Addio a Gilberto Finzi

Gilberto Finzi (nella foto di Dino Ignani)

Gilberto Finzi (nella foto di Dino Ignani)


Lo ricordiamo con questo scritto di Alida Airaghi su uno dei suoi ultimi libri pubblicati, “Diario del giorno prima”, (Nomos, 2013) uscito su “CriticaLetteraria”, il 18 marzo 2014.
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Nota di lettura
di Alida Airaghi
Gilberto Finzi ha dedicato lunghi e operosi anni alla letteratura in qualità di docente, critico e consulente editoriale, distinguendosi inoltre in modo particolare come poeta impegnato nella ricerca linguistica e sperimentale: ha pubblicato numerosi volumi di versi con le maggiori case editrici italiane, è stato tradotto all’estero, antologizzato, premiato, discusso e celebrato. Raggiunta la ragguardevole età degli ottantacinque anni, ha deciso di dedicare a se stesso l’omaggio di una pubblicazione, presso le eleganti edizioni Nomos, di una sessantina di poesie scritte nell’arco di pochi mesi, “versi insoliti e inattesi…poesie non liriche, umane, forse irripetibili”, tutte incardinate intorno al tema, sofferto e desolante, della senilità: l’età “monstre”.
Ovviamente, il fil rouge che lega la maggior parte dei versi (che l’autore stesso definisce, forse con eccessiva severità autocritica, “un insolito mix di metafisica, ricordo, fatti qualunque, sogni…il tutto condito da un linguaggio prosastico e ben poco lirico”) è quello della memoria (“ieri o ierlaltro,/ un secolo addietro”). Quindi la nativa Mantova, con Piazza Sordello percorsa da turbe di studenti vocianti; i sogni di gioventù irrealizzati (la Parigi-Dakar così spesso vagheggiata); la maestra elementare (“Severa crocchia alla nuca,/ mano tremula e odore di caffè”); le donne amate, le polemiche letterarie; gli scrittori più ammirati e studiati: Dante, Foscolo, gli Scapigliati, Ungaretti e Quasimodo, i francesi… Ricordi di una vita, che ora appaiono annebbiati e talvolta privi di significanza: “Vengono e vanno gli zero colorati,/ i fosfeni, gli inganni di tutto il passato”.
Ma la meditazione sul tempo che passa riguarda anche lo spettrale presente, fatto di isolamento (“La solitudine si svela al mattino/ con le ossa che dolgono”), di visite mediche (“Ho preso il numeretto,/ ho fatto il prelievo, ho dato,/ sono in attesa del verdetto”), di disfacimento fisico (“lo scadimento dei muscoli, degli arti,/ le orbite profonde degli occhi/ luciferini, le petecchie/ nella pelle infisse come chiodi”). E la vanità dei gesti e dei pensieri, la noia di ore che non passano mai e non si sa come riempire (“vivere ormai significa fingere/ fingere fingere/ che si è vivi”; “Uscire, non uscire./ Andare, non andare./ Camminare, forse?”). Anche meditare sulla realtà della morte non aiuta più, e i filosofi tante volte interrogati ed esplorati non sembrano avere più risposte da suggerire:
E’ quando
non riesci ad allacciarti
le stringhe della scarpe che comprendi.
Allora la domanda più insistente riguarda il momento della fine, che si spera improvvisa, indolore e notturna: “Sento il cuore che batte./ Insiste./ Anche questa notte è passata./ Non è successo”, e che si tende ad esorcizzare con qualche ironia:
In bagno no, prego, sono tanti i modi,
i luoghi, i destini, non questo
mi tocchi e mi sorprenda,
in bagno, solo, no!
Se il futuro non può riservare sorprese (“enigmatica anima finita/ in attesa, in attesa…”), Gilberto Finzi sa però mantenersi poeta fino in fondo, e continua a credere nel miracolo dell’istante da penetrare con ammirata gratitudine:
Molto mi preme
questo attimo, lasciarmelo
vuol dire vivere.
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Alla pianura dell’inverno
Alla pianura cuore dell’inverno,
a questa casa dall’edera già morta
tesa sui muri come nervo ed osso,
guarda la fòlaga, e volando
fora la nuvola lontana.
Città d’Egitto mitica e sabbiosa
Tebe vedrà le fòlaghe
chine sui sassi a cercar l’acqua
insieme alla cicogna di Norvegia;
intanto qui vicino a casa
fùmiga lenta una nebbia di lago,
grigio è il cavallo che biàscica fieno
presso le stanghe dei carri arrugginiti.
L’ultimo lembo dell’estate
imputridito pende dall’olmo,
e dove stava il vecchio
svelto aggiustando le sedie di casa
la triplice punta dei forconi
insegue il cielo dietro i pagliai!
di Gilberto Finzi
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Gilberto Finzi  (Mantova, (n.p.), Milano, 2014). Laureato in lettere moderne, è stato
consulente editoriale e critico letterario, collaborando a diversi quotidiani, come Corriere della Sera e Avvenire, e a numerose riviste. Ha curato per Mondadori l’opera omnia di Salvatore Quasimodo, due antologie di “novelle” dell’800 e del ’900 per Garzanti, svariate riedizioni di classici contemporanei, l’antologia “Lirici della Scapigliatura” (Mondadori 1965) e curato l’opera poetica di Giovanni Camerana (Einaudi 1969). Del 1980 è l’antologia “Racconti neri della Scapigliatura” (Mondadori).
Ha pubblicato cinque libri di critica letteraria, due romanzi e una “favola politica” ispirata alla Repubblica di Platone, “Il tarlo della libertà” (2004). Il suo lavoro di critico letterario è raccolto in “Poesia in Italia – Montale, novissimi e postnovissimi” (Mursia 1979) e in “Crepuscolo della scrittura” (Mursia 1991). Articoli di impegno civile sono raccolti in ” Costume e pattume” (Armando 1990). Ha tradotto dal francese poesie di Aragon.
Per la narrativa ha scritto “O barare o volare” (Garzanti, 1977), “L’ultimo valzer di Chopin” (La vita felice, 1995).
E’ stato condirettore (con Gio Ferri e Giuliano Gramigna) della rivista “Testuale”.
Tra le raccolte di poesia più recenti: “Morire di pace” – autobiografia, (Shakespeare 1977), “L’oscura verdità del nero” (Garzanti, 1987), “Dèmone se vuoi” (Book 1994), “Soldatino d’aria”, (Marsilio, 2000), il volume antologico “La ventura poetica 1953-2002” ( F. Motta 2002 e La Vita Felice 2009). Nel 2006 “Poetile” (Aragno), “Diario del giorno prima” (Nomos edizioni, 2012).
È stato tradotto in inglese, francese e croato.

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