Chiara De Luca, “Alfabeto dell’invisibile”

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Ferrara, la voce silenziosa delle pietre”

di Matteo Veronesi

 

 

 

Foto di Rachel Slade

Come scrisse splendidamente, tempo addietro (nel n. 9, ottobre-dicembre 2003, di «Cartapesta», piccola e preziosa rivista imolese oggi defunta), Andrea Pagani, «sarebbe stato difficile trovare una città più adatta di Ferrara – dannunziana “città del silenzio”, con le sue ampie strade deserte, con la sua sospesa solitudine, col senso di attesa e di mistero che trasuda dai suoi monumenti –» ad ospitare e sollecitare la genesi della pittura metafisica. Città, proseguiva, tale da ispirare «la suggestione per un punto di vista surreale del mondo; le pieghe del mistero che si nascondono sotto i contorni della realtà; immagini di sospensione, attesa, presagio; una sorta di occhio veggente e di accostamenti improbabili fra le cose».

Lo stesso vale per questi versi di Chiara De Luca, che ho l’onore di presentare. Testi in cui vi è, certo – ma remota, privata di qualsiasi compiacimento decadente, di qualsiasi svenevolezza ed estenuazione estetizzante –, l’eco della città del silenzio dannunziana (o di quella «Ferrara la morta» di cui Corrado Govoni, ad emulazione della Bruges di Rodenbach, cercò, a inizio Novecento, di plasmare l’immagine e il mito); ma nei quali prevale un ritrovato respiro, una rinnovata ariosità, discorsività e umanità del canto, oltre, e non al di qua, di ogni tentazione di formalismo o d’intellettualismo chiusi in se stessi.

Il che non indebolisce, ma semmai rafforza, la portata simbolica, la correlatività esistenziale dei luoghi, degli ambienti, dei nomi, e dei ricordi che essi, quasi proustianamente, richiamano e ridestano.

D’altro canto, la metafisica stessa non porta alla vaghezza o all’indeterminatezza, ma, al contrario, come lo stesso De Chirico sottolineava (e lo stesso potrebbe valere per certi scenari del primo Montale), proprio alla precisione, alla nettezza e alla limpidezza, quasi classiche, di forme e contorni: «È la tranquillità stessa e la bellezza priva di senso della materia che mi sembra metafisica, e tanto più metafisici sono gli oggetti, che per il nitore delle tinte e l’esattezza delle proporzioni si trovano agli antipodi d’ogni confusione, d’ogni nebulosità».

Scrive la poetessa: «…per il muschio fradicio e l’alloro dei giardini / il manto di silenzio che apre i giorni festivi, / per il canto stonato dei colombi che ricorda / il ritmo sincopato del verso quando inciampa…». Vi è, qui (accanto al clima squisitamente primonoventesco, quasi campaniano, delle immagini visive, e insieme visionarie, che si allineano scandite dall’inanellarsi delle anafore), la voce classica, bucolica («nec gemere aeria cessabit turtur ab ulmo…») della natura offuscata dalla presenza umana, ma ritrovata in una parola poetica che aspira, peraltro, ad una limpidezza e ad una fluidità rese più ardue e contrastate dal rovello della consapevolezza stilistica.
Precedentemente pubblicato su Nuova Provincia
http://nuovaprovincia.blogspot.it/2015/03/chiara-de-luca-poesie-per-ferrara.html

 

Testi tratti dalla sezione Ritorno della raccolta poetica Alfabeto dell’invisibile, in preparazione per Samuele Editore

 

                                       A Ferrara

 

 

Dopo vent’anni ti ritorno

a guardare da fuori dritto nel cuore

da viaggiatore che più non cerca

 

da tempo alcun riferimento, madre

tanto lieve distratta e inadempiente,

eternamente infante, mia Ferrara

 

non una ruga sul volto soltanto

i tuoi bar sono cresciuti e i locali

aperti all’esercito fermo nel tempo

 

dei giovani in divisa per l’aperitivo

iscritti d’ufficio alle “compa” che a sera

si trovano al parcheggio dell’Iper a bruciare

metà della serata nel decidere che fare.

 

Torno per l’abbraccio di chilometri di Mura

con le mani aperte che non ne sanno altre

 

e gli occhi tra gli occhi dei dissimili distanti;

 

per il muschio fradicio e l’alloro dei giardini

il manto di silenzio che apre i giorni festivi,

per il canto stonato dei colombi che ricorda

il ritmo sincopato del verso quando inciampa,

 

per la gaia ostinazione di antiche campane

che al dovere richiamano l’ultimo fedele,

per il saluto dei vecchi al davanzale,

gli screzi delle donne al mercato di quartiere,

 

per i negozianti che di me sanno gli orari,

tutto ciò che conta, il nome dei miei cani,

 

per la quiete da dopocena assonnato

quando alle otto scatta il coprifuoco,

 

per lo slalom nelle strade del centro tra le bici,

 

gli incroci di volti e i balconi fatiscenti,

i vicoli scavati come tunnel tra i palazzi,

 

i fregi sui portoni e le pallide iscrizioni,

per la muta sconfitta di antiche prigioni.

 

Torno a sentirmi raccontare dalle pietre,

dall’albero grande dove seppellivo

il vecchio pesce rosso e il fratello uccellino,

 

torno a sarchiare la nebbia per scoprire

il volto dei ricordi che non vogliono svanire

e restano nascosti come spettri per restare,

mentre sfumano nel buio i luoghi del calvario

 

trasferito a Cona l’ospedale è ormai lontano

somiglia adesso a un college americano

 

la scuola che ha visto la mia liberazione

dagli altri in bagno per la ricreazione

molto prima che imparassi a deglutire

la nostalgia del mondo, la siccità d’amore.

 

 

*

 

Parco Bassani, III

 

Violentemente vero il verde vuoto

del prato consacrato dove brulica

 

l’erba in una muta folla dispersa

dalla falce inesorabile del vento,

 

ora che il cielo annera a mezzogiorno

coviamo negli occhi buio a sufficienza

 

per mescere la notte con la luce e non deviare

lo sguardo dal reale.

 

La terra non attende acqua invece attinge

da falde dentro al ventre più profonde,

 

né traccia l’acqua il suo viaggio per cadere

ma evapora l’eccesso di sé per non finire.

 

 

*

 

Via della Ghiara

 

Anche oggi ho scoperto un grande giardino

perla in salvo tra le valve di conchiglia

delle antiche mura gelose di una casa

 

non lo sa il romano che ieri in comitiva

ho sentito dire madonna che griggiume!

che le strade di Ferrara tramano giardini

 

celebrando il verde nel chiostro delle case

dove pregano gli uccelli nell’amen del silenzio

la salmodia segreta di girandole di giorni;

 

lo sanno i gatti dei vicoli del centro

che occorre scalare i muri per entrare,

sgusciare con le ombre dalle gattaiole

 

bocche severe sui portoni delle case

a chi non sa volare o è troppo grande per sgusciare

non resta che essere negli occhi e non lasciare

 

cedere lo sguardo per non perdere il frammento

che dal grigio-perla fuoriesce sfarfallando

dal vano evanescente delle porte a scomparsa

 

intagliate dalla nebbia sui muri dell’apparenza.

 

 

 

*

 

Via delle Volte

 

 

La luce è una palpebra che scivola sul buio

degli sguardi tramontati di finestre cieche

 

in via delle Volte che me ne sono andata

da scuola per correre l’alba sulla mura;

 

di volte di luce sola sulle porte serrate

sui volti aperti dove sono sprofondata

 

riemersa in sagome che sgusciano all’abbraccio

di strade confluite all’incrocio nella notte

 

mentre grava il sipario della nebbia ancora fitta;

via di tutte le volte in cui mi sono addentrata

 

per vedere tra le pieghe riemergere figure

scostare il velo e addensarsi sul proscenio

 

in cerca di uno sguardo che le sappia pronunciare.

 

 *
 

Parco Massari, IV

 

 

L’altro e il basso s’incontrano nel centro

fini foglie scarmigliate coprono a stento

 

la calvizie della chioma che al sole si scappella

ad accogliere in volo come nastri gli uccelli.

 

Lui è di se stesso il bastone cui il tempo

ha avvolto ogni anno attorno in un cerchio;

 

forse ha chiuso gli occhi o tenuto lo sguardo

cieco sull’edera salita lungo il corpo,

 

forse ha dovuto fingersi sordo

a forza d’ascoltare le foglie frusciare

 

e i nodi dentro la corteccia tacere

storie come linfa per tenere.

 

 

*

 

Correndo sulle Mura degli Angeli

 

 

Lungo la navata centrale che risale

 

in verde violento slancio verticale

nella Notre Dame d’alberi la pioggia

 

smalta lo smeraldo delle foglie,

accende le colonne di corteccia,

 

interseca le note d’acqua del respiro

sciolto in fruscio di passi sul sentiero –

 

Corri forte lepre dov’è inutile la fuga

in quest’invernale primavera seminuda,

 

quasi scrosciasse sole per sentire

pioggia defluire quando il vento col sudore

 

gela sulla pelle come brina sulle punte

di rami fuoriusciti dai relitti della notte.

 

 *
Parco Massari, IV

 

 

L’altro e il basso s’incontrano nel centro

fini foglie scarmigliate coprono a stento

 

la calvizie della chioma che al sole si scappella

ad accogliere in volo come nastri gli uccelli.

 

Lui è di se stesso il bastone cui il tempo

ha avvolto ogni anno attorno in un cerchio;

 

forse ha chiuso gli occhi o tenuto lo sguardo

cieco sull’edera salita lungo il corpo,

 

forse ha dovuto fingersi sordo

a forza d’ascoltare le foglie frusciare

 

e i nodi dentro la corteccia tacere

storie come linfa per tenere.

 

Chiara_De_LucaLaureata in Lingue e Letterature straniere a Pisa, Chiara De Luca ha frequentato la Scuola europea di traduzione letteraria di Magda Olivetti a Firenze e il master in traduzione letteraria per l’editoria dell’Università di Bologna, dove ha conseguito un dottorato in Letterature europee con tesi sull’opera giovanile di R. M. Rilke. Scrive poesia, narrativa e critica, traduce da inglese, francese, tedesco, spagnolo e portoghese. Ha pubblicato con Perdisa la pièce teatrale Duetti, con Fara i romanzi La Collezionista (2005) e La mina (stra)vagante (2006), i poemetti La notte salva (2008) e Il soffio del silenzio (2009) e la silloge Il mondo capovolto (2012), con Kolibris la raccolta poetica La corolla del ricordo (Kolibris 2009, 2010), edita anche in versione bilingue con traduzione in inglese di Eileen Sullivan (The Corolla of Memory, 2010) e l’antologia Animali prima del diluvio. Poesie 2006-2010 e ha in preparazione l’antologia bilingue La somma di ogni ritorno/The Sum of Each Return, con traduzione inglese di Gray Sutherland. Ha pubblicato testi poetici in varie riviste e antologie. Ha tradotto e pubblicato oltre cinquanta raccolte poetiche di autori stranieri contemporanei. Ha curato per Fara Editore l’antologia di giovane poesia italiana contemporanea Nella borsa del viandante (2009) e con Kolibris A margine dei versi. Appunti di poesia contemporanea (2015), raccolta di saggi, articoli e recensioni su un centinaio di poeti contemporanei italiani e stranieri, già pubblicati in precedenza su rivista, in volume o in antologia. La sua raccolta poetica Alfabeto dell’invisibile è in uscita per Samuele Editore.

Sue poesie sono state tradotte in inglese, francese, tedesco e spagnolo e rumeno.

Nel 2008 ha creato Edizioni Kolibris, casa editrice indipendente consacrata alla traduzione e diffusione della poesia straniera contemporanea (http://edizionikolibris.net). Cura il blog “A margine dei versi”, dedicato alla critica del testo poetico, e il sito internazionale Iris di Kolibris, dedicato alla traduzione poetica, al bilinguismo e alla letteratura della migrazione, cui collaborano numerosi poeti, traduttori ed editori di diverse nazionalità (http://irisdikolibris.net). Per il sito del festival Parco Poesia cura una rubrica dedicata alla giovane poesia internazionale (http://www.parcopoesia.it/tag/giovane-poesia-straniera) e per la rivista peruviana “Vallejo & Co” una rubrica dedicata alla poesia italiana contemporanea. Con il poeta e traduttore canadese Gray Sutherland si occupa della rubrica “Gray Ink”, dedicata alla traduzione in inglese della poesia italiana contemporanea. Il suo sito personale è: http://chiaradeluca.net.

 

 

 

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