I nuovi percorsi della poesia di Michael Krüger si realizzano, in questo ampio e articolatissimo libro, Spostare l’ora, nel segno di un costante e problematico rapporto con il tempo, e dunque con il senso del tempo stesso nel presente e nella storia. Storia alla quale il poeta dichiara di sentirsi del tutto accidentale o in qualche modo decisamente estraneo, come appare dalla disincantata saggezza di molti suoi versi, per esempio questi: «Io alla storia non occorro. / Lei procede insonne inciampando / fra Kitsch e Gloria». Ma in contrasto con il goffo cammino della storia, e dunque, in fin dei conti, ben più rassicurante, o quanto meno più attendibile, è pur sempre la natura, rispetto alla quale Krüger conferma di avere un rapporto speciale, un colloquio quotidiano, pur nella varietà estrema dei luoghi in cui si trova a vivere, o a soggiornare anche brevemente, e dunque dalla propria terra ai più vari punti di un mondo divenuto ormai piccolissimo. Ed ecco allora che gli attori delle vicende che ci racconta possono essere indifferentemente piante o animali, ma anche uomini, vivi o morti, celebri personaggi o anonime figure di passaggio. Se ne ricava un vasto ambiente totale, dove il mondo si manifesta nella sua varia e incessante metamorfosi. Il poeta viaggia: Venezia, Istanbul, Calcutta, New York, ci manda cartoline dall’India, dal Baltico o dalla Toscana, e si sente simile a un piccolo animale dotato dell’umile e insieme prodigiosa capacità di adattarsi al mondo cercando insieme di mutarlo, si sente uguale al ragno che «tesse la sua vita». Sente che l’umana lingua si deteriora e corrompe come molta realtà contemporanea e già proiettata nel futuro. Ma, come osserva nella sua postfazione Anna Maria Carpi, ci manda cartoline dall’India, dal Baltico o dalla Toscana, e si sente simile a un piccolo animale dotato dell’umile e insieme prodigiosa capacità di adattarsi al mondo cercando insieme di mutarlo, si sente uguale al ragno che «tesse la sua vita». Sente che l’umana lingua si deteriora e corrompe come molta realtà contemporanea e già proiettata nel futuro. Ma, come osserva nella sua postfazione Anna Maria Carpi, che firma anche la traduzione, non cessa di sperare in una nuova possibile apertura, che possa sbocciare «nel caritatevole cuore delle parole».
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Povere mele di febbraio
Sui rami spogli ancora qualche mela
risparmiata dal gelo quando questo
venendo da sud all’improvviso
ha chiuso la terra in una dura morsa,
Il giardino e la vista sul giardino
e anche il cuore che si sognava la neve.
Mele, ma quali! Bucce scoppiate
e polpa bruna, smangiata
che non piace nemmeno più ai merli.
Triste, tremendo: come se la guerra
che si annunciava per la primavera
fosse già passata di qui.
Io ero lì e guardavo, finché niente ho più visto
da paragonare a queste povere mele.
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Michael Krüger, sassone, è nato a Wittgendorf nel 1943, è cresciuto a Berlino e attualmente risiede a Monaco. Ha diretto dal 1968 al 2013 la casa editrice Hanser e la rivista «Akzente». Poeta e romanziere, in Italia ha pubblicato le raccolte Di notte tra gli alberi (2002), Poco prima del temporale (2005) e Il coro del mondo (2010). Fra le traduzioni italiane delle sue opere ricordiamo Perché Pechino (1987), La fine del romanzo (1994), Il ritorno di Himmelfarb (1995), La violoncellista (2002) e La commedia torinese (2007).