Loretto Rafanelli, “L’indice delle distanze”

Nello scaffale

Nota di lettura di Irene Mezzaluna

Loretto Rafanelli in questo libro ci mette di fronte alla grande frattura.
Quella che divide ogni essere umano tra il limite ontologico di essere finito e il desiderio sempre acceso della felicità. Termini come voragine, crepa, gola servono ad indicare quel «immenso sprofondare» di cui parlava già Leopardi nei Canti e nelle Operette morali.
E Rafanelli sta su questo tema rendendo un insieme di residui oggettuali che formano l’area semantica del concetto di limite come bordo che definisce e nel contempo stritola l’uomo.
Filo, perimetro, rotaia, soglia, recinto, segno, muraglia, margine, mappa, reticolato sono tutti elementi di necessità – a dirla con Montale – di costrizione ineludibile che circoscrivono l’essere umano nell’elemento più reale e vivo, la sua sostanziale impotenza.

Questa continua delusione però si contrappone al senso dello sconfinato, all’apertura in orizzontale di cui Rafanelli ci parla spesso. Scrive di distese, campi, vaste aperture esposte ad una forte luce solare a volte accecante; stesure di spazi dilatati che rendono il senso dell’infinito leopardiano come del senza finis, del privo di confini, smisurato, fuori misura.
Allora mi è venuto in mente il Sentimento del tempo ed ho pensato a cosa volesse dire quel “sentire” dato che, anche per Ungaretti, contava la dimensione della distesa (pensiamo al tema della luce e del deserto così vincolanti nella sua poesia). Per ciò valeva ricollegarsi a Materia e memoria di Bergson, al tempo non in senso meccanico – cioè scandito delle lancette dell’orologio – ma vissuto come somma di ricordi, attimi presenti e progetti futuri. L’uomo è tutto questo: la sua memoria ed identità stanno nel concetto della durata. Una durata che Rafanelli sente abbinata alla distanza fisica a sua volta scandita e misurata attraverso un suono non melodico ma di rintocco, battito. Dice «battito del tempo», oppure «le campane segnavano l’indice delle distanze» con un cadenzare che lascia l’idea di sospensione, di una sorta di attesa. Ed è un tratto forte anche a livello metrico e retorico perché l’alternanza di ritmo è scandita anche dalle frequentissime inarcature che altro non sono se non rimbalzi semantici di un verso sull’altro.

E allora la domanda che ci viene posta è: l’uomo come colma il vuoto? Come si comporta di fronte ad una distanza? Ed è il poeta stesso a suggerirci una possibile via di fuga: una distanza si vince percorrendola, attraversandola, cioè buttandocisi dentro, misurandosi con essa. «È che le distanze sono un cammino/ grande come il mare lungo/ come il passaggio/ tra la costa e l’orizzonte», perché la distanza è dolore, è il patire dell’Ungaretti uomo di pena, è «quella linea/ della vita che è fissa in noi» che ci pone in un distacco inumano da un Tu senza il quale non è possibile dire Io. Distanza è l’opposto della vita come incontro, dialogo, avvicinamento, conoscenza interessata che ci pone in relazione con le cose del mondo e con le persone di cui ci innamoriamo.

L’assenza si vince con la lotta che ognuno di noi compie quotidianamente, diventa quel «sapere portare la pena» di cui parlava Pavese ne Il mestiere di vivere che non è tanto chiedersi il perché del soffrire quanto capire come tirare avanti, come sopravvivere.

«La vita ha il suono del mare, pare un carillon/ fisso nel cuore, o il velo bianco del sole./ Qui si fa muto il dolore,/ bagnato dalla vena/ di un esile fiore» scrive Rafanelli tornando al tema del mare a cui è dedicata l’intera ultima sezione dell’opera. Il mare è santo, giovane, è moto perché onda, urna che difende, protegge e può anche uccidere: è l’archetipo dell’acqua come elemento femminile legato al grembo materno che custodisce e crea nuova vita. Il passo conclusivo l’autore lo compie con una celebrazione e resa d’onore alla figura della donna/madre/senso d’origine ricordando le ragazze uccise dallo sterminio nazista (di cui il poeta parla nella poesia riguardante l’eccidio di S. Anna di Stazzema), le bambine e le giovani vittime di violenze e di attentati, quelle che lui chiama madri di sabbia perché diventate cenere ancor prima di generare, le madri di tutti in cui vive nel petto il battito del mare, le lune piene d’agosto rese attuali e ri-portate nel nostro presente grazie alla potenza della memoria storica e della parola poetica.


Loretto Rafanelli, L’indice delle distanze, Jaca Book Editore, Milano 2013.

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