Maurizio Cucchi a Roma con “Vite pulviscolari”

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Maurizio Cucchi (Credits/Luigia Sorrentino, 2009, Fabriano “Poiesis”)

Giovedì 22 ottobre 2009 Maurizio Cucchi sarà a Roma al Centro Culturale Bibli di Via dei Fienaroli, alle 20:00 per presentare al pubblico la sua ultima opera di poesia, “Vite pulviscolari”  (Mondadori, 2009, euro 13,00). Coordina l’incontro il critico Fabrizio Fantoni. L’attrice, Anna Rita Chierici, alternandosi con il poeta Maurizio Cucchi, leggerà alcune poesie scelte dal libro.

Nel video, l’ultima parte dell’incontro “Maurizio Cucchi e Milo De Angelis” coordinato da Fabrizio Fantoni a Fabriano, alla seconda edizione di Poiesis, il festival di poesia curato da Francesca Merloni. Le riprese sono state effettuate il 24 maggio 2009 da Luigia Sorrentino.

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di Giorgio Ficara

Con Vite pulviscolari, Maurizio Cucchi ha cambiato rotta e il suo umanesimo freddo, intelligente, insofferente, vagamente beffardo – o altrimenti, la sua sofferente ironia – si sono inoltrati in un territorio di confine. In effetti, l’umano e «inevitabile magone» del Disperso è divenuto qui «bolla definitiva d’aria»; il sensibile, doloroso versarsi, travasarsi – di sé – «nel niente» dell’Ultimo viaggio di Glenn si è chiarito nel pensiero poetico fondamentale: «che cos’è / il nulla?». Se “metafisica” è innanzitutto esplorazione del confine tra esistente e non esistente, sguardo sui concetti primi, visione della struttura del mondo, Cucchi con il suo cadenzato passo feriale si è alfine incamminato nella metafisica: disintegrando ogni retorica – dei sentimenti, della natura, della vita, dello spirito, degli oggetti stessi, lontani e avviliti «senza traccia né attrito» – e negando tutte le oppugnabili rassicurazioni della psiche, riscontra su quella via la forma di ciò che è o fu uomo o donna, come un’informazione che sbuca «viva / o superstite, integra, / emersa da un nero immenso tutto». È il tu madre-padre-moglie che recando consolazione viene al mondo, «in quel poco tempo che è il mondo», o sta per allontanarsene, stillante di mistero, a un passo dal nulla non nominabile (o dal nero tutto) e a un passo dalla vita. È la «storia… ingiustamente accidentata» di una piccola donna «gaia e turbata», «piccola madre» retrocessa al non essere, che all’improvviso da quel buio confine si sporge, amorosa, come da una finestra fiorita. È l’antica ribellione «astratta, totale» di un essere chiuso nella sua insufficiente forma umana e l’attuale, clamoroso «grazie» del figlio di fronte a quella stessa forma… Ma questa temeraria poesia di Cucchi, in bilico tra cielo e «terra da mangiare », «felice attrito / col mondo» e nulla sdrucciolevole, è anche una poesia scritta «per rimanere insieme ancora un po’» – umanamente, uomini e mondo – e per trattenere il mondo in sé, nonostante il «sopore negativo» e la «noia delle circostanze »: custodire la forma-mondo come il bene sovrano, nella sua stessa difforme struttura e nella sua vocazione ultima alla difformità.

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