Paolo Ruffilli, Variazioni sul tema

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Nota di lettura di Franco Dionesalvi
Con questo libro in forma antologica Variazioni sul tema (Aragno Editore, pp. 360, € 12) Paolo Ruffilli ci consegna un’opera ampia, articolata, generosa; che contiene composizioni sue già note e ne aggiunge di nuove, venendo a costituire un insieme organico e foriero di stimolanti accostamenti, smistamenti polisenso, ulteriori ramificazioni e significazioni.
Nella sezione “La notte bianca” colpisce la riflessione su temi e sollecitazioni impegnativi e talvolta inquietanti, eppure svolta con semplicità, con una franca immediatezza qualche volta addirittura disarmante (ancorché ingannevole, perché il doppio senso, il rimando, il consapevole inganno è sempre in agguato). Del resto “la memoria cede / annaspa e caracolla”.  Si noti l’uso delle rime: “un sentimento/…/ perduto prima di averlo conquistato/ e delirato”: quel che nella tradizione poetica era combaciamento, allineamento, consolazione, qui invece è spiazzamento, depistamento, ulteriore sollecitazione della mente e dei sensi.
In “Paesaggi con figure” siamo nella piena atmosfera tipica di Ruffilli. I ritmi sono rallentati, l’incedere progressivo e silenzioso come un obiettivo fotografico o cinematografico che si avvicina alla meta. E che anzi non sa bene quale sia la meta, e usa il movimento di sé proprio per scoprirla. Così fa il poeta, con la sua osservazione, con le sue parole. Poi la rivelazione è sempre ulteriore, aggiuntiva, ma anche logicizzata, disvela una sua intima emergente coerenza.
Poi con la già nota “Camera oscura”, e quindi con “Diario di Normandia”, diviene evidente come l’osservazione e la descrizione, col suo contenuto connotativo illusorio, sia sostanzialmente interrogazione, soliloquio, dialogo interiore: “Ti accorgi all’improvviso /che le cose riescono a distrarti,/a tratti per lo meno, dall’ansia /e a porre tra te e la vita /lo spazio necessario a contemplarla”.
La poesia di Ruffilli è priva di orpelli, mite, essenziale. Ma bisogna stare attenti, non farsi trarre in inganno: la mancanza di supponenza, la secchezza del tono disvelano puntualmente una poliedricità di rimandi, in una ricchezza di presupposizioni sapienziali che talora necessita, per essere colta, di letture successive. E l’osservazione disincantata dei fili, tesi e apparentemente rigidi, della realtà, è prodiga di ulteriori sorprese: è infatti capace non infrequentemente di schiudersi a varchi in cui attingere all’ulteriore, al non riconducibile a logica, al “miracolo”.
E tuttavia la laicità con cui viene posta questa prospettiva, e la rinuncia a ogni marchingegno tipico della borsa degli attrezzi dei poeti, non si risolve affatto in una ritirata, e nemmeno, come nella tradizione novecentesca, in una negazione: al contrario questa poesia presuppone un atto di fede, l’affermazione dell’esistenza del mondo, la rinuncia al nichilismo. E il poeta ha sì un compito ordinatore, ma la sua azione deve tener conto della “resistenza delle cose”: la sua parola non le domina, ma si miscela con esse, sì che il mondo come noi lo vediamo e come lo riconosciamo è la risultante di questa azione complessa, di questo impasto di parole e di cose, di pensieri e di azioni.
 
 

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