L’amore delicato raccontato da Andrea Gruccia

capelveneredi Daniele Campanari

Ai tempi in cui per fare una fotografia di gruppo si doveva chiedere l’aiuto a un passante, istruirlo rapidamente sui tasti da premere e fargli sapere che, nel caso servisse, esisteva il flash. Ai tempi in cui la parola “selfie” rimandava la memoria solo alla pompa del diesel perché costava di meno, alle manovre da compiere improvvisandosi benzinai per la propria automobile, ecco, a quei tempi là pochi immaginavano di fare l’amore in chat. O quantomeno non era un fatto di discussione pubblica.
Tra quei pochi, oggi, c’è Andrea Gruccia che esordisce in libreria con Capelvenere (Marco Saya Edizioni, 200 pp). Un po’ in prosa e un po’ in versi, sessanta e sessanta per non rendere torto ai conti pari della matematica. Insomma Gruccia (all’anagrafe Appendino)racconta storie come questa: “Quando in chat conosco Sabrina, mi dice subito che colleziona oggettistica anni settanta, e all’inizio non capivo che è interessata a me solo perché faccio parte di quei souvenir, e così, dopo nove anni di chatta mento, decidiamo di incontrarci”. Sarebbero gli anni settanta, appunto. Ma questa storia del virtuale e poi, eventualmente e chissà quanto tempo dopo è, come detto, discretamente attuale.
La poesia di Andrea è talmente infarcita di delicatezza d’amore che sembra una crema, sembra un saccottino alla crema che si potrebbe ingoiare la mattina o la sera, senza differenza di tempo, perché il momento della lettura, in questo caso, si adatta a ogni circostanza. Anche a ogni condizione atmosferica. Scivola leggera provocando brividi sul corpo, accapponando i peli delle braccia, per frasi sintetizzate ma piene di tutto: “[…] ho fatto amicizia con poesie / la tua presenza è dimenticare / chi le ha scritte […]”. E ancora: “le parole sono solo un vestito / se le spogli non c’è nulla […]”.
Ci sono le donne, tante, che saranno state sue o solo pensate ma comunque pare che abbiano incasinato la vita del poeta (come sovente capita): Matilde, Asuka, Flavia, Viola. Con loro, cioè per Gruccia, gli episodi sono bizzarri e le cose assumono nomi nuovi, pescati dall’inventario: “mangiaunghieamico”, per esempio, che i ragazzi accosteranno a quella parola che fa del sesso un amico, della tromba non uno strumento per fare musica né il vuoto delle scale.

Si racconta l’amore con semplicità, senza però scendere in un girone banale così come è rischioso quando si narra di lui, con l’effetto boomerang delle frasi che vanno verso qualche mittente e per qualche motivo (forse per il troppo bene) tornano indietro: “Vorrei leggerti un libro all’incontrario / per dare alle parole un senso diverso / perché è successo che un giorno / qualcosa è andato all’incontrario […]”. Si racconta come, in qualche modo, hanno già fatto Bukowski (ma Gruccia è meno sporcaccione) o da anni recenti il torinese, quindi concittadino di Andrea, Guido Catalano.

“Andrea Gruccia ci parla dei suoi amori strampalati, dei suoi svenimenti esistenziali, ma soprattutto ci offre un ritratto onirico delle proprie vegetazioni, degli spaesamenti, dei disturbi di giovane uomo che ben rappresenta […]”, dice Antonio Bux in una sorta di prefazione in quarta di copertina. E non c’è altro da dire, se non che dell’amore c’è sempre bisogno.

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ESTRATTI

da Capelvenere – Andrea Gruccia
Marco Saya Edizioni

Linda

Linda ad esempio fiorisce ogni giorno,
più volte al giorno
ed i suoi sorrisi diventano soffioni
e se ci soffiassi sopra, si sparpaglierebbero
per la casa o per la macchina
o per quello che ci sta attorno;
più volte al giorno
fiorisce se la guardo dentro di me
un soffione al cuore

* * *

Amuleto

Fortunato chi ha un nome come amuleto,
chi ripete ogni giorno un nome.
Sto imparando a legare i ponti,
l’amore è fatto di ponti sospesi
innesti, quanto di noi troveremo integro,
non c’è mai stato un noi,
c’è sempre stato solo un luogo
disabitato.

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