Bruno Galluccio, “La misura dello zero”

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di Maddalena Lotter

«Amare la verità significa sopportare il vuoto; e quindi accettare la morte.
La verità sta dalla parte della morte.»
(Simone Weil, L’ombra e la grazia)

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A un anno dalla sua pubblicazione, mi imbatto felicemente in La misura dello zero (Einaudi, 2015) di Bruno Galluccio. Dico felicemente perché, se molto spesso nella poesia che viene scritta oggi il lettore è obbligato a contemplare le miserie e le difficoltà dell’interiorità umana, la scrittura di Galluccio invece lo invita ad uscire da se stesso, ad alzare lo sguardo verso l’alto e a confrontarsi con la presenza del mondo; un mondo che è dato nella sua interezza, un universo, una accettazione, una speranza, il cielo insomma, un cielo di cui oggi molti poeti sembrano avere paura, e infatti raramente ne parlano nei loro versi, sempre più introspettivi, personali, arrovellati sull’esistenza in quanto faccenda solo umana e talvolta prepotentemente autobiografica.

L’occhio dello scienziato invece, che è pur sempre un umanista, ma non solo un umanista, ci ricorda che l’esistenza è qualcosa che viene da lontano e che continua anche a prescindere dalla presenza dell’uomo, e che, semmai, con l’uomo viene a convivere e con esso si completa: «anche le particelle maturano e crescono / aggrappandosi alle nostre riflessioni». L’esistenza, per Galluccio, è uno scambio, un ricambio di forze che entrano ed escono; è un mistero ben più antico di noi e probabilmente eterno che risiede nei segreti dello spazio, nella percezione del vuoto (lo zero che è tutto e niente insieme) e in quella splendida complicità fra l’uomo e la luna che un pastore errante dell’Asia ci aveva già a suo tempo restituito.

Questa è solo una, ma forse la più lirica e visionaria delle intuizioni che leggo in questa raccolta: la percezione di una complicità sottile fra gli uomini e il mondo, che è data dal nostro essere sottoposti con serenità e non con paura alle leggi della vita, all’ineluttabilità della morte, così come ai sogni, alle cose possibili e non ancora espresse. La misura dello zero sembra dirci che il legame con la vita non andava perduto nello stagno dell’Io: «questo modello umano si sporge verso gli estremi / e trova radici nei calcoli e immagini / generate dalla vita terrestre / si alimenta delle tracce di particelle e collisioni / e dell’analisi del rumore di fondo dell’universo».

Il rumore di fondo è lo zero smisurato in cui la vita è possibile, e noi, i vivi, siamo la manifestazione fisica di questa possibilità; siamo lo zero invisibile che si rende, a tratti, visibile, per rientrare poi nel vuoto in cui tutto ha origine e fine.
In un grande e necessario atto di onestà intellettuale, la poesia di Galluccio viene a dirci che noi non siamo ‘altro dal resto’, non siamo particolari, e quindi non siamo nemmeno soli. La nostra interiorità non è solo nella realtà del quotidiano, non è solo nell’innamoramento o nella rielaborazione di tristezze private.

L’anima, per Galluccio, non sta dentro e non sta fuori: essa è un contatto.

ESTRATTI DA “LA MISURA DELLO ZERO”, DI BRUNO GALLUCCIO, (EINAUDI, 2015)

quella che vedi mescolata al giorno
è il residuo di una polvere
che viene da un tempo remoto

oggi gli strumenti catturano le vibrazioni della terra
fiumi di metropolitane misure prese dal buio
e portate alla coscienza dei grafici

è un passaggio al limite dell’immaginario
scoprire anche il vuoto con le nostre parole
precipita la capacità di narrazione
e si espande al di fuori degli spazi

anche le particelle maturano e crescono
aggrappandosi alle nostre riflessioni

*

il vuoto sempre un enigma e un mito
abitante con orrore delle prime
domande infantili sull’universo
quando uscire dalla casa è pensiero
e l’oltre era segnato
dall’incubo dell’abbandono

e quel vuoto sembrava proprio
lì fuori di casa in agguato
un agguato lontano e incombente
un allontanarsi da cieco
o muoversi senza ragione
abbandonando i punti cardinali

oggi sappiamo che il vuoto non esiste
ci sono ovunque fluttuazioni quantistiche
ovunque perturbazioni di campo
che fanno apparire fotoni o materia
perché anche qui lo zero
è una funzione fantasma
un valore esatto che non si può raggiungere.

*

il cielo è diventato alto aspro di stelle
così discendiamo nella nostra macchina
a separare le ore dai secoli
per tentare inclinando
la millesima porta del riposo
la campagna respira attimi nelle vicinanze
e i piccoli salti hanno facilità terrestre

le nostre ombre che non esistono
le nostre riflessioni separate
ritorni sopra immagini di ritorni
piccoli laghi il nostro sereno terribile

*

la luna onora le finestre chiuse
hanno sogni di rarità
perciò proiettano disegni
lungo le pareti
la nascita le attraversa

ma adesso non tutto è sogno
il tempo preserva le sue ore
nel bruciare discreto delle dita
il plastico curvarsi delle scapole
nello strisciare ferendosi la bocca
amano quindi come si può
durante una caduta

in oscura verità
dove più si tende la scena
e imitazioni di ombre diventano corpi stellari

2 pensieri su “Bruno Galluccio, “La misura dello zero”

  1. bene. molto bene. ci giro intorno da quando è uscito ma la copertina della copia cellofanata non mi aveva mai del tutto convinto. dopo aver letto le tue parole, sarà il primo acquisto la prossima volta che vado in libreria. grazie.

    non mi interessa la prima persona
    come fossi davvero una sorgente
    non mi riguarda la terza persona
    il vecchio trucco del presente assente

    mi interessa la parola che suona
    lei che può essere vera sorgente
    mi riguarda la vocale che tuona
    evidenza dell’assente presente

  2. Il numero e la qualità delle recensioni di un’opera poetica ( ma vale per ogni opera creativa, e non solo) dicono il valore dell’opera, e, in questo caso, anche la persistenza dell’interesse della stessa nel tempo. E naturalmente aiutano il lettore ad approfondire il senso e a scandagliarne la molteplicità di significati e di temi pur nell’unità assoluta e coerente del tutto. L’opera poetica è tanto più valida quanto più si offre a diversità di lettura, con riscontro reale e preciso nei suoi versi.
    La ricchezza di recensioni, anche a distanza di molti mesi dalla pubblicazione, confermano il valore creativo della “Misura dello zero” di Bruno Galluccio, e, insieme, invogliano a nuove riletture.

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