Massimo Gezzi, “Il numero dei vivi”


Copertina2 (1)Massimo Gezzi
(Sant’Elpidio a Mare, 1976) ha pubblicato i libri di poesia Il mare a destra (Edizioni Atelier, 2004), L’attimo dopo (luca sossella editore, 2009, Premi Metauro e Marazza Giovani) e Il numero dei vivi (Donzelli Editore, 2015) più la plaquette trilingue In altre forme/En d’autres formes/In andere Formen, con traduzioni in francese di Mathilde Vischer e in tedesco di Jacqueline Aerne (Transeuropa, 2011). Ha curato l’edizione commentata del Diario del ’71 e del ’72 di Eugenio Montale (Mondadori, 2010) e l’Oscar Poesie 1975-2012 di Franco Buffoni (Mondadori, 2012). In Tra le pagine e il mondo (Italic Pequod, 2015) ha raccolto dieci anni di interviste ai poeti e recensioni a libri di poesia. Vive a Lugano, dove insegna italiano presso il Liceo 1.

 

ESTRATTI

da Il numero dei vivi, di Massimo Gezzi, Donzelli Editore, 2015 (euro 17,00)

Tre noccioli di albicocca lanciati dalla collina

 

I.

 

Il primo rimbalzò sul terrazzino,

come da regole, si sollevò nella sera

e roteando velocemente su se stesso

si abbatté sull’avvolgibile,

scavandoci un cratere.

 

II.

 

Il secondo rimbalzò sul terrazzino,

come da regole, prese un angolo sbagliato

e sfrondò le foglie giovani del fico,

frullando come un tordo.

 

III.

 

Il terzo rimbalzò sul terrazzino,

come da regole, si alzò all’altezza giusta

e con un angolo perfetto finì

contro il grido esterrefatto della maestra

che proprio in quel momento

si affacciava alla finestra.

 

 

 

Strillo

 

Una ragazza contro l’alba che si affaccia

dal Ceneri. Compita, le labbra messe a u,

mentre sfoglia un quotidiano.

 

«Si barrica in casa e ferisce a morte il figlio»,

è lo strillo di apertura.

Quali abissi attraversano gli uomini

e le donne? Niente, nessuno

sembra scandire la domanda.

L’avrà pure pugnalato, risponde la luce,

ma tu mi vedi ancora indorare

i binari e fare glicine l’aria.

Hai ragione, luce d’alba.

Ha ragione pure lei, che sfoglia

distratta e si aggiusta lentamente

una ciocca di capelli, sbirciandosi al finestrino?

Un giorno gli abissi spaccheranno

la nostra pelle e non importa

chi farà il titolo, con quali dimensioni.

Gli altri sbadiglieranno di fronte a un nome

sconosciuto, schiacceranno tra le palpebre

il sonno che li vince.

 

Alla stazione successiva apre gli occhi e guarda fuori:

un’unghiata di sole ha ritagliato

una lama di smeraldo lungo il fianco dei monti.

 

 

 

Discorso ai nuovi vicini

 

Difendere un perimetro di luci:

qui il muro, lì un tavolo disegnato

contro il bianco, delle tende, il bagliore

intermittente del televisore che le incanta

e le rende vive. Dentro storie semplici,

né colpevoli né innocenti: il termometro

per la febbre, un quadro, uno sguardo

che rade il buio e si consuma nell’attesa.

Chi abbia ragione e chi abbia torto non lo dicono

le case. Eppure tutti, appesi al vostro vuoto

che un passato di generazioni riempie sempre

di un senso, scambiate una parola con il monte

che incombe e guarda il lago come un angelo

di terracotta veglia una casa: senza vederla.

Difendere un perimetro di spazio,

di esistenze, appartenersi nel rito

del risveglio sotto un unico

tetto che sembra casa e non lo è,

perché le luci già tremano e il termometro

dice febbre, e in una, due giornate uno vende

una discendenza, spicca i quadri, strappa le tende,

ne fa stracci. Nella breve parentesi

di questi istanti vivete voi.

 

 

Traccia n. 4

 

Una delle tracce è sulla nostra capacità

di «abitare poeticamente la terra»

(Morin, e molti altri – troppi? – prima di lui).

«Poeticamente, dice?» Sono gli occhi

di una ragazza che quasi sbigottisce,

quando legge quella frase.

«Anche poeticamente», preciso: «Anche. Non ti pare?»

«Mah», risponde subito «Magari qualche volta.

Ma solo per un attimo. E per poche persone».

 

Per poche, già. Non ci avrà mai pensato, Morin,

a limitare quella frase? A inserire un inciso,

a precisare che magari per qualcuno

– per troppi? – la poesia è appena un lusso

o un impaccio, quando dietro uno sguardo

mezzo ironico e mezzo serio si intuisce

che qualcosa è accaduto, o che qualcosa…

 

«Per pochi, dici bene. E allora

spiega perché è così. Contestalo,

il filosofo, se non dice la verità».

Risponde e abbassa gli occhi, inarcando

un po’ il labbro:

«No, prof, grazie: ho scelto un’altra traccia».

 

 

Prima che tocchi l’erba

la boccia appesa in aria contro il cielo

viola chiaro, prima che atterri –

prima che l’onda si rovesci sulla sabbia

e cancelli

le orme di chi ci ha camminato

per disperdere un pensiero –

prima che l’odore dei pitosfori

sia gelato dall’inverno

 

devi dirlo il dolore di non essere

più, se la memoria è anche questa

incompiuta congrega di persone

che hanno amato inutilmente,

preoccupate o distratte,

ma per sempre stagliate nell’azzurro

navigato dai pipistrelli che gremivano

il buio rischiarato dai fanali.

 

Sono loro, ti hanno amato.

Hanno potuto quel che hanno saputo.

Hanno sbagliato.

 

 

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