INTRODUZIONE
di Fausto Gianfreda
“[…] noi cristiani insistiamo nella proposta di riconoscere l’altro, di sanare le ferite […]”.
Papa Francesco
La mia meditazione sulla storia dell’ingenuo folle del Graal data ormai da quasi trent’anni. Si è nutrita di letture sempre più accurate, ogni volta inducendo a frequentazione più seria delle fonti. Ogni nuova interpretazione della storia mi rimandava, infatti, alla necessità di tornare ai racconti originari: primo fra tutti – in ordine cronologico ed assiologico insieme – il Perceval di Chrétien de Troyes.
La meditazione continua tuttora. Ne è prova questo ultimo tentativo di dire il mio sempre più grande interesse: attraverso una riesposizione in versi della storia. Penso che l’assimilazione diventi matura solo quando si avverte il bisogno di narrare ad altri il contenuto con parole proprie. Allora la storia ci è entrata dentro: quando colori e suoni del dire sono tessuto che noi stessi provvediamo alla tradizione della trasmissione.
Intendo questo mio esercizio di lettura/scrittura quale gioco di conversazione con un grande classico, utile al mio percorso di crescita umana e di sviluppo della ricerca teologica, secondo l’insegnamento di David Tracy che ha mirabilmente mostrato come la teologia sia un’arrischiata interpretazione di classici[1]. La Passione di Cristo permea questo classico – come tutto il ciclo del Graal – animando la storia e crismandola nel suo punto apicale, guidandola sotterraneamente tra i meandri dei motivi più umani di mezzo alla battaglia e all’incontro d’amore[2].
La scuola degli Esercizi Spirituali di Sant’Ignazio di Loyola, con la sua composizione di luogo – soprattutto al cospetto dei vivaci e talvolta sconvolgenti quadretti di alcuni libri del Primo Testamento, animati dai moventi più passionali eppure misteriosamente al servizio della Redenzione –, ha reso possibile questo esercizio interpretativo.
L’ultimo tratto di percorso ermeneutico ha beneficiato dell’originale lettura di Simone Weil (1909-1943), cui ho dedicato due anni fa un libretto che metteva in risalto il valore cristologico della storia in discorso, in una ricerca di senso riguardante la giustizia cosmica ed esistenziale[3]. Proprio la Weil ha fissato il mio canone ermeneutico nel problema dell’attenzione quale condizione necessaria alla realizzazione dell’esistenza umana. Da qui il valore archetipico della storia del giovinetto cavaliere nel sangue, il cui destino d’elezione rompe le barriere di un narcisismo da protezione materna per un’alienazione salvifica di sguardo. Il viaggio esistenziale del protagonista per eccellenza della storia del Graal descrive le tappe di un percorso di Risveglio ove accade il transito dall’ego al Sé, centrando la personalità nella Trascendenza che si rivela nel dono della vita. Nell’immanenza di una domanda posta al volto concreto di un ferito si attinge il senso trascendente del vivere. Il mistero del Graal dice la visione gratuita concessa a coloro che sanno disporsi ad uno sguardo di novità: ammaestrati dalle prove dell’esistenza e, inevitabilmente, dal fallimento. Proprio l’attraversamento della notte oscura – insegna Simone Weil – rende possibile il ri-orientamento dello sguardo che tutto attende dall’Alto. In questa attesa, nata dallo spasimo frustrato e dall’abbandono, c’è posto per la salvezza. Allora Dio discende e porge luce a chiarimento di lettura della vita. Di fatto l’itinerario del puro folle è un processo di conversione quale progressiva apertura a Dio.
Nel mio libretto indicavo alcuni luoghi di meditazione weiliana all’incrocio con approfondimenti storici, teologici e psicanalitici. Tali informazioni erano affidate a corpose note. Nei presenti componimenti si rinvengono, a lettura attenta, le diverse voci: a formare una ricca e complessa narrazione, che lì ovviamente trova rimando di specificazione. Ho seguito, qui, la lezione spirituale di Simone Weil, secondo la quale la poesia è il raggiungimento più alto e difficile dello spirito. Ella stessa compose versi: quasi distillato delle proprie convinzioni maturate nello straordinario laboratorio dei Cahiers[4].
Sono molte le opere che hanno trattato la storia del cercatore del Graal sotto diversi profili epistemologici. Trasversale è il riconoscimento di essere dinanzi ad una narrazione per la formazione spirituale attraverso iniziazione e percorso a tappe. Per la presente composizione ho adottato come quadro di riferimento l’opera Parzival di Wolfram von Eschenbach, sempre avendo comunque in mente il racconto originario di Chrétien de Troyes[5]. Ne ho tratto una scansione in dieci momenti, ognuno dei quali è un passaggio evolutivo della coscienza del protagonista, la cui trasformazione interiore è in vista della dignità regale. Non nascondo l’intenzione di accostare tale rappresentazione ad un classico dello sviluppo spirituale quale Le dieci icone dell’uomo in cerca del bue[6]. Ho affidato all’arte del Maestro Goffredo Gaeta – con cui ho il piacere e l’onore di collaborare da molti anni nella rappresentazione di soggetti sacri su vetro e ceramica – il compito di disegnare per tratti essenziali le scene da me selezionate ed evocate nei versi: pittura e scrittura, infatti, sono sapientemente associate nella suddetta celebre storia zen.
Il narrato di alcune tappe anticipa il futuro. Come in una tragedia, un coro ideale descrive gli eventi, evocandone il senso a disvelarsi e accompagnando le azioni con commento. Esprime una coscienza interrelata, popolata di spiriti e presagi: l’attore stesso, ignaro, ne ospita le voci.
L’intento principale di questo mio studio è ambizioso, pur nella consapevolezza della modestia dei versi: favorire, soprattutto nei giovani, nuova attenzione ad una tra le più belle e significative storie dell’Occidente[7]. Proprio ora che questa parte del mondo soffre una crisi morale prima che economica è necessario saper dialogare con la propria debolezza senza rinunciare all’altezza del desiderio: scorgendo in tale dialogo costretto la via ad un’autentica realizzazione dell’attesa. Il puro folle del Graal può aiutare l’Occidente a saper riconoscere il proprio errore e a farsi condurre dalla Provvidenza oltre l’egoismo e la paura.
Ho proposto il mio Parzival, glossandolo con riferimenti ai miei passati studi sulla Weil, ad un gruppo di partecipanti al mio Corso di Formazione alla Meditazione Logos alogos con risultati eccellenti. Sono dunque confermato nel pensiero che la sua pubblicazione possa davvero essere utile[8].
Una parola di ringraziamento va alla Dott.ssa Anna Rita Chierici, il cui amore per la parola ha mosso a una lettura meditata del testo e la cui amicizia ne ha favorito la candida espressione in postfazione. Che la sua testimonianza di donna esperta di teatro possa essere buon viatico per il viaggio di questo mio piccolo lavoro.
Infine, nell’offrire tale elaborazione poetica della storia del cercatore del Graal, mi accosto con rispetto alla figura dell’illustre gesuita e poeta Gerard Manley Hopkins. Camminando al fianco di maestri, si può avere audacia e tentare vie impossibili…
Roma, 3 febbraio 2014
Anniversario della nascita di Simone Weil
[1] Su questo argomento cfr. D. Tracy, The Analogical Imagination. Christian Theology and the Culture of Pluralism, Crossroad, New York 1981; Id., Plurality And Ambiguity. Hermeneutics, Religion, Hope, The University of Chicago Press, Chicago 1994.
[2] F. Suitner, I poeti del medio evo. Italia ed Europa (secoli XII-XIV), Carocci, Roma 2010, sottolinea il carattere di Ur-storia proprio dell’evento della Passione nel mondo medievale e, in particolare, nel ciclo del Graal: “Il fatto che la storia della Passione sia pervasiva nel mondo medievale si ricava per esempio dalla constatazione che essa deborda in tutti i sensi dalla letteratura specialistica a essa dedicata. Non c’è soltanto un’enorme produzione, in pratica in ogni paese, di testi poetici che narrano la vita di Cristo o suoi specifici momenti: la storia di Cristo penetra all’interno di opere di altro genere, mostrando in questo modo in pieno la sua natura di Ur-storia, di evento di riferimento. Può bastare qualche semplice esempio. Nella poesia epica, come del resto anche nel romanzo cortese, la storia di Gesù è spesso introdotta per fini identitari. È quella che dà un senso all’agire dei personaggi positivi, Carlo Magno e i suoi successori, i paladini e i cavalieri, di fronte ai protagonisti negativi, i pagani, gli emissari di Maometto che minacciano la cristianità. Il cavaliere del medio evo è tale anche per il rapporto particolare che ha instaurato con la vicenda cristiana e con la figura di Cristo e questo aspetto, come a tutti è noto, si approfondirà e radicalizzerà nell’immaginario del romanzo bretone, quello della Tavola Rotonda e del Graal” (p. 153). Di fatto – sia detto per inciso – nel Parzival di Wolfram von Eschenbach finanche il mondo dell’Islam è abbracciato in qualche modo dal segno cristiano.
[3] Cfr. F. Gianfreda, Il Graal di Simone Weil, Pazzini, Villa Verucchio 2012.
[4] Per un esempio della formidabile arte della Weil nella composizione poetica quale esercizio di sintesi speculativa, cfr. F. Gianfreda, Logos alogos. La giustizia cristologica nei Cahiers di Simone Weil, Pazzini, Villa Verucchio 2011, pp. 237-238.
[5] Ottima raccolta commentata delle opere afferenti il ciclo del Graal trovasi in M. Liborio (a cura di), Il Graal. I testi che hanno fondato la leggenda, Mondadori, Milano 2005.
[6] Per un’introduzione a questo classico, cfr. M. Autore (a cura di), Le dieci icone del bue, Lantana, Roma 2012; V. Tamaro (a cura di), Vuoto/Pieno. Il bue e il suo pastore: una storia zen dall’antica Cina, Laterza, Roma-Bari 2013.
[7] M.-D. Chenu, La teologia nel dodicesimo secolo, Jaca Book, Milano 1999 (edizione originale: Id., La théologie au douzième siècle, Librairie Vrin, Paris 1976), afferma che la storia del Graal costituisce un esempio vivido dell’arte simbolica descritta da Alano di Lilla, per cui metafora e mito servono rivelazione e discernimento della verità profonda degli esseri: “«In superficiali litterae cortice falsum resonat lyra poetica, sed interius auditoribus secretum intelligentiae altioris eloquitur, ut exteriore falsitatis abiecto putamine, dulciorem nucleum veritatis secrete intus lector inveniat». Così Alano di Lilla enuncia il principio della sua arte, secondo cui la metafora, e più ancora il mito – il mito della natura, il mito della Fortuna, il mito di Venere –, che ne estende l’applicazione ad un lungo racconto, non sono soltanto un procedimento letterario (tropus) per evocare poeticamente una realtà spirituale, ma un mezzo omogeneo per significare il contenuto interiore delle cose: dunque non gioco psicologico di esteta, anche se l’eleganza letteraria («elegans pictura», ibid.) vi svolge un ruolo, ma discernimento, nello spessore degli esseri, della loro verità profonda e segreta, rivelata attraverso questo mezzo. Avremmo potuto raccogliere simile enunciato, a livello di pedagogie, presso questo o quel professionista delle «arti poetiche», meglio ancora, coglierlo nelle opere di un Chrétien di Troyes o nei romanzi arturiani: la ricerca del Graal non offre il tema più bello per quest’arte?” (pp. 179-180; per il testo originale in francese, cfr. M.-D. Chenu, La théologie au douzième siècle, cit., p. 159). Per un aggiornamento degli studi sull’evoluzione del mito del Graal, cfr. F. Zambon, Metamorfosi del Graal, Carocci, Roma 2012.
[8] L’utilità testata nel Corso suddetto è nella direzione ben illustrata in J. Gottschall, L’istinto di narrare. Come le storie ci hanno reso umani, Bollati Boringhieri, Torino 2014 (edizione originale: Id., The Storytelling Animal. How Stories Make Us Human, Houghton Mifflin Harcourt, New York 2012), che mostra, con il supporto di conoscenze tratte da biologia, psicologia e neuroscienze, come la finzione narrativa rispondente alla grammatica universale delle tematiche principali desti l’attenzione nei confronti delle grandi difficoltà della condizione umana, consentendo una migliore risposta ai problemi dell’esistenza.
Postfazione di Anna Rita Chierici
IN VIAGGIO CON PARZIVAL
Scrivere le mie impressioni e sensazioni relative alla lettura di questo splendido poema mi ha dato l’opportunità di approfondire la storia del sacro Graal e del giovane folle Parzival.
Alla storia misteriosa del Graal hanno attinto e si sono ispirati numerosi scrittori e registi cinematografici, spesso però affrontando il tema in modo superficiale. Hanno offerto tesi discutibili ma accattivanti e spettacolari al fine di attirare il grande pubblico.
Il Graal: pietra magica, piatto, calice utilizzato da Gesù nell’ultima cena; simbolo di sapienza e conoscenza, grazia divina e natura mistica dell’uomo. Quale chiave di accesso possiamo usare per scoprirne il segreto? P. Fausto Gianfreda, con la sua opera in versi, ci indica la strada: suddividendo la storia di Parzival in dieci episodi, ognuno dei quali corrisponde ad un “passaggio evolutivo della coscienza del protagonista”.
Accompagno il protagonista nel suo viaggio esistenziale e scopro me stessa. Con lui vivo le avventure che lo conducono al risveglio.
Il peregrinare del giovane dal cuore puro Parzival ci racconta un percorso di conoscenza di sé, attraverso il superamento delle prove cui la vita lo sottopone. Il giovane rappresenta la nostra anima pura, incontaminata, primitiva, archetipica, che noi abbiamo perduto ma possiamo ritrovare.
Parzival è l’eroe, l’eletto, il risvegliato. Questa è la storia di un’anima in cammino verso la luce e la salvezza.
Qual è la mia natura?
Quale la meta?
Queste sono le domande che il protagonista pone ai cavalieri, erroneamente creduti dèi, all’inizio del poema. L’immagine del padre morto prende possesso dell’anima di Parzival, il quale desidera diventare cavaliere proprio come l’amato genitore: l’unico modo che conosce per ricordarlo e onorarlo.
Per proseguire nel suo intento però tradisce l’amore materno, iperprotettivo e castrante.
La madre si rivolge al figlio con queste parole:
Amato figlio mio,
amato figlio!
In te tuo padre vedo:
il suo destino.
[…]
Distogli, figlio, il tuo sguardo dalla Gloria.
Rimani nel mio cuore:
qui, per sempre chiuso,
recinto dal mio amore.
[…]
Non compierlo il tuo nome.
Ad esso muori
e cambia il tuo destino:
in me rimani.
Il giovane deve trasgredire e proseguire il suo cammino anche a costo di sacrificare l’amata madre, che si lascia morire per il dolore sofferto a causa del suo abbandono.
Il peregrinare di Parzival è scandito, quindi, da passaggi evolutivi della sua coscienza. Assistiamo alla sua trasformazione interiore, alla presa di coscienza di sé e al suo percorso spirituale verso la salvezza.
Egli viaggia, combatte da abile cavaliere e conosce l’amore della regina Condwiramurs che subito abbandona per continuare la sua folle avventura.
Non riconosce l’opportunità che gli viene data di salvare la sua anima ponendo al Re Pescatore, sofferente per una grave ferita all’inguine e regnante su una terra desolata, la domanda: “Qual è il vostro tormento?”.
Non riconosce il Graal. Si perde, si consuma, attraversa la notte oscura struggendosi e dilaniandosi l’anima.
Promessa fu la Luce a me, l’eletto.
Ma dove tutto questo ora mi porta?
Non vedo io, non vedo.
È notte fonda.
È gorgo di pensieri.
È buio in cuore.
[…]
Gettato nei meandri di una vita senza senso.
[…]
Occlusa è la mia mente dal vagare.
Instabile ed incerto il mio volere.
Ondeggia senza posa il mio pensiero.
Dopo numerose peripezie, il giovane ritorna sui suoi passi. Incontra l’eremita, che gli racconta la storia del Graal e lo confessa. Parzival riconosce le proprie colpe nei confronti della madre e del Re Pescatore: la mancanza dello sguardo salvifico…
Riparte alla ricerca del Graal e infine pone ad Anfortas la domanda tanto attesa: “Qual è il vostro tormento?”.
Anfortas è salvo e anche la sua terra. Parzival è il nuovo re del Graal.
Il poema ci parla di amore, conoscenza e risveglio. Parzival è il nostro specchio, ma siamo noi pronti a intraprendere il viaggio?
Lungo è il cammino, la strada da percorrere è accidentata, le prove da affrontare sono ardue e dolorose.
Dobbiamo penetrare con coraggio nella notte oscura.
La crisi in cui viviamo oggi è principalmente morale e culturale. Ci sentiamo impotenti, insicuri e impauriti di fronte all’ignoto. Questo ci porta ad assumere un atteggiamento di chiusura in noi stessi, per cui l’altro è vissuto con sospetto e diffidenza.
Il racconto di Parzival ci esorta a vivere nel coraggio e nella fede, amando e donando la nostra vita. Abbiamo bisogno di fare silenzio dentro e intorno a noi. Dobbiamo metterci nella condizione di sentire e vedere in profondità quali sono le richieste urgenti del nostro cuore malato e della nostra anima assetata di vita e di amore. Dobbiamo trovare il coraggio di porre la domanda: “Qual è il vostro tormento?”. Porre a noi stessi il quesito e cercare di comprendere quale tipo di vita stiamo vivendo: se la nostra o piuttosto quella che altri hanno deciso per noi…
Vivere la propria vita con consapevolezza vuol dire mettersi sempre in discussione, non dare mai nulla per scontato. Vuol dire sfidarsi, senza paura, e bandire l’egoismo dal cuore.
Credo che l’opera di P. Gianfreda debba essere proposta nelle scuole, per una nuova e appassionante lettura della storia di Parzival e del sacro Graal. Un poema che tocca l’anima di chi lo legge, portando alla riflessione. Abbiamo tutti bisogno di nutrimento spirituale. In particolare gli adolescenti, che vivono disagi e sofferenze profonde, spesso inosservate e inascoltate.
Una lettura attenta ci disvela i segreti della nostra vita, non permettendoci di fuggire.
Il mio viaggio continua…