Anteprima Editoriale
LietoColle con Avverso il nome – Antologia di poesia anonima (nelle librerie italiane da settembre 2014) lancia una provocazione: rompere “lo schema di autoreferenzialità autoriale – (così si legge nell’introduzione al libro) – che caratterizza questo tempo”. La sfida, dunque, è quella di pubblicare un’antologia che – “nell’anonimato della presenza – voglia e sappia dare testimonianza della supremazia della parola rispetto alla vanità dell’autorappresentazione.”
Rigorosamente anonimi sono, infatti, tutti gli autori, compreso i curatori della raccolta. Ma l’identità di ognuno, a un certo punto, sarà svelata dalla pazienza di chi vorrà leggerla fino in fondo, provando a snocciolare “i nomi” che la poesia cela, un rosario di nomi, restituiti, alla fine, soltanto dalla lingua della poesia.
(n.d.r)
Nota dell’editore, Michelangelo Camelliti
In questi anni di lavoro editoriale, abbiamo sempre più affinato la passione per la parola nuova e giovane, con l’invenzione di nuove collane e curatele mirate alla valorizzazione delle scritture fuori dai circuiti dell’appartenenza alle corti e alle signorie. D’altra parte, abbiamo visto costantemente aumentare comportamenti autoreferenziali da parte degli autori e mancanza di obiettività da parte dei critici, spesso legati nelle scelte a corrispondenzeamicali più che riconoscendo i meriti di qualità letterarie. Anche nella stessa editoria, troviamo consacrazioni di nomi non sempre motivate da tensioni artistiche eccellenti. Nella ricerca della poesia e dei poeti, abbiamo sempre avuto bisogno di relazioni oneste con le quali condividere l’intensità e l’essenza della parola. Tuttavia, siamo arrivati a pensare che si potesse creare un gesto importante, pulito, limpido, in mezzo al caotico mercato di libri e persone, un gesto povero ma fulmineo che, in qualche modo, rovesciasse la disattenzione al significato in cambio dell’adorazione del nome. Abbiamo – con un generoso e gratuito lavoro di curatela, che resterà sempre anonimo – creato un’antologia dentro cui i poeti si spogliano del loro nome, come se il nome fosse una buccia inutile, secondaria, rispetto alla loro poesia. La offrono sulla piazza dell’antologia per un anno. In questa piazza cartacea non esistono altezze di nomi: vive solo la dimensione dei testi dentro cui il lettori potrà viaggiare e apprezzare. Gli autori e le autrici, noti e meno noti, hanno partecipato con entusiasmo aquesta provocazione costruttiva. È come aver creato una piccola rivoluzione, un’inversione di vento, una semina di sostanze contro la vanità.
I. Ti vedo al plurale
Ti vedo al plurale ti sento
scricchiolare le giunture
forse ultimo tra i tanti
a rileggere il tuo bene
In un attimo ti perdo da anni
intreccio i nomi dei giorni
diversi con la nostra storia
coi grumi da dove ripartono i colpi
Ma dove c’è un futuro voglio
pensarlo con gentilezza
perché non so dove son stato finché
non mi hai chiamato
con il nostro modo garbato di uscire di scena
II. Chi per me ha scontato il 900
E dire che di solito sono i veleni quelli che entrano nel sangue
Essere pazienti anche nella felicità, l’offesa che arreco alle emozioni è il rischio di dimenticare i momenti importanti per essere capaci di innamorarsi
della bellezza che ci aspetta
E non ti sovrapponi, cammini non ti getti in avanti, mi affianchi
Non riesco nemmeno a capire quando parli con me o quando parli in me
Non siamo stati negli stessi urti ma abbiamo avuto collere e compassioni uguali
E se fossi sicuro che avesse capito avrei voluto dirle che le sue ragioni non sono i miei torti
Invece stavo rintanato a ringraziare chi per me ha scontato il 900
E nessun capolavoro solo l’arte di arrivar a sera col nostro amore intero
con la famiglia illesa
Che poi sai amore qual è il nostro errore più grande: avere la pretesa di curare i sintomi a chi aveva la nostra faccia di allora
Pensavo che non voglio che in mezzo ci sia sempre una partenza
mentre mi veniva in mente una frase del libro di barbara
“non si fermeranno davanti a niente pur di ricacciarvi indietro”
Io so solo che il mio sonno richiede intimità
so solo che i posti non sono più quelli dell’ultima festa
so che c’ è sempre qualcuno che rimedia un po’ meno
Tu chiamami io resto nei paraggi coi miei ricordi sfocati a inondarmi
il cervello
III. Avantguard
Lo strumento (con sopra disegnato
un omino supino, le ginocchia
piegate, tre pulsanti sopra e tre sotto),
per alzare o abbassare il mio letto
d’ospedale in tre diversi punti,
è costruito dalla società Hill–Rom
(Zingari della collina?)
e ha nome…
ha nome
AvantGuard.
(Dentro mi risuona una risata irresistibile).
È questa la versione contemporanea
degli dei che comunicano con i personaggi
epici. Quelli di Omero, per fare un esempio?
IV. Ulisse
In seconda media, fissando
le macchie d’inchiostro
e i buchi dei tarli del mio
vecchio banco di legno,
mi chiedevo: ma come può
Ulisse aver vissuto così
intensamente, così compiutamente
e noi qui, ora, così… così
comuni, ordinari, “predestinati”?
Mi sbagliavo. Non è questione
di tempo. Di duemila anni di
differenza, né di quei particolari
e spesso magici eventi esterni.
Audacia, sofferenza, pazienza
e poi anni di lavoro in miniera
per prendere coscienza di tutto ciò
che si è fatto (di giusto e di sbagliato)
e del perché…
e finalmente, quasi alla fine
vieni accontentato.
Capisci la metafora che Omero
ci ha dato. Il modello epico.
Sempre possibile. Mai cambiato.
V. Radici
Le scopro camminando
– le mie radici –
solcando la terra
antenata
nonna
materna
scavando le scopro
quando la suola
si scioglie nel suolo, e
senza lacci, a piedi scalzi
sprofondo nell’ombelicale
volo
d’aquilone.
(Riavvolge quel filo
che chiamo cordone).
VI. Zero infinito
Quaggiù in cima
ho mille anni e sono bambina
Quassù, nella gola profonda
sento il primo vagito della nonna.
Il nucleo non ha un sotto, non ha un sopra
e non ha trama.
Scrivo le scarpe alla mia piccolina,
che la mia mamma non è ancora nata.
VII. Un ingenuo gioco degli specchi
c’è un mirabile ingenuo
gioco degli specchi
in un giardino lontano da qui:
una finta fontana
o falso pozzo
perpetua e ripropone
nell’alto e nell’abisso
il mio riflesso
bisognerebbe eludere
il guardiano e attender notte
tempo il buio
per rimirarsi al gorgo
per ubriacarsi
di quel nulla vedere
di quel “nome non avere”
VIII. Se non per nome
se non per nome
perché io conosco?
se non per beatitudine di lingua
perché io apprendo e capisco?
ha un nome
ogni misura della mia trasgressione
ogni mio sguardo caparbio
ha un nome quando mi ritorna
indicibile ineffabile inscrivibile
trasferisco in un nome che resti
la pietà di ogni pietra
la consolazione del crap
che si innesta su ogni confine
fra la mia attesa del nome
e la sua risposta sottesa
nel nome del nome
per nobiltà del nome
per ogni oscurità e ogni chiarezza
che il nome aggiunge e raggiunge
e allora perché prego un nome
e santifico un nome
che non si lascia dire?
IX. Chiaro di luna
Le nostre lunepiene sono lunazze
palle di matto facce di tordo ingozzato
altre né chiare né scure smottano dai piedi fissi alla terra
chè almeno quella sta ferma
La lirica ci patisce un po’ ma a lungo andare le rime
cantano con altri sonari e anche un’armonica
a saperla ascoltare quando scorre via dall’uno
all’altro filare fa incanto
Pure c’è un’ora di primo mattino
tallona il passo della tana
e ti spacca a metà
i piedi che imbarcano l’acqua di sotto
e rullano come un tamburo di pelle di coniglio
si apre il chiarore a mantello
in un silenzio imparato di echi
e lontanissime prossimità
X. Terio, il cordaro
fai come il cordaro: i cavalletti sulla strada
la mattina prima degli altri e le biciclette a scansare
agili i fili sottili imbastiti di fiato e sputo
la raffia che spunta dalla cintura bassa sul fianco
– cadenzava il passo e all’indietro s’apprendeva alla ruota
un poco salata di anca e saliva nella falcata né lunga né breve
piana di terra
il cordaro danzava sulla strada e i fili seguivano docili posando
la corda tenera di umidori avvitati
in un grido breve e a tempo
come il segnale
che si spegne lì dove nasce e si rincorre –
un battere e levare di terra e di cielo
quasi sorda la pelle prima di terra e cielo levare
il passo del cuore
quando non lo senti
XI. Sorella morte che mi siedi accanto
Sorella morte che mi siedi accanto
sin dal primo apparir di quel pensiero
ch’ogni sussurro volge in dolce canto,
sorgente misteriosa del più vero
amore che nell’universo è dato,
tu che nel fiore più umile e più fiero,
cercando accordo con il canto amato,
ritrovi il soffio effimero, fiorito
sulle deserte labbra e in quello iato,
naturalmente mi apri all’infinito.
XII. Forse era tutto un confuso sognare
Arrivò trasognato al suo paese,
dentro il sole di un vicolo odoroso
di fieno e di pannocchie… era un bel mese
d’autunno?… In un pulviscolo radioso
l’aria tremò dal cielo alla montagna…
… su una roccia splendeva il volto erboso,
ridente d’una madre… o una compagna?…
… forse era tutto un confuso sognare…
ma io ero in piedi in mezzo alla campagna…
e vibrò nella tasca il cellulare…
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In copertina
René Magritte, La reproduction interdite, particolare
Michelangelo Camelliti è uno degli ultimi benemeriti della poesia italiana.
Grazie!
In un primo momento ho pensato: che bello, finalmente qualcosa contro corrente e mi sono incuriosita. E qui mi sono anche allertata, poiché penso che in fondo questo vuole l’editore: suscitare curiosità ed indurre all’acquisto, cosa del resto più che legittima. Per quanto riguarda i poeti, beh, spero che sappiano che non sono con questa simpatica operazione diversi da tanti altri. Il fine ultimo è sempre quello e si sa che per apparire, la cosa migliore è nascondersi…..di Emily Dickinson ce n’è stata solo una!! Inoltre mi auguro che i lettori non si mettano in gara per dimostrare qual è il più bravo nello svelare gli autori, altrimenti la poesia sarà stata solo usata. Comunque, al di là delle opinioni personali, sarà il tempo nei fatti a dimostrare la valenza di questa iniziativa…ora come ora tutto è possibile. Io alla fine l’accolgo con interesse, anche se con un occhio vigile!
Rispondo a Luisa delle Vedove…sulle sue “simpatiche” profonde.considerazioni.
Constato che ci sono persone che si sentono autorizzate a rimettere in ordine le cose perchè depositarie della verità su tutto ,dalla poesia alla vita e a ricordarci che di “Emily Dickinson ce n’è stata solo una” Grazie di cuore!
E se un editore pubblica… potrebbe anche avere un interesse economico ma per fortuna l’occhio suo vigile ci aiuta a non fare errori. Di nuovo grazie!
Che fortuna che in mezzo agli uomini ,miseri e “umani” ci siano – ahimè tanti- Dei…
Buone cose
(Per Emilio): non rispondo al tono provocatorio del commento, perché altrimenti non andiamo da nessuna parte, anche se qui chi si è sentito “autorizzato” a dare giudizi senza aver ben compreso il significato del commento è proprio Emilio. Mi chiedo invece come mai lo stesso si senta così coinvolto e abbia perso tempo a rispondere a me, invece che esprimere la propria opinione sul libro, è forse uno degli autori? Che si sveli dunque, magari mettendoci la faccia nell’esibire anche il suo cognome. Gli ricordo comunque che ho accolto con interesse l’iniziativa e che il mio occhio vigile era solo per me e non per gli altri. Io sono abituata ad essere attenta a quello che succede e a valutare le diverse possibilità e solo possibilità erano quelle che ho espresso. Sarà infatti, come ho già detto, il tempo a dare ragione o a l’uno o all’altro. Che stia altresì tranquillo Emilio e che respiri due volte a fondo prima di valutare le opinioni altrui, così riuscirà a leggere tra le righe e ad evitare inutili patemi emotivi. E che impari a difendere le proprie idee, Emilio, esprimendole queste idee e non attaccando le persone in modo superficiale. Nonostante tutto con simpatia…..
Il progetto è anche interessante, nella sua sostanza. Ovviamente il Collega probabilmente avrà motivi più di “gestione della visibilità” piuttosto che una presa di posizione ideologica. Ma non voglio entrare in merito, magari questo è veramente uno di quei libri che vogliono segnare un punto nel momento culturale in cui versiamo, e allora tanto di cappello. A mio avviso ci sono tutti i presupposti di un successo quanto di un fallimento. L’egocentrismo dei poeti è cosa nota. Ma ci sono anche grandi voci sinceramente innamorate della parola, non di se stessi. Per cui lode all’esperimento. Se posso suggerire però direi di monitorare sempre la cosa in modo tale che l’anonimato resti tale anche dopo la pubblicazione, e di scegliere accuratamente i testi in modo tale che emerga un libro della parola, non delle troppe parole.
Non ho ancora letto il libro “Avverso il nome – Antologia di poesia anonima”. Ma quello che viene pubblicato in questo blog e i relativi commenti sono stati sufficienti per incuriosirmi. Credo che acquisterò l’antologia per una maggiore e diretta conoscenza. Mentre leggevo i commenti, non so per quale misterioso circuito della mente, ho ripensato alla “questione omerica” e in particolare a quell’ ironico passo di Luciano di Samosata (II secolo d. C.) dove il retore greco-siriano immagina di incontrare il grande Omero nell’Isola dei beati. Ripropongo alcuni brani di questo attualissimo capitolo nella bella traduzione di Maurizia Matteuzzi:
“Neppure lui [Omero]ignorava – mi rispose allora – che certuni lo ritenevano di Chio, altri di Smirne, i più di Colofone: era babilonese, invece; dai suoi concittadini non veniva chiamato Omero, ma Tigrane: in seguito, inviato in Grecia come ostaggio, si era cambiato il nome. Gli chiesi, poi, se avesse scritto veramente lui certi versi da espungere, e mi confermò che erano tutti autentici; per cui condannai come davvero eccessiva la pedanteria di Zenodoto e di Aristarco e dei filologi loro seguaci. Soddisfatto delle risposte avute sull’argomento, gli domandai ancora perché mai avesse cominciato l’Iliade dall’“ira” di Achille: mi disse che gli era venuto in mente così, non l’aveva studiato a bella posta. Morivo, inoltre, dalla voglia di sapere se avesse scritto prima l’Odissea dell’Iliade, come i più ritengono: e lo negò. Che, poi, non era nemmeno cieco – altra voce che circola sul suo conto – me ne sono accorto subito: ci vedeva,… quando mi capitava di vederlo libero da impegni; mi avvicinavo, rivolgendogli qualche domanda, e lui appagava volentieri ogni mia curiosità, specialmente dopo aver avuto la meglio nel processo: infatti, Tersite aveva sporto contro di lui una querela per oltraggio, per la maniera in cui lo aveva schernito nel suo poema e Omero vinse la causa con il patrocinio, per la difesa, di Ulisse”
A me pare che il “piccolo editore” Michelangelo Camelliti continui in età moderna l’antica, spesso solitaria o intrapresa in assai piccola compagnia, battaglia contro le vanità letterarie, le “eccessive pedanterie” dei critici, l’attenzione a tutto ciò che è di contorno, ma non è la poesia. Eppure, come ci dice il salace Luciano, “Omero vinse la causa”. Se davvero in questo libro c’è della poesia, come anche da questi pochi frammenti qui riportati mi pare che sia, allora la causa sarà vinta. Anche senza il patrocinio di Ulisse.