Addio a Gianmario Lucini

lucini
L’ultimo post di Gianmario Lucini su Facebok (in CFR Edizioni) è del 3 agosto 2014. Ci ha salutati così.
Cari amici, ho cercato di riflettere sui fatti di Gaza, ancora in corso. Più rifletto e più sono confuso e inorridito.

Mi sento insomma sopraffatto dall’orrore e non di meno, riflettendo, mi accorgo che è soltanto uno dei mille orrori planetari, solo che è più conosciuto perché i media ne parlano, a modo loro.

Spero che a voi sia concesso un sentire, io non riesco neppure a sentire.
                        
                         Abbracci
                        Gianmario

Non chiedo perdono per il balbutire
incespicare della lingua in brandelli di muro
nel vento salato del luglio
perché crollano gli occhi. Non chiedo
perdono al crollare delle braccia, per il sibilo
della lingua sanguinante nella doppia
sventura del sale e dello scoppio
e per la collera non chiedo
non voglio perdono.
Non ho altro che questa
sgangherata rivalsa della parola che s’inarca
colpita alle costole dal dardo
e getta un grido stremato
prima del silenzio.
*
Eppure la mente s’allarma, conteggia
gli eventi come spine di cardi
– e fu difficile ingoiare
il rantolo della notizia, fu sospetto fu
increduto
quando il boia chiamò il martire in sua difesa
con le stesse parole della sentenza –
inganni dopo inganni l’aguzzino
vestì la divisa del braccato e celebrammo il rito
imbarazzante del diniego.
Io non sono il custode di alcuno e non ho cura
pascolo magre colline e tundre gelate.
Ma oggi la mente s’allarma e i miti
del sangue tornano a ferire la bocca.
*
Eravamo in tre, cinquant’anni appena la somma
dei nostri giorni. Eravamo
da qualche parte in una sera distratta di giugno
in questo immenso niente
e poi fummo niente da qualche parte
disseminati e qualcuno intravvide
nel ghigno dei nostri sonni pendere chiara
una domanda di vendetta. L’altro invece
fu bruciato vivo e la giustizia
penzolando dalla forca lo scorse di lontano
ma non disse nemmeno una parola.
Cerca di immaginare – che noi già lo sappiamo –
il teorema del dire e del contraddire
la rabbia d’esistere. La paura
ammazza con pazienza
e non fa rumore.
*
Quando i morti iniziarono ad uccidere i morti il guaìto
dei cani si mischiò ai vagiti del terrore.
Eravamo tutti in un fiotto di luce
in un mistico panico di amore e di ferocia
eravamo tutti in fuga scagliando i pugni al cielo
eravamo sulla linea del male
con un piede oltre la linea dell’abisso
anelando con terrore al precipizio
e un Dio morto di sete vagava per i campi
bevendo dal fonti insanguinate.
*
L’intimità sventrata degli ultimi
l’intimità rivoltante dei poveri con le loro camicie aperte
e le urla i gesti sgangherati
la loro oltraggiosa fame e il loro indaffarato
brulichìo di insetti incomprensibili
naturalmente al di sotto d’una soglia di decenza
e quelle donne perennemente avvolte in drappi neri
quelle profetesse ataviche di buio e di sventura
come goffi caporali d’un plotone di figli
pulciosi dagli occhi terribili
nello scintillio cupo della sclera
e quell’odore di cibo a buon mercato e animali e polvere
tutto questo non è nostro
e dunque scaveremo un baratro
vi pianteremo un muro.
*
Il sole sorge a mezzanotte
e non ci consente sonno. Lontano
tramano i giganti e preme il fracasso del disordine.
Il nostro cuore azzanna le pietre
e non c’è tempo per la fuga.
Guai alla collera dei vinti
al loro insano moto di rivolta.
La notte non celebra sconfitte né vittorie
la notte celebra soltanto l’orrore
e il desiderio di morire.
*
Non conteremo le pene delle case
le pene dei campi e degli ospedali
ma conteremo soltanto i grani del terrore
che viene dal passato
ad ogni missile ad ogni guerriero che sorge
come un fatmasma antico e tellurico
in un grumo di collera e d’odio.
Ci muoviamo a scatti nella notte
spariamo a tutto ciò che si muove
scaviamo la terra per trarne cadaveri
farli seccare al calore del sole
avvolgerli in funebri drappi
per straziare le menti col terrore.
*
Pagammo ben oltre il dovuto. Abbiamo
in serbo un tesoro di sangue
da scialare poco a poco e berremo
berremo celebrando la tragedia, berremo
vino forte del Negev per dimenticare
che fummo forgiati dai nostri aguzzini
– un poco dei loro occhi
trasmigrò nei nostri e inchiodò
le mappe del cielo al medesimo disegno -.
Ma il nostro terrore li sopravvanza.
*
Dies illa, dies iræ, calamitatis et miseriæ, dies magna et amara valde.
(Liturgia cattolica, Proprio della messa dei defunti)
Dies irae, dies illa, dies tribulationis et angustiae, dies calamitatis et miseriae, dies tenebrarum et caliginis, dies nebulae et turbinis, dies tubae et clangoris super civitates munitas et super angulos excelsos.
(So. 1,15-16).
Ci vorrebbero ali
un corpo liquido che evapori
un corpo inesistente, un’ombra, un refolo
che amalgami la polvere al sangue e al fuoco
polvere che non pianga e sangue muto
dimentico d’esistere e di scorrere
ci vorrebbero ali e non occhi
corpi senza mani e senza capelli
quando le stelle s’infrangono
nel tempo amarissimo dell’ira
e sale la notte dalla terra verso il cielo
sollevando il lezzo di carni votive;
ci vorrebbe un altro mondo, un’altra storia
un altro tempio e un tempo da riscrivere
con lo sguardo solido dei cani e dei bambini
e parole mute
e il grido.
*
                                  Tuba mirum spargens sonum
                                   per sepulcra regionum
                                 
coget omnes ante tronum
                                (Tommaso da Celano, Dies irae)
Tutti i millenni della storia chiusi in un barattolo
un mese arcigno un vomito
d’ira e infine poter piangere
su un’antica nenia gotica
percotendoci il petto col martello
d’una campana in processione, adagio,
seguendo brandelli di feretri
incidendo rughe politiche
al centro della fronte
additando i torti e le ragioni come s’addita
la nave al ritorno da Creta.
Tutti i millenni qui raccolti non ancora iniziati
raccolti in parata a cantare
la nenia, la corale, il disamore
a battersi il petto dopo l’orgia,
ad accusare gli innocenti che dormono
i bambini mai nati e la speranza
folle di madri ingravidate. La vita
che s’ostina a negare la morte,
la morte che tace
assordante e parole
senza alcun significato
che saranno presto dimenticate.
____
Gianmario Lucini, (1953-2014) ha frequentato l’Istituto Magistrale a Sondrio e si è laureato in Scienze della Formazione (indirizzo “Esperto dei processi formativi”) presso l’Università Cattolica di Milano, dove ha anche frequentato un corso di specializzazione post lauream in critica letteraria.
Ha lavorato come impiegato part time presso un’azienda pubblica. Ha svolto attività di formazione per Enti ed Organizzazioni, su aspetti attinenti la comunicazione, la dinamica di gruppi, i modelli organizzativi.
Ha realizzato semplici siti web per Enti senza scopo di lucro.
Ha pubblicato negli anni Ottanta una plaquette di poesie per gli amici e nel 2001 un quaderno di poesie (Allegro moderato), anch’esso non in commercio. La sua produzione (poesie e brevi saggi) è, esclusi i due titoli precedenti, soltanto su Internet.
Ha scritto recensioni, presentazioni di testi, prefazioni, note critiche per varie riviste e pubblicazioni, ma è stato soprattutto attivo su Internet; suoi i due siti :
www.nordorobie.it e www.poiein.it , dei quali è responsabile. Amava la fotografia, la musica, la pittura, la filosofia, la montagna. E’ stato Presidente dell’Associazione Poiein.

4 pensieri su “Addio a Gianmario Lucini

  1. è stato il primo a recensire le mie poesie e ho un bellissimo ricordo di lui, al di là della recensione.. persona di cultura, di spessore, di sostanza, persona vera

  2. Gianmario Lucini era anche un grande piccolo forte fragile editore.
    Dal 2011 ha pubblicato centinaia di autori dando alla poesia
    la possibilità di essere polifonica e libera.
    Grazie Gianmario. Di tutti. Da tutti i poeti di CFR EDIZIONI.

  3. Gianmario è e resterà la cattiva coscienza di quella masnada di editori/pescecani che lucrano sulla creatività e sulla dabbenaggine . Rarissimo esempio di onestà intellettuale , di sensibilità umana e di generosità disinteressata .

  4. Caro Gianmario, quella sua barba che ne addolciva lo sguardo sapiente e mite. Mi raggiunse a casa dopo un viaggio incredibile e notturno in uno di quegli obsoleti espressi. Non volle neppure stendersi sul lettino: -non mi sveglerei a tempo- mi disse, -preferisco una sdraio- Vi riposò un’oretta. Poi dopo un veloce spaghetto, ci recammo a Napoli, al Ceic, per presentare “La meccanica delle pietre nere” in quella biblioteca. Vidi i suoi occhi illuminarsi un attimo quando scoprì che i libri erano stati tutti venduti. Non per i soldi , chè lui non voleva, ma per il successo della serata e per le nuove relazioni che si creavano. Se ne tornò con lo stesso tipo di treno, per risparmiare, con quel sogno che rivestiva le parole: farle capaci di costruire coscienze, e di ristrutturare l’informale antropologia postmoderna. Sembrava infaticabile! Ma era infinita Passione. Onore a questo grande, onesto Poeta: si fa editore per ridare la parola alla poesia!

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