I giovani e la poesia
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Fabiana Palomba, studentessa liceale, ha scelto per noi di commentare l’inizio dell’Eneide, il poema scritto nel I secolo a. C. da uno dei più grandi poeti e filosofi di tutti i tempi, Virgilio.
Il poema racconta la storia di Enea, figlio di Anchise, che dopo la caduta di Troia lascia la città fino ad approdare, dopo varie peregrinazioni, nel Lazio e diventare il progenitore del popolo romano. Fabiana ci commenta il proemio che introduce la narrazione e che si apre con un’invocazione alla Musa.
“Sin dal proemio si comprende chi è il nostro personaggio: è un eroe alla ricerca di una nuova patria, guidato dal fato e vittima innocente dell’ira divina. Il nostro poeta non esita a presentarsi già dal primo verso con il verbo “cano” (canto) coniugato in prima persona; il nostro Virgilio ha uno scopo ben preciso: cantare della guerra e di un uomo.
Enea è fato profugus, ovvero è il profugo in fuga dalla propria patria, ma in realtà la fuga è voluta dal fato, che nella sua etimologia significa “ciò che è stato detto, stabilito una volta e per tutte”. Enea, a mio parere, rappresenta il pius per eccellenza, colui che rispetta il volere divino e i vincoli che ne derivano, rispetta la Patria e la famiglia, colui che porta a compimento i propri doveri, ed è il più grande portatore di supremi valori religiosi e morali. Il prgotanista è dunque l’esecutore di un disegno divino, come lo sono tutti gli altri personaggi che si incontreranno nell’opera, e come lo è, consapevole o no, ciascuno di noi. Pertanto ritengo che, attualizzando estremamente l’opera, oggi il coraggio e il rispetto di Enea siano offuscati e intorpiditi, come se fossero passati in secondo piano, in quanto l’amore per la propria patria è stato superato dall’egoismo e dal dissoluto desiderio di realizzare noi stessi, non preoccupandoci di ciò che sta vivendo la nostra società, dimenticando che dentro di noi, c’è sempre una presenza divina.”
Fabiana Palomba
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Eneide, Libro primo
Canto l’eroe che profugo da Troia
venne in Italia ai lidi di Lavinio,
che sballottato per terra e per mare
dal volere divino e dalla rabbia
tenace di Giunone, in lotta ancora
molto soffrì, finché pose nel Lazio
la sua sede e i suoi dèi, donde la stirpe
latina, i padri Albani e l’alta Roma.
Dimmi, o Musa, il perché da quale offesa
turbata la regina degli dèi
forzò l’eroe pietoso a tanti affanni.
Così potente è l’ira dei celesti?
(Cura e versione di Mario Scaffidi Abbate)
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