Marco Bini, Conoscenza del vento, introduzione di Emilio Rentocchini, Borgomanero, Ladolfi, 2011; Francesco Iannone, Poesie della fame e della sete, introduzione di Gabriella Sica, ivi, 2011; Matteo Fantuzzi (a cura di), La generazione entrante. Poeti nati negli anni Ottanta, ivi, 2011.
di Matteo Mario Vecchio
Ciò che accomuna i tre volumi – agili, editorialmente spartani (e per questo soprattutto, per la non esibita cura editoriale, positivamente degni di nota), ben curati – di Marco Bini, di Francesco Iannone e di Matteo Fantuzzi (i primi due, florilegi poetici; il terzo, antologia di poeti italiani nati negli anni Ottanta) è, oltre a quanto già accennato, il fatto che siano stati pubblicati da un editore, Giuliano Ladolfi, di tenace e ampia esperienza nel campo dell’educazione e della formazione dei giovani, e, parallelamente, in circolarità di istanze pedagogiche, critico e poeta egli stesso.
È a partire da questa comune paternità, critica ed editoriale (comune anche a chi scrive), che i tre volumi assumono, nell’affollato se non addirittura bulimico panorama dell’editoria italiana che di poesia si occupa, una specifica e grata fisionomia. Specifica dacché prestigioso è il contesto d’incubazione relativo al valente manipolo degli autori in questione, riferibile (anche idealmente) all’esperienza di «Atelier»: di qui la gratitudine, se vogliamo, la gratitudine «fabbrile» e costruttiva di cui respirano le collaborazioni interne alla casa editrice, pur nella eterogenea diversità delle vedute e delle prospettive, in una tuttavia sostanziale uniformità qualitativa dall’esito originale e significativo.
Sulle riviste giovanili degli anni Trenta si faceva un uso molto spiccato della parola «clima» – «nostro clima» –, nel tentativo – alla luce della labilità etica dei tempi – di definire una appartenenza generazionale, una presenza, una costruttiva reciprocità; di delimitare, facendone emergere i contorni e le specificità, questa presenza, operante e propositiva. Come nota Matteo Fantuzzi, nella poesia della «generazione entrante» subentra, al senso di «comunità» (di «clima», appunto) che ha caratterizzato la generazione dei nati negli anni Settanta, la percezione di una deriva e di uno sfaldamento, che tuttavia, rispetto all’apparenza di stigma negativo e fin de siècle, oppone una cifra affermativa nel momento in cui la labilità generazionale si concretizza e incarna come capacità, da parte dei nati negli Ottanta (ed effettivamente formatisi nel nucleo, anche drammatico, dei Novanta-Duemila, caduti muri e ideologie ma inalberatosi l’assillo del terrorismo internazionale, della precarietà lavorativa – Generazione mille euro –, della crisi economica), di percorrere individuali sentieri creativi e sperimentativi, di uccidere i propri – probabilmente ingombranti ma anche, tutto sommato, geneticamente eludibili – padri poetici.
Su questa marca di differenza si imbastisce la sperimentazione, sotto le parole, di Marco Bini e di Francesco Iannone. Sotto le parole, e non alla superficie: nel senso che la sperimentazione operata da entrambi polisce le parole nel loro fuoco, le plasma nel loro farsi, nel loro distillarsi da carne e da esperienza a decanto di quella stessa esperienza. Se la parola poetica è sgorgo di vita mediato da modelli culturali, in Bini e in Iannone resiste una consapevolezza semplice della radicalità etica della parola, ridotta nella (o, meglio, restituita alla) sua feriale graniticità comunicativa. Questo rispetto – questa attenzione, se vogliamo – alla fenomenologia valoriale della parola, alla sua dignità di veicolo di civile interazione umana, costituisce credo un comune anelito della casa editrice di Giuliano Ladolfi; il fatto stesso che a gestirla (e a strutturarne il catalogo) siano soprattutto giovani è dato decisivo della sua credibilità. Accomunando e facendo tra loro reagire questi due dati – l’attenzione per la parola nella sua fenomenologia e la presenza decisiva di autori e di collaboratori giovani all’interno della casa –, sono i giovani, i «ragazzini», à la Elsa Morante, a «salvare» la dignità della parola, a condurla lontano dall’incendio e da quella «strage» del mondo che la Morante temeva; sono dunque i giovani a proteggere la dignità della parola entro la coraggiosa tenerezza di una casa editrice in questo senso nuova, audace, capace di ascolto.