Non saprei dire con certezza perché io scriva e probabilmente se avessi una visone tanto lucida smetterei. È certo un modo per entrare in un contatto più diretto e profondo con la propria esistenza. Per me la poesia è sempre un dialogo con l’Altro, che si manifesta continuamente nell’ordinarietà della vita. Scrivere è allora mantenersi in quel dialogo, sostarci per poter procedere.
La giornata altrove raccoglie trenta poesie, scritte nell’arco di un anno. Sono state scritte tutte la mattina o la sera, nella mansarda dove vivo, a Bologna. Il titolo è nato da una mia riflessione circa questo mio scrivere prima o dopo la giornata e ho trovato potesse acquisire un senso più generale rispetto a ciò che credo significhi vivere e scrivere, oltre che al rapporto tra queste due dimensioni.
Se scrivere è lo stare in quel dialogo con l’Altro, che è l’unico accesso a un’esistenza autentica, questa possibilità di autenticità e partecipazione alla nostra propria vita si presenta sempre in assenza della vita stessa. Nel momento in cui tento di possedere la mia giornata attraverso la parola, essa è immediatamente altrove. La poesia è questo nominare la giornata tentando di radunare proprio tutto, ma sempre dalla linea del crepuscolo, dove le cose del giorno immediatamente non sono più. La nostra stessa esistenza è sempre e continuamente Altro, altrove.
Da: “La giornata altrove“, di Simone Marcelli, Giuliano Ladolfi Editore, 2015
La solitudine è questa palla che ti mostro: guarda
questa che tiro fuori spingendo il pugno
fin dentro la gola, alle tonsille: sembrerebbe di pelo
nero (accumulato in questi mesi, leccandomi dalla noia).
Ora, se io porto la mano agli occhi, la sento
dentro e la sento fuori: e prende infatti a lievitare
e levitare e levigare ogni spigolo di questa casuccia.
Non dire allora: fermati; piuttosto: prendi la via
degli ippocastani magri e tutto il quartiere Navile, prendi
la città e la crosta intera di questo deposito-mondo.
La vastità è in fin dei conti tenue, sempre. Ben più grave
la microscopica sfera che non saprei lasciare
e che sposto soltanto di tasca quando in centro
d’un cappotto faccio sfoggio.
*
Devo rifare il letto ora, prima di uscire di casa, prima
di iniziare il travaglio del giorno, prima che lo chiuda
al buio della mansarda. Allora si comincia a tirare
e spianare, dai lembi (è un rassettare alla meglio, certo
non un rifare: il segno che qualcuno ci ha dormito
non se ne va), ma anzi va prima sbattuto, che si posino
a terra i peli e tutto ciò che lascia indietro lo squamare
del mio corpo che di notte, solo, fa le prove (non del tutto
gratuite, del resto). Trovo tra le lenzuola una sostanza
dolorosa, informe e quasi deforme, quasi luminescente,
quasi corporea o vera: ho lasciato che riposasse ancora,
senza toccare nulla. Intanto tornerò anche stanotte
a pagare a quella larvula con altra moneta, altra cosa
ma medesima, che darò, che non ho.
*
Come può essere mia questa giornata, se non è
di mia appartenenza nemmeno questa mansarda
dove la concludo (è di uno che ne possiede altre
novanta, arredate tutte in fantasia seriale: di mio
soltanto la poca mobilia Ikea). Qualche ricordo, sì
che non ricorda niente; soltanto un amuleto kitsch
che non mi faccia perder d’occhio le trame strette
che legano anche me. E quando rincaso a sera
e so ancor prima d’entrare che sarà stata altrove
la giornata, non poco pesa questo nostro essere
ininterrottamente qui: l’ombra d’un passaggio
fuori dal vetro è solo un’allusione e nemmeno spero,
per nékya o catabasi, allo scorcio d’un caro.
*
Dove sono le tartarughe vi domando sul ponte
del laghetto artificiale; ora gli zampilli
sono spenti, per paura, e scivola il crepuscolo
non più sull’acqua torbida dello stagno vivace,
ma sul cemento immobile del ghiaccio (qua e là
opaco, ingrezzito dai protuberi della pelle, violaceo
e celestino nel suo abbraccio di alberi verde-bruni
e neri). Quella gran vita di carpe e carapaci
si è nascosta forse sotto (e respira appena), oppure
defilata in parte e di soppiatto, con gli occhietti
puntati sulla piattezza del gelo e su noi,
che fissiamo i nostri, in questo pomeriggio immobile,
che passa. E’ il primo gennaio 2015
e vi giurerei di essermi perso lo sfumare che dica
prima e dopo, vecchio e nuovo: riprendiamo il passo,
che ai detriti arenati a caso sulla lastra non resta
che riverberare un poco e attendere
l’inabissamento marzolino.
*
Facevi il gioco del silenzio se ho scritto questi versi
facevi il gioco di nascondere i foglietti gialli, privi
di colla, così che volavano via, se io ho poi scritto
queste parole: le ho scritte, sì, e ben altro affare
sarebbe stato dirle. Facevi il gioco di non dire il nome
e facevamo insieme il gioco del nascondino, così
a tanarci in quella moltitudine, nella casa buia ingombra
veramente ingombra all’impazzimento di mobili e ninnoli
di viaggi. Ti nascondevi meglio di chiunque altro lì dentro
ma quella casa era mia, irriconoscibile, e mi ci son perso.
*
Nella mia camera, a una certa ora della notte matura
ma non troppo, puoi sentire la nenia meccanica
del furgone dei netturbini (il lavoro è ingrato:
totalmente invisibile, del resto, e accade proprio
quando non importa a nessuno. La mattina poi ti svegli
e la via è più pulita, non certo più bella). E’ qualcosa
che succede questa pulizia di periferia, succede sempre
ogni notte, intendo: ma non lo sentimmo, già dormivamo.
Nella tua camera, in un momento qualunque del giorno
(non siete riusciti a ricavarne una tabella oraria),
si aprono le sinfonie delle campane. Una meraviglia,
mi hai detto. E io ancora non ne ho avuta occasione.
Simone Marcelli è nato nel 1991, a Cagliari. La madre è sarda, il padre romano. Da bambino si trasferisce con la famiglia sul lago di Bolsena, nel viterbese, dove compie i primi studi: il trasferimento è forse un accadimento di poco conto, ma produce in lui una certa libertà – e disaffezione – dai luoghi sin dalla più giovane età.
Manifesta, ancora bambino, amore per la lettura e la scrittura e durante gli anni del liceo vince i primi concorsi poetici giovanili.
Nel 2014 ha letto, con gli eccezionali Enzo Vetrano e Stefano Randisi, alcune sue poesie sul palco della serata conclusiva del ciclo di eventi annuale organizzato a Bologna in memoria della strage di Ustica.
Nell’autunno 2015, l’editore Ladolfi pubblica il suo primo libro di poesie, La giornata altrove.
Attualmente sta conseguendo la laurea magistrale in Italianistica all’Alma Mater Studiorum di Bologna, presentando con la prof.ssa Niva Lorenzini una tesi su Giorgio Caproni.
http://www.lavitafelice.it/scheda-libro/francesco-lorusso/lufficio-del-personale-9788877995810-157539.html
CONSIGLIO DI LETTURA CONTEMPORANEO.
Buona lettura.
Nei temi trattati dall’autore,posto in evidenza, delle analogie sugli argomenti.
Grazie, auguri per tutto.Simone Marcelli