E’ nato a Sarzana nel 1949. Dal 1954 vive a Milano, dove si è laureato in filosofia. Negli anni ’70 ha fatto parte, come cantante e autore di canzoni, degli Stormy Six, gruppo storico del rock italiano. In seguito ha collaborato con il compositore Luca Francesconi (per il quale ha scritto due libretti d’opera, Scene e Ballata, e numerosi altri testi), con il fotografo Giovanni Chiaramonte e con i videoartisti di Studio Azzurro. E’ autore di saggi e interventi critici sulla musica (Scrivere con la voce, 2003) e sulla letteratura (La poesia è un fischio, 2007), di un romanzo, La vera storia di Boy Bantàm (2007) e del Dialogo della creanza (2007). Del 2009 è Sotto gli occhi di tutti, un cd di canzoni tratte dalle sue poesie, in collaborazione con il chitarrista Luciano Margorani; del 2013 il cd-dvd Benvenuti nel ghetto, con gli Stormy Six e Moni Ovadia.
Il suo primo libro di poesia, Case, è uscito nel 1986 per San Marco dei Giustiniani. Sono seguiti, per Marcos y Marcos, Esempi (1992), Chiarimenti (1995), Parlare al muro (con immagini del pittore Marco Petrus, 1996), Tutti (1998) e La bella vista (2002). L’ultima raccolta è Voi, Mondadori, 2009. Nel 2014 è uscito un Oscar Mondadori che raccoglie le sue poesie dal 1986 al 2014, con un inedito.
____
Poesie di Umberto Fiori
da Esempi (1992)
MURO
In certe ore
sopra il distributore di benzina
un muro nudo si illumina
e sta contro l’azzurro
come una luna.
A un certo punto uno
abita qui davvero
e guarda in faccia queste case, e impara
a stare al mondo,
impara a parlare al muro.
Impara la lingua,
ascolta la gente in giro.
Incomincia a vedere questo posto,
a sentire
nel chiaro dei discorsi
la luce di questo muro.
ALLARME
In piena notte
sui viali scatta un allarme.
Si ferma, e poi ripete
due note acute, tremende, con la furia
di un bambino che gioca.
Nei muri bui dei palazzi lì sopra
le finestre si aprono, si accendono.
Tranne la strada
in mezzo ai rami, vuota,
niente si vede.
Si tirano le tende
e si rimane intorno a questo urlo
come si sta in un campo
intorno a un fuoco.
ABITANTI
Il sole in alto
e sotto il fumo che sale,
la piazza, i muri in ombra: è l’abitudine.
Dietro l’ultima casa
stamattina sembravano
troppo vicine e nude, le montagne.
Svoltato l’angolo,
c’era il peso delle persone
salite al volo sull’autobus.
In mezzo ai lampi della fiamma ossidrica
veniva da sotto l’asfalto
l’odore del fango.
Da sempre noi stiamo qui.
A volte però ci pare
di non abitare ancora
nel solito posto. Un giorno, andando al lavoro,
la terra sotto i piedi
sentire com’è dura, com’è solida,
ci fa paura.
TRASPORTI
Passando dall’asfalto
a un tratto di lastricato
i finestrini vibravano,
sotto sentivi tremare
le ruote. Sembrava un disastro,
invece, niente di grave:
gente in piedi, gente seduta. Poi
a una certa fermata
giù tutti. L’autobus vuoto
richiude le porte, va.
In curva
io mi sono aggrappato a un’altra sbarra
e l’ho sentita tiepida
sotto le dita
come la testa di un neonato.
SCAVO
In alto girano le gru
e sotto è un viavai di sirene,
ma questo scavo
che fanno in mezzo alle case
sembra in campagna quei torrenti asciutti,
fermi.
Ora il terreno
visto tutto intero
da su, dal sesto, dal settimo piano,
è un grande cratere spento.
Fa spavento vedere quanta luce,
quanto vento contiene.
Per mesi e mesi in questo teatro immenso
si sentiranno urlare le misure.
Poi tutto il vuoto della scena
cemento e vetro l’avranno coperto
e a un terrazzino –chi vorrà ancora guardare-
sventolerà un asciugamano.
da Chiarimenti (1995)
AVER RAGIONE
Quando a furia di prove e di argomenti
e obiezioni e domande sei riuscito
a farti dare ragione
e l’altro, quello che ha torto,
lo vedi zitto lì davanti,
sgonfio, come morto,
questa scena di uno abbandonato
dalle parole
ti fa talmente patire
che pur di farlo ancora un po’ parlare,
pur di non essere più
lì da solo
vorresti dire che non importa,
che la cosa non è
poi tanto chiara.
Proprio allora
ti accorgi che il discorso
ha lasciato anche te.
PIAZZATA
Se di colpo giù in piazza
in mezzo al chiasso
qualcuno alza la voce
e un’altra voce, più forte,
gliele ricanta, e si mettono a urlare
insulti e minacce, è come
se mi chiamassero per nome.
Si capisce ben poco, quasi niente
con gli alberi di mezzo, dal quinto piano,
ma io non chiedo al mio vicino
-anche lui sul balcone- perché lì sotto
si mangiano la faccia. Lo so bene
cosa li fa gridare. Lo riconosco
adesso, mentre mi prende
-anche me- per la gola, e mi tiene
qua sopra, senza fiato:
è grande, e non ha una ragione.
E’ che ognuno al mondo sta lì
con il suo ingombro osceno. Mento, guance,
e gli occhi in fuori, e in mezzo a quel testone
il naso a becco, dicono: così
e in nessun’altra maniera.
ogni momento uno ti si para
davanti, ti fa vedere come,
ti fa vedere chi
bisogna essere.
Così ce ne andiamo in giro
nei bar, sui tram: ognuno un santo mistero
messo in piazza, un esempio
che nessuno può seguire.
E’ questo lo spettacolo sfacciato,
la scenata che sale fin quassù.
*
Viene il respiro degli ippocastani
col buio. L’onda ci lascia.
da una finestra illuminata
anch’io lancio il mio urlo
e mi ritiro.
da Tutti (1998)
OCCHIATA
Col sole, una mattina, ho visto come
la vostra forza vi ha fermato,
care case.
Voi non andate da nessuna parte.
Restate qui, a portata di mano,
ma guardate lontano,
via, laggiù, dove siete
veramente fondate.
CONTATTI
Lo vedi come sono
storto, contratto? Lo vedi questo piede,
quando mi siedo, come lo metto?
E’ tutto per lo sforzo, in tanti anni,
di non urtare le persone. Stretto
contro un sedile, dentro l’autobus pieno,
stare a posto, evitare
coi miei vicini
persino il minimo contatto.
Sulle panchine delle sale d’aspetto
o in treno, in corridoio, era una pena
ogni momento sentire sfiorarsi il buio
del mio ginocchio e del loro.
Ore e ore, giornate intere:
uno di fianco all’altro
stavamo, come i gusti del gelato
nel bar della stazione.
Di vero tra noi, di giusto,
lo spazio di due dita
era rimasto.
MENTO
Se qualcuno per strada
mi grida: “Che cos’hai detto?”,
ferma la moto, scende, mi corre incontro,
mi branca per il colletto,
vuol dire che non cadono nel vuoto
quando uno le dice, le parole:
da qualche parte si sentono.
Mi si vede: non sono trasparente.
Non sono solo, se le mie testate
trovano un mento. Se la faccia fa male
e i denti sanno di sangue
allora è vero: c’è un posto
dove tutti siamo presenti.
E’ lì che ogni momento
io vi aspetto.
da La bella vista (2002)
ECCOMI
Dello sbuffo di polvere che si alza
tra le forsizie e le macchine,
di quest’aria di pioggia, di questi morti
alla televisione,
richiami di cornacchie, sirene
di ambulanze,
nessuno ci assicura.
Del baretto incendiato, dell’abbraccio
di una donna al suo dobermann
all’ombra, qui, del portone
-del loro male, del loro bene-
abbiamo perso la misura.
Facce, bottiglie rotte, rami fioriti:
il mare in cui nuotiamo
precipita
nei nostri occhi senza fondo.
Eppure quando mi chiamano
mi volto ancora –vedi?-
e rispondo.
da Voi (2009)
[Bene]
Le vostre accuse, i vostri
rimproveri, di nuovo.
Mentre li smonto
come posso, uno a uno,
citando fatti, nomi, date,
mentre riconto sulle dita i miei due,
tre, quattro meriti
e vi abbaio sul muso la mia vita
non dite niente: mi guardate.
Le orecchie rosse, le vene
gonfie sul collo
– cosa guardate? Lo so, lo so che il bene
è diverso.
Ma non vi fa pietà
vedere come
ogni giorno son qua
a fargli il verso?
E’ in libreria l’Oscar Mondadori con tutte le poesie di Umberto Fiori (prezzo di copertina euro 20,00).