Opere Inedite, Selenia Bellavia

 

selenia_bellaviaA cura di Luigia Sorrentino
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Ha pubblicato “Pourparler” (Prova d’Autore, 2012), con prefazione di Manlio Sgalambro e una nota di Franco Battiato. Dalla prefazione: “[…] Ma dopo che la teoria del bosco è prevalsa sul bosco – vedi Heidegger e famiglia – la lingua si appiccica al palato. Il risultato, cioè, è il silenzio. Selenia Bellavia non ha pietà alcuna per le sue ‘creature’. Essa procede implacabile come deve essere un poeta e per un momento dà realtà a quel nulla che ci attornia (Manlio Sgalambro)”. “William Shakespeare  – SONETTI 1 – 48” – Prova d’autore – AA. VV; “99 Rimostranze a Dio”Ottolibri Edizioni – AA. VV.; “Lodi Del Corpo Maschile”, a cura di Alessandra Celano e Giulio Mozzi – AA. VV. Alcune sue poesie sono uscite su Critica Impura e L’Estroverso.

CRITERIO

 

Dai recessi chiusi d’una stella

mi chiedi la porzione vera

dell’ipotesi abbigliata

e non l’immagini

non sai il fruscio

del fiume indivisibile da un ethos

già lontano speri di vedere

in un brandello

quel volere stinto dal fortore per un vuoto

riscavato è l’animato falso

ancora umano ancora il nero sull’origine

la diga più consunta nel declivio

e sarà un treno deragliato

a consentire accenti nuovi

se figurò il prodigio l’equazione

instabile ai frammenti e certe anime

riflesse

divorate sopra i nastri

per un gesto per la sete per il senso d’una ruga

fu la voce e fu parola nata

mille giorni scorsi e donna uomo e l’epoca distesa

un sintomo contratto al bianco sterminato

fu quest’oggi e fu ogni volta

una miscela cromica e l’effetto e piega somigliante a un vincolo

l’incanto

e fu la tecnica fu sangue denti muscoli del collo

la tua bellezza esplosa

fuori fase.

 *

VISIONE

 

Svariano le nubi

modellate maschere d’un mondo

senza ragione chiedere a quel vento

– né alla luce che rimane delle stelle

cera ispanica e cinabro nella scena di proemio

o bianchissime s’allungano

a frantumare

le monotonie d’un cielo appeso.

Dici è tutta polvere

la rifrazione esplosa di quel verbo

ornamento indispettito battito di nulla

in particelle minime e protoni

capaci di mutare il margine

in avanzo d’arabesco.

Nessuno ha più la forza di finire

senza lo strepitio levato dentro al cuore

i giorni alti vogliono lo sguardo

a premiare carne rivestita d’incredibile

come certi corpi nell’assolate piazze.

Pure è nostra l’immutabile finzione che trabocca.

Dilla nostra summa organica

una vista già pronominale sull’epilogo di forme

quasi fosse l’antropometro di senso

rammagliare la natura

nomando l’orbita che abbrevia il tuo respiro

una compiuta redenzione.

Svariano le nubi.

Senza ragione.

E meccanico s’unisce un sibilo

a provarne la presenza

un corpo illogico

nel tremolio dell’aria gonfia per il sale

senza poggiare il capo sulle scontate suppliche

le affilate orme di memoria

bruciate al crollo di un’impossibile certezza.

Nel fondato carico d’insieme

soltanto rive prodigiose

e stagioni di contate cellule

a brillare.

 

 *
MOVIMENTO

 

Quando sulla terra cadde il giorno

e tutta l’insolvenza cerebrale

poté annientare l’extra della pena

giacque al chiuso un cielo terso

come fosse inefficace

il cedimento d’ogni merce

quell’evento

travasato in nuovi stati di materia

fece il battito caparbio

l’accidente rumoroso ai sensi vivi

una voce per un tocco

il miele per l’azzurro

linea assurda come il tempo

abominevole

nel patto riavvitato.

Non si precipita

come sabbia sterile nel vetro

si conta ogni mattone incuneato

appresso ai giorni

in splendide finzioni

rianimate bocca a bocca

in divenire

quasi che un singulto smisurato

fosse il bisogno unico del nascere

abbozzato nella farsa di riparo.

E nessuno che attraversi

il rango umano

solus cum solo

nel mantello elementare decrittato.

 

 *

 

FILAMENTI

 

In filamenti ‘sì argentati

da risonare i petti

lucere

ogni bocca esulta d’un sorriso – ancora uno

e diverremo corsi d’acqua

o pietre d’ossa

bianche

bianche superfici a rotazione

voler credere all’alfiere in prima linea

fratto in dieces centes millies venature

solo immagine

tutta immagine la forza delle parti

sfarinata in punti d’aria

come il sempre universale ammette fine

e si ramifica

nel sipario d’ogni luna vera – esotica

s’aggira

nell’odore di candele spente

trattiene il cigolare

quando non è ancora o non è più

l’origine sottile dentro il sonno del malato

rotola impressioni dall’esterno

quasi luccicasse di facoltà corposa

lo spazio irragionevole

staccando piccole figure senza interludi d’ombra

perché il lamento delle cose è calibro

una presa

un letto caldo

oppure il pane che si mangia

imbellettano di vita un legame covalente

tutto da ridere  per come si trasforma e insiste

acceso in filamenti

‘sì argentati da risonare i petti

‘sì vocare i grammi tutti d’altra sete

e riconoscere la sorte nella visione umana

idea-visione umana d’una sorte carezzata

come l’idea.

 *

 

IL PASSAGGIO DI BAFFIN

 

Stenditi, respiro.

Questa pietra è gravida

a forza di visioni.

Trabocca uomini

ingoiati come i figli del principio

vorticando la memoria di richiami boreali

spighe di papiro

e rami azzurri di torrenti.

Presto sarà notte

ma un chiarore d’armatura

strepiterebbe ancora in folgore

se il calice del tempo

tardasse cento lune

oppure colerà una resina

nell’acqua del possibile

leggera

più della rugiada sopra l’erba

e questa nave sarà il colore libero d’un sogno

svaporato

rifarsi ancora sogno.

 

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