi epici e li manovra, riproducendo il clangore lustrale delle armi, ma stavolta ficcate nelle mani di legno di piccoli fantocci pieni d’oro e colore, colmi di ogni evidenza eppure sempre segreti. Impossessati dalla tradizione e impossessati della tradizione. Da queste zone viene questa poesia. Dalle zone dei pupi e dei teatri della Magna Grecia. Cose antichissime tra spini e aranceti: nei toni a volte quasi orali e nei temi della poesia di Alberti riconosciamo infatti il sentimento pervasivo della morte che si rovescia in riso e in leggerezza – ma in una leggerezza sempre tragica, da disincantata alzata di spalle, non di gioia, salvo quando il poeta descrive le apparizioni femminili che gli tagliano la strada – e il loro andarsene immalinconisce: è cessato quel lampo di luce aliena che ci ha toccati come una parvenza di bontà per noi.
(Dalla prefazione di Maria Grazia Calandrone)
Vedi navi da crociera, come
luminose babilonie
e barchette solitarie,
lampare.Ma è più il migrare degli aerei
a dirti che vuoi partire
andare dove andare
poiché fissi il mare,
e non ci vedi nulla.
(Gennaio, fermata metro della stazione di Catania)
***
NEBBIA DI LONDRA
Davanti a un Raphaèl
in Trafalgar Squer
dentro la Nescional Gallerì
io ti vidi bella e sperduta
dentro un quadro del bronzino,
indiano-germanico-thailandese
donna del mondo!
Cosa dirti non seppi,
e ti lasciai correre così
nella fretta di questo mondo.
E tu sparisti nella nebbia
insieme a tutte le passanti:
a me soltanto il tuo ricordo breve.
Ti allontanasti su un cab
nel grigio d’un lonely london morning.
***
INTERVALLO
Ed ora è tutto un trasudar di fronde
giù dai clivi verso valle. È bianco
in cielo e terra (così in cielo come in terra)
e un corvo plana, e gracchia, nobile.
Campane suonano ai colli di capre,
che bianche arrancano per il bianco
dei colli, e giù di nuovo, per i clivi,
quasi un andare di cielo in terra.
E gocce discendono profili
come pianti di madri pietose che piangono
il congedo di un figlio.
Il grande polmone del vento risuona:
ridonda la valle, ed il fiume giù giù
l’accompagna.
Fra tutto il concerto un cane, adesso,
fa il suo ingresso mentre il cielo fiocca, incerto.
Basterebbe a dar pace a sé stessi,
se non fosse la neve disciolta
da antenne e parabole
a ridar voce
ad una tv
***
GUARDANDOTI NEGLI OCCHI
Sono attimi
quelli in cui attingo all’anima tua
piccole
coincidenze d’astri;
che io vedo attraverso le tue
iridi
primule a massa negativa –
riempi una secchia della tua acqua
il pozzo discende alle viscere nero
ma in fondo è la vita
– attimi che vanno via.
Stanno lì
o meglio non stanno;
come dire che non sei mia
nonostante io t’abbia.
Il punto è un altro.
È che chiunque tu sia,
– qualunque cosa sia –
nonostante tutto la Rosa – o la cosa? –
resta mia
(è il brivido e la lacrima
in un centro commerciale
quando scopri il peso del reale!
Lo spirito totale! L’amore primordiale!)
Non puoi possedere! Invano t’aggrappi
divori; invano
chiami le cose
che quando le chiami
son prive di quello che furono un tempo
– quando non erano tali? –
ottenni salvezza, salvezza da cosa?
Grande l’amore che avevo in corpo…
Vivevo e morivo ogni giorno. Vivevo e morivo per nulla! –
***
Chi cerca il motivo? Chi cerca più il senso?
tessete, tessete demiurghi padroni!
Le ribellioni ripudio, da quando
scoprii di essere il solo, ergo:
Io sono il demiurgo!
Vivo di quel che mi do,
qui io giaccio
ove rinasco
e muoio
nel nulla io guazzo
con le illusioni
in mezzo a un deserto:
samaritana, ti chiedo di darmi
un secchio della tua acqua:
****
È un giorno che sembra quasi
il ritornare a sperare.
Smontano
le luci delle feste, ed è
quasi
un sollievo pensare
che non ne avremo di bisogno per un po’.
Si mostra ora il cielo,
e del sole una carezza sulle nubi solitarie,
il biondo
del mondo quando dice ai viventi:
è tempo di tornare.
Amate,
in aneliti di dolce e immotivata bellezza del viver,
dei sensi tutti, del dire io sono
nella gioia
e nel dolore, nella buona
e nella cattiva sorte: siate.
(12 Gennaio 2010)
***
E ora che la polvere brezza di rovine ci passa
io mi chiedo
di essere più duro, farmi scoglio
e contrastare i marosi
per il mio amore di uomo
sparso in terra, arso in petto
e scritto a penna,
per i rimorsi e le ferite che mi sono ancora linfa,
per poter incalzare il cappello
un giorno,
e girarmi e andare via
da qualcosa
da: “Malascesa”, di Erminio Alberti (Samuele Editore, 2012)
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Erminio Alberti, è nato nel 1987, originario di Capizzi, paese dei Nebrodi, compie i propri studi a Catania, laureandosi in lettere moderne. Ha collaborato nell’organizzazione del Verso Presente, rassegna di poesia contemporanea dell’Università degli studi di Catania. Nel 2012 realizza, con il gruppo di lavoro Band Sans Art, il cortometraggio amatoriale “Nel nome del Madre”. Nel 2013 pubblica la sua prima raccolta, “Malascesa”, con Samuele Editore, ricevendo il premio Camaiore Proposta 2013.
da qualcosa.
Com’e’ bello essere giovani! La curiosita’ del mondo ci chiude gli occhi sul vicino e ci attira verso l’illusorio, il diafano lontano e quando finalmente si aprono gli occhi, il vicino ci appare una scoperta e ci meraviglia.