Aïcha Arnaout è nata a Damasco il 13 ottobre nel 1946, dal 1978 risiede a Parigi. Dal 1961, scrive, pubblica, partecipa a diverse manifestazioni poetiche e compare in numerose anthologie.
Tra le sue opere ricordiamo in arabo: L’Incendie, poesie, Editions Dar Alkalima, Beurouth, 1980 ; Sur les Gaines des Feuilles Mortes, poesie, Union des Ecrivains arabes, Damas, 1986; La Patrie interdite, poesie, Editions Dar Elfikr, Il Cairo, 1987 (che comprende una selezione di poesie da due raccolte : Non e Le Papillon découvre le Feu; Cendre, poesie, Editions Aladin, Damas, 1996); La Nostalgie des Eléments, poesie, Editions Dar Kan’an, Damasco, 2003; Je te conduis vers l’autre, Romanzo, Ed.Dar Kan’an, Damasco, 2006 (Titolo in arabo Aqudoka Ila Ghayri). In francese: Projet d’un poème, poesie, Parigi 1979, edizione limitata; Eau et Cendre , Collection poésie, Editions Le Pli, Orléans, novembre 2000; Fragments d’Eau, tradotto dall’arabo da Abdellatif Laâbi, Editions Al Manar, Parigi, ottobre 2003; La Fontaine, scritto a due mani con Alain Gorius, Editions Al Manar, Parigi, marzo 2009; La traversé du blanc » poema, disegni di Jacky Essirard. Ed. Villemorge & Kalima, Angers, 2011.
Traduzioni dall’arabo: Jébu, poema di Etel Adnan, 1982; Visions, poesie di Azmi Moraly, 1999; Tanka, poesie di Francile Caron, 2002; Je .. ne, poesie di Antoine Emaz, Editions Verlag im Wald (Ed.en Forêt) Rimbach, Germania 2001; Désert, Les Convergences » foto di Rose Marie Marque, poesie di Abdellatif Laâbi, Editions Marsam, Marocco 1998 (collaborazione alla traduzione); Le Spleen de Casablanca, poesie di Abdellatif Laâbi, Ed. Tobqal, Marocco 1998; Le Bazar, libro fotografico, testo di Victor Ede, foto di Payram, Edition In LibriS, Parigi 2005; Le retour à Hayfa , pièce teatrale di Jean-Luc Banzard, ispirata al romanzo di Ghassan Kanafani, 2006.
Messe in scena e in musica: Arabesque, performance presentata in francese e in arabo nell’ambito della terza Biennale di Marin, Martinica nel 1995; Eau et Cendre, performance in francese, teatro L’Epée de Bois, nell’ambito della manifestazione Lumières de l’autre rive », Parigi, maggio 2000, musica originale di de Frédéric Tenesson. Sue poesie sono state cantate da Kamilya Jubran in duetto con Werner Hasler a Wameedd nel 2005 e a Makan nel 2009.
(Traduzione di Chiara De Luca)
essere e disessere
Latente l’infinito polarizza l’essere
l’eternità lo riflette
in un etere strano
sfocato dolce-amaro
perdutamente
ho sfiorato
le ombre della vita
le sagome della morte
a ogni istante
argilla e ceneri si confondono
lenta traversata
da un carapace all’altro.
,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,
Alchimia dell’essere
elisir della tenebre
linfa della luce
essere
e
la ri-partenza.
,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,
Ipnotizzato
fino a quando
coniugare apparenze
sgranare illusioni
che smembrano il tuo essere
e t’impediscono d’installarti
in te stesso?
,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,
Oltre l’orizzonte che fila
l’ordine frattale
lavoro la protocreta caotica
risveglio la schiuma dell’ibernazione
accompagno l’essere
verso il suo destino perpetuo
essere e disessere.
,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,
Stando all’ombra
e alle tue molteplici mute
sei destinato
all’emersione e all’estinzione
per sempre
tra fini specchi
le tue immagini laminarie
si scardinano
s’inseguono
si sovrappongono
si amalgamano
misterioso itinerario
a perdifiato
essere e disessere
a ogni istante
incessantemente.
,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,
Aveva
accuratamente
sistemato i paraocchi
lungamente sognato
contemplando
l’attesa delle mummie
la pazienza degli ammoniti
crudele fantasticheria
questo impulso all’immortalità
in uno solo carapace!
,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,
Rintracciava le sue immagini possibili
nelle orme dell’universo
sulle labbra delle piaghe galattiche
tra illusioni e chiarori
l’incertezza nutrice non faceva che cominciare
sfiorava la sua mutazione incessante
nella lava matrice
abitava il nondove
per riguadagnare il suo spazio
immolava l’erranza delle sue ombre
sull’altare dell’istmo primordiale
e trovava solo polvere e cenere
eccola di ritorno
alla sede della libellula
vibrante nella sua immensa vertigine
s’insedia
germoglio
nel suo esilio d’essere.
,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,
Dal disordine fluttuante
al caos originario
delle confusioni di sensi
all’intuizione primale
dell’impermeabilità delle ombre
allo stato traslucido
diventare
sapere come davvero morire
come sistemarsi
ogni giorno
in pace
nella propria bara
staccata dalla schiavitù lussureggiante
spiumata degli accessori chimerici
sradicata dal proprio stesso nome
sistemarsi interamente
là dove cessano
il fruscio del cuore
il ronzio dei pensieri
diventare
affiorare o ogni istante
il proprio vivo niente
liberare dai loro esìli
i fantasmi e le ombre
intrufolarsi
indistinto d’immagini senza confini
liquidità delle forme della pre-gestazione
diventare
costantemente
partorirsi
più familiari
a sé stessi.
,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,
Le mute dell’ombra
che seguo
non sono che tracce
dei miei esili d’essere.
,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,
La porta è aperta
nessuno vi entra
e nessuno ne esce
sebbene all’interno
ci sia qualcuno
che attende il suo ultimo invitato
per dare l’addio
a sé stesso.
,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,
Inavvertitamente
hai scelto l’altro lato dello specchio
la discesa amara al mondo
l’ineluttabile gusto dell’oblio
muovi i tuoi primi passi
per abitare la tua pelle d’abisso
lavata dalle acque dello Sige e del Lete
nodo scorsoio
di una traiettoria incompiuta
per sempre.
,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,
La messa
a nudo
gravitone repellente
arco vergine
poi
non hai che da rovesciare la freccia
lasciarla operare
in fondo agli specchi
mortificazione
iridato
seme e
provette
avresti ripreso la strada del ritorno
all’uno.
,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,
Né ombra né eco
le figure fluttuanti si succedono
nell’insaziabile voracità del transitorio
uscire dal caos
rituffarvisi
come un delfino che gioca
annodarsi
sciogliersi
dal nucleo della propria leggenda
dalla carne del mondo
collezionare queste periture esistenze
lastricate di passioni e afflizioni.
,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,
E dire che sto per nascere
che la mia attesa è un semplice fatto di cronaca
che il mio cammino era lungo
che le derive mi hanno strappato i passi
il festino delle ombre è finito
la stele
porta solo la data della tua morte
arrivi tardi
sei già fantasma.
,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,
Sfibri il tuo corpo eteroclito
fino al confini delle linfe
fino al grappolo primogenito
delle tue cellule d’embrione
per una vita intera
sei stata solo un incidente di percorso
tra mummie frenetiche
cadaveri ambulanti
dèi cavalletta scortati da buffoni
straniera per sempre
nessuno ha parlato del tuo midollo fossile
delle spighe pietrificate dei tuoi campi interiori
lo strappo era il tuo rimedio
il nulla il tuo ritorno
il periplo dello svezzamento era lento
esitante
palpi la tua gestazione singolare
nell’argento vivo degli specchi ingannevoli
rosicchi la tua solitudine dolciastra
l’attesa bianca a bordo dell’iride d’origine
l’enstasi delle dita nel plasma delle parole
la felicità dell’erranza
la deflessione di un impermeabile chiarore
che ti propelle
verso l’ambra primordiale.
,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,
Di là là del più distante degli anni luce
di qua dalla più infima lunghezza di una particella
sei solo questo gatto chimerico
nella provetta delle prove
morto e vivo
allo stesso tempo
né morto né vivo
a ogni istante
che te ne fai
della tua gigantesca arroganza?
,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,
Essere e disessere
nessun paradosso
dalle ceneri di ciascuno
rinasce l’altro
le passioni conducono alla vacuità
la vacuità trascina lo stupore
la stupore soglia dell’estinzione
dall’estinzione emana la grande passione
e nessuna frontiera
essere e disessere
osmosi fertile
senza stimmate
né cicatrici.
,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,
Aïcha Arnaout, inverno 2006
être et désêtre
L’infini latent polarise l’être
l’éternité le réfléchit
dans un éther étrange
flou doux-amer
éperdument
j’ai effleuré
les ombres de la vie
les silhouettes de la mort
à tout instant
glaise et cendres se confondent
lente traversée
d’une carapace à l’autre.
,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,
Alchimie de l’être
élixir des ténèbres
sève de la lumière
être
et
le re-départ.
,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,
Hypnotisé
jusqu’à quand
conjuguer les apparences
égrener les illusions
qui démembrent ton être
et t’empêchent de t’installer
en toi-même ?
,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,
Par-delà l’horizon filant
l’ordre fractal
façonne la protoglaise chaotique
réveille l’écume de l’hibernation
accompagne l’être
vers son destin perpétuel
être et désêtre.
,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,
D’après l’ombre
et tes multiples mues
tu es destiné
à l’émersion et l’extinction
pour toujours
parmi de fins miroirs
tes images laminaires
se déboîtent
se pourchassent
se chevauchent
s’amalgament
mystérieux itinéraire
à perte de souffle
être et désêtre
à tout instant
sans relâche.
,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,
Il avait
soigneusement
ajusté son œillère
longtemps rêvé
contemplant
l’attente des momies
la patience des ammonites
cruelle rêverie
cette impulsion pour l’immortalité
dans une seule carapace !
,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,
Elle dépistait ses images possibles
dans les vestiges de l’univers
sur les lèvres des plaies galactiques
parmi leurres et lueurs
l’incertitude nourricière ne faisait que commencer
elle frôlait sa mutation incessante
dans la lave matrice
hantait les nulles parts
pour regagner son espace
immolait l’errance de ses ombres
sur l’autel de l’isthme primordial
et ne trouvait que poussière et cendre
la voilà de retour
au siège de l’éphémère
vibrante dans son immense vertige
elle s’installe
rejeton
dans son exil d’être.
,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,
Du désordre flottant
au chaos originel
de la confusions des sens
à l’intuition primale
de l’imperméabilité des ombres
à l’état translucide
devenir
savoir comment vraiment mourir
comment se loger
tous les jours
en paix
dans son cercueil
détaché de la servitude luxuriante
déplumé des accessoires chimériques
déraciné de son propre nom
se loger entier
là où cessent
le bruissement du cœur
le bourdonnement des pensées
devenir
affleurer à tout instant
son vif néant
affranchir de leurs exils
ses fantômes et ses ombres
se faufiler
flou d’images sans confins
liquidité des formes de l’avant gestation
devenir
constamment
s’enfanter
plus familier
à soi-même.
,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,
Les mues de l’ombre
que je suis
ne sont que les traces
de mes exils d’être.
,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,
La porte est ouverte
personne n’entre
personne non plus ne sort
bien qu’à l’intérieur
il y ait quelqu’un
qui attende son dernier invité
pour faire ses adieux
à soi-même.
,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,
Par mégarde
tu as choisi l’autre côté du miroir
la descente amère au monde
l’inéluctable goût de l’oubli
tu entames tes premiers pas
pour habiter ta peau d’abîme
lavée des eaux du Styx, du Léthé
nœud coulant
d’une trajectoire inachevée
pour toujours.
,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,
La mise
à nu
graviton répulsif
arc vierge
puis
tu n’as qu’à renverser la flèche
la laisser opérer
au fond des miroirs
mortification
irisée
semence et
éprouvettes
aurais-tu repris le chemin du retour
à l’un.
,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,
Ni ombre ni écho
les figures fluctuantes se succèdent
dans l’insatiable voracité du transitoire
sortir du chaos
y replonger
tel un dauphin joueur
se nouer
se dénouer
du noyau de sa propre légende
de la chair du monde
collectionner ces périssables existences
pavées de passions et d’afflictions.
,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,
Et dire que je vais naître
que mon attente n’est qu’un simple fait divers
que mon chemin était long
que les dérives m’ont arraché les pas
le festin des ombres est terminé
la stèle
ne porte que la date de ta mort
tu arrives tard
tu es déjà fantôme.
,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,
Tu défibres ton corps hétéroclite
jusqu’aux confins des sèves
jusqu’à la grappe aînée
de tes cellules d’embryon
une vie durant
tu n’as été qu’un incident de parcours
parmi des momies frénétiques
des cadavres ambulants
des dieux criquets escortés de bouffons
étrangère pour toujours
personne n’a parlé de ta moelle fossile
des épis pétrifiées de tes champs intérieurs
la déchirure était ton remède
le néant ton retour
le périple du sevrage était lent
hésitante
tu palpes ta gestation insolite
dans le vif argent des miroirs trompeurs
tu grignotes ta solitude mielleuse
l’attente blanche au bord de l’iris d’origine
l’enstase des doigts dans le plasma des mots
la félicité de l’errance
la déflexion d’une imperméable lueur
qui te propulse
vers l’ambre primordiale.
,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,
Au-delà de la plus lointaine des années lumières
en deçà de la plus infime longueur d’une particule
tu n’es que ce chat chimérique
dans l’éprouvette des épreuves
mort et vivant
en même temps
ni mort ni vivant
à tout instant
que faits-tu
de ta gigantesque arrogance ?
,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,
Être et désêtre
nul paradoxe
des cendres de chacun
renaît l’autre
les passions conduisent à la vacuité
la vacuité entraîne l’émerveillement
l’émerveillement seuil de l’extinction
de l’extinction émane la grande passion
et nulle frontière
être et désêtre
osmose fertile
sans stigmates
ni cicatrices.
,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,
Aïcha Arnaout
Hiver 2006
Viaggi introspettivi inusuali, fertili e in simbiosi all’io. Ringrazio
Grazie Apollonia Lisco. Un bellissimo nome!