InVerse 2014


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Si terrà oggi, 11 giugno 2014 alle 20.00 alla John Cabot University InVerse il festival di lettura di poeti italiani in traduzione inglese. La rassegna, giunta alla settima edizione,  è organizzata da Brunella Antomarini, Berenice Cocciolillo e Rosa Filardi e si svolge nella magnifica cornice del Lemon Tree Courtyard della sede storica dell’Università, a Trastevere.
Interverranno i poeti:
Nadia Agustoni, Gian Maria Annovi, Mario Benedetti, Elena Buia Rutt, Antonio Bux, Biagio Cepollaro, Anna Maria Farabbi, Andrea Inglese, Bianca Madeccia, Giulia Niccolai, Ida Travi, Giacomo Trinci.
Traduzioni di: Berenice Cocciolillo, Brunella Antomarini, Tom Bailey, Gabriele Poole, Diedre Blake, Riccardo Pugliese e Loredana Mihani, sono state curate e raffrontate con particolare attenzione e con tutto il tempo necessario per la migliore resa in una lingua molto diversa da quella originale.
Da:  La preistoria acustica della poesia, di Brunella Antomarini, Nino Aragno Editore, Torino 2013
“Dobbiamo spiegarci perché i poeti possono avere per modelli poeti stranieri, o antichi, dobbiamo spiegarci come possa esserci una permanenza dell’esperienza poetica indipendentemente dalla lingua in cui è stata espressa. L’autore, il lettore, il traduttore di poesia sono portatori di un testo poetico in un cammino iniziato con la stesura del primo verso, e individuano, insieme a una incompletezza, anche un intero che viene modifi- cato a ogni lettura, a ogni traduzione.
È la musicalità stessa di ogni poesia a raccogliere questo elemento dinamico: si perde una musica per acquistarne un’altra (come nel rapporto di composizione-esecuzione; i lirici greci scrivevano per la musica; venivano eseguiti). Ogni epoca perciò ha le sue nuove traduzioni e la storia della poesia è un organismo poetico che esiste grazie alla sua continua revisione.
Comprensione e fraintendimento d’altra parte sono elementi necessari della comunicazione intersoggettiva in generale. Allora l’unità del messaggio poetico non è più compromessa dalla traduzione di quanto non lo sia dalla semplice lettura; cambia solo il modo dell’esecuzione, il modo di usare una lingua comunque sconosciuta. La traduzione, diceva Ortega Y Gasset, è un «cammino verso l’opera».
………
La poesia possiede dunque un essenziale valore dinamico: costituisce la sua tradizione all’interno del suo continuo riprodursi e tradursi. Anzi, ogni singolo testo poetico trasmesso nel tempo, è la sua traduzione e tradizione. Che l’opera si modifichi nella traduzione non è una questione che riguarda le lingue ma la crescita stessa dell’opera, ad essa intrinseca; una sua propria ‘natura’, che comprende ‘per natura’ metamorfosi ed essenza. L’opera crea essa stessa una visione che prima non c’era – nemmeno nella mente del suo autore – e che quindi non viene recepita immediatamente, come invece accade con un luogo comune o una comunicazione ordinaria. Secondo la famosa formulazione di Eliot:
L’ordine esistente è in sé concluso prima che arrivi l’opera nuova; ma dopo che l’opera nuova è com- parsa, se l’ordine deve continuare a sussistere, tutto deve essere modificato, magari di pochissimo.
La tradizione poetica procede per modificazioni continue. È in se stessa non scritta, perché è una sensibilità che si auto-organizza nel tempo….
Ancora Eliot: se il poeta porta una ‘rivoluzione’ nella poesia, non è perché abbia fatto un’operazione linguistica. Nelle sue parole: «Non credo principale e costante compito del poeta effettuare rivoluzioni nel linguaggio».
La lingua è poetica proprio quando è in fase di formazione: si chiedeva Flora come potessero i primi autori italiani scrivere in italiano se non esisteva l’italiano: per una «tendenza di ritmo e di suono e di sintassi», per una «ispirazione che precede sempre qualcosa che ancora non esiste e si viene formando». L’unica intraducibilità è quella del ritmo, ma il ritmo è l’unico elemento linguistico ‘trasmutabile’. Viene in mente la teoria gestaltica di Christian von Ehrenfels, che portava ad esempio dell’esperienza originaria della forma la riconoscibilità di un pezzo musicale a diverse altezze.
AntomariniQuesta dinamicità dell’opera è particolarmente pregnante nel saggio breve di Walter Benjamin, Il compito del traduttore: «Quanto più alta la qualità di un’opera, tanto più essa rimane – anche nel contatto più fuggevole col suo significato – traducibile». La chiama «Pura lingua», che «muore se non è soggetta a metamorfosi» e, riferendosi a Goethe e a Novalis, parla di ‘organicità’ della poesia che possiede una vita propria, tesa ad afferrare una «lingua della verità», che è l’aspirazione di ogni ingegno filosofico.
Mentre chi sostiene l’intraducibilità considera la lingua in rapporto reciproco e statico con un’altra non-corrispondente lingua, chi individua la necessità della traduzione come intrinseca alla poesia, considera il rapporto con un’altra lingua non-corrispondente finalizzato a evidenziare un terzo elemento non-linguistico, preso nel processo linguistico
lingua → X ← pura lingua → X ← lingua
dove la X, portata dal ritmo, è una partecipazione sempre in fieri a quella che Benjamin chiama ‘verità’ e che si potrebbe concepire come il ritmo pre-linguistico e organico che ‘dice’ mentre le parole ‘significano’.
Il ritmo, togliendo alla parola singola il suo significato ordinario, lo ricostruisce tra le parole. Afferma cioè che c’è altro oltre la lingua, di cui la lingua d’origine è il sintomo e la lingua d’arrivo è la traccia, un trasferimento di ritmo/trasmissione senza soluzione di continuità. La prova è il fatto, dice Benjamin, che il poeta non prende in considerazione il destinatario, non usa la lingua strumentalmente a una comunicazione. Infatti il poeta-traduttore traduce per chi non capisce la lingua originale. C’è una oscurità alla base dell’atto di traduzione, che la traduzione evidenzia, ma non supera. La traduzione immette un’opera poetica in una sequenza temporale che ne perde l’origine mentre ne garantisce la sopravvivenza. Quando diciamo di un’opera che è un ‘capolavoro’ non ne intendiamo un valore essenziale ma il fatto della sua ostinazione a sopravvivere in traduzioni e versioni e interpretazioni. È come se l’opera fosse una domanda di cui la traduzione tenta la risposta……
Il nuovo testo, o le successive letture nei secoli, perdono l’originale ma la ‘pura lingua’ che l’originale custodiva resta dentro i ritmi delle lingue d’arrivo senza per questo essere più ‘chiara’ o definitiva nel suo senso. C’è dunque un elemento postumo nella lingua d’arrivo che celebra la distanza dalla lingua di partenza e avverte della incomprensione che resterà nella recezione del testo tradotto. Il senso così passa a ondate da una lingua all’altra, appare e scompare ritmicamente. Quella ‘pura lingua’ che non è intesa per la comunicazione, comunica se stessa, vuole sopravvivere, tra le righe come tra le lingue e nei ritmi che scaturiscono da una lingua all’altra. È il senso che non sta in nessuna lingua ma nel movimento del ritmo, nell’azione corporea di dire.”

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