Nota di Guido Mattia Gallerani
Nel gergo dei corridori, “falsa partenza” indica l’infrazione dell’atleta al prescritto codice di gara. Parte prima degli altri, incorre nella squalifica. Anche se s’era allenato a lungo e aveva rinunciato a tanto, per l’errore d’un attimo vanifica il proprio futuro. Forse è stato tradito dall’ansia, dal peso delle aspettative: un successo di speranze prefigurato solo dieci metri più avanti, dietro la curva, appena oltre l’ultimo ostacolo. Intimamente, il concorrente di oggi ha ormai ceduto a un’altra voce rispetto al racconto che finora s’è fatto di lui sugli spalti dello stadio. Più che divenire l’espressione di un sabotaggio interiore, sublimato liricamente quanto inutilmente, la poesia ci mostra lucidamente senza sconti, come in quest’allegoria, la nostra stupidità: nodi irrisolti, amori sfortunati e disperazioni, ancorché in continuo camuffamento. Ma sono tutte cose che noi escludiamo quotidianamente dal compimento del dovere, dall’esercizio dei nostri obblighi. Per la poesia italiana, ed è così fin dalle origini, se le esclusioni sono molte bastano per fare un esilio: da lì riparte il pensiero da cui nasce il verso, o qualche verso, senza bisogno di continuare fino a sembrare più intelligenti di quel che si è, senza la paura di non essere mai sufficientemente “utili”. Forse è ancora poco, ma la poesia s’accontenta di un “prefatto”: non le serve il resto della storia, proprio come c’è a chi basta correre senza arrivare, vincere o barare. La poesia, almeno nelle sue più diffuse manifestazioni (mediocri o medie che siano), vive fuori dall’eccesso del successo. Allora, come l’allegoria fortiniana che crea luoghi potenziali, la lontananza del bosco è quello spazio limbale dove la città occidentale inizia a cambiare paesaggio e a ritrovare un’altra storia, che attende dietro quel mondo naturalistico, nel sottobosco, tra sassi, animali, semplici passeggiatori.
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PREFATTO
Io sono quello che volete che sia
e non per niente nessuno mai
sospetta del mio accento.
Neppure all’anagrafe c’è traccia
di un mio qualche documento.
Perché io non esisto se non inseguito
da un vostro evento: avete visto con che incendio
s’uccide la madre che non ho
e di una ragazzina nasco a figlio
dello stupro mai commesso.
Io non dormo né mi sveglio
ma resto dentro, attento
a quello che si dice per essere pronto sul momento
a divenire
ora riaffiorando in gola
ora camminando nell’ombra stretta a fianco
accarezzo il vostro collo intorno al bavero
e soffiando brividi abbraccio calvi
i vuoti della fronte, metto i guanti
ai vostri palmi bianchi perché nel fare
quello che mi dite fare
le vostre mani non finiscano spellate.
La mia orma la vostra riempie
e da scalzo, nudo mi infilo,
m’adatto al vostro nuovo vestito.
(LONTANANZA DEL BOSCO)
Questo è un deposito di sé,
un paesello spintoci a pigione
che non ama gli stranieri.
D’inverno quando la neve
eguaglia le cose
qui una talpa sbuca a tradimento.
Una traccia di fantasma forse
camuffata in mezzo al bianco.
***
La casa in mezzo al bosco
preda dell’emorragia del muschio
dopo aver avuto molti possessori
e le unghie scarnificate dalle mura
è ormai fuori dal mucchio
incline allo scivolo sul monte, lontana da tutto.
S’è coperta in tante primavere
del verde di funghi ed arbusti.
Nuda nessuno la ricorda,
diversamente la vide.
***
Protetto dall’acero
il viso sta zitto e addormentato
come quello di un tasso o di un castoro.
Che non ti prepari
a sbucare altrove quando hai finito
quello che devi fare e dal letargo
tornare infine a noi, allo scoperto
più fresco, riposato, necessario a questo tempo.
***
S’aggira un procione
a primavera, l’ho visto sulla strada
del ritorno che tagliava di fretta
la collina e uscito da dietro una pietra
hai sbattuto come contro un orso:
uno che alzava le mani
inermi di fronte a un mostro;
ma la mia stazza, fratello, è un’illusione
di prospettiva, come in certi pittori italiani
quando a volte una persona sulla via
non trova la giusta proporzione.
***
Ancora non riconosco se fu un mio allucinare
quegli occhi al riparo della tromba d’aria:
non in sua balia, aldilà del vetro
attendeva al focolare un emissario ritto
a guardia contro di noi – una razza non delle sue
ma alla mercé di altre previsioni, che sbadigliava
anziché al comando subìto indietreggiare
a carponi sullo scricchiolio del ghiaccio.
***
L’occidentalità moderna della capitale
come un albero sospeso
nel rifacimento urbano
non s’incrocia dietro gli angoli, dietro i minuti…
è sprofondata nel territorio come in una storia
e già figlia le future conformi
seminazioni della memoria
prima di espellersi dal centro
del mondo: ha già sospinto al suo più largo
divario la succursale caduta di una foglia.
***
da René Daumal
Io non vivo per non aver avuto un principio;
non ho avuto principio perché non riesco a ricordarlo;
non posso ricordarlo per non aver potuto volerlo;
non potendo riaverlo, vedo di non avere più niente;
non riuscendo a volerlo, sento che sono niente;
ma sapendo d’esser niente, mi scopro mai nato;
e non essendo già nato, allora inizio a potere;
potendo l’inizio, sento che svegliando divengo;
e diventando, io vivo.
***
Una bordata, che non piega verso l’esito
della caduta oltre il segno effimero del gesso
è il resto d’una paura
che t’asserpava dietro le tribune
dove i figli rincorrevano le palline (juniores
eravamo contenti perché ci bastava
quell’erba) sfuggendo alla polveriera
della sabbia…
Eppure anche un lancio ribattuto
finito il volo può rimanere anni
ad aspettare in un prato, il cuoio
scemare silvestre e le piogge
aprire le cuciture, farsi labbra.
E la palla…
incastonata sul mobile
non è già più tua.
È sogno di un altro
puer che la batte al vento:
fuoricampo la tua mano
che pur l’afferra dall’umido
del legno che ormai la tarla
non può più oltretempo
contro quella del destino
che ti parla, agguantarla.
***
La poesia scivola a galla dell’inchiostro
se forma come acqua rotta da un sasso
cerchi consecutivi ed increspature
che un occhio segue dal centro
a un altro punto qualsiasi
spostarsi in controsenso.
Guido Mattia Gallerani è nato a Modena nel 1984. Ha pubblicato il saggio Roland Barthes e la tentazione del romanzo (Morellini, 2013), traduzioni dei sonetti di Shakespeare (Giunti, 2012) e le poesie di Falsa partenza (Ladolfi, 2014). È condirettore di Atelier. Trimestrale di letteratura, poesia e critica.