Adam Zagajewski

WARSZAWA MI

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

di Fabio Izzo

“I poeti non scelgono la loro relazione con la storia. Nascono in un dove e in un quando, qualche volta sotto la linea del fuoco, altre volte al riparo da situazioni difficili, il più delle volte da qualche parte nel mezzo. Alcuni sono caratterialmente in contrasto con i loro tempi, altri mostrano lo spirito giusto per dare voce alla complessità del momento. Nel Ventunesimo secolo i lettori che amano la poesia sono davvero molto fortunati, quasi oltre misura, perché hanno un poeta ideale per la voce di questi tempi.” Così è stato presentato durante la cerimonia finale Adam Zagajewski  , vincitore del premio internazionale Griffin Trust 2016, uno dei maggiori poeti della nostra epoca.

In un celebre discorso Iosif Brodski ha voluto esprimere parole d’elogio per la poesia polacca del secolo scorso, citando due alfieri su tutti: Czesław Miłosz, che vinse il premio Nobel per la letteratura nel 1980 e Zbigniew Herbert, ma noi non si possono e non si devono dimenticare Wisława Szymborska, anche lei Premio Nobel, e Tadeusz Różewicz. Ed è proprio in mezzo questi poeti che, non ultimo, risiede Adam Zagajewski, il cui nome è già stato più volte associato al Premio Nobel. Zagajewski vive quindi, all’ombra di due colossi della Poesia, cosa che avrebbe potuto svilire, mortificare o sfiancare chiunque altro ma non lui, che anzi in questa candidatura, non (ancora) realizzata, sembra fortificarsi, arrivando a plasmare una poesia,  ombra di altissimo livello, arricchita da versi minuziosi e introspettivi, come ad esempio “Nelle città Straniere”:

E pure la sofferenza non è poi così/mia: il matto locale farfuglia/ in una lingua straniera, e la disperazione/di una ragazza sola in un caffè è come/il frammento di una tela in un museo cupo”, versi non a caso dedicati a Zbigniew Herbert, grande osservatore delle cose dell’uomo.

Nella sua “Storia della Solitudine” è invece l’universo. come concetto, che va declinando verso l’uomo, ormai smarritosi al centro infatti qui “La Luna si mette in posa per le foto”, ma nelle opere di Zagajewski non possono mancare i riferimenti ai viaggi, tra cui l’Italia, i luoghi dell’anima dove interrogarsi, tra una contraddizione e l’altra, per cercare di migliorarsi, di migliorare il verso e il suo desiderio continuo. La poesia di Zagajewski abbandona l’aspetto classico della catarsi, per diventare comprensione, come ne “La Sconfitta” dove “Il tè amaro ha il sapore di profezie bibliche. Purché non ci sorprenda la vittoria”. L’autore di “Dalla Vita degli Oggetti”, pubblicato da Adelphi, conosce molto bene il senso di sconfitta perché nella sua città natale, Leopoli, questa potrebbe essere tranquillamente e ironicamente paragonata a un passo di danza, a un qualcosa di ritmicamente imposto dalle vicende storiche dell’Europa dell’Est, tanto che nella poesia intitolata “La bandiera” arriva addirittura a scrivere “La mattina mi sveglio e cerco di appurare con l’aiuto di un binocolo da teatro quale bandiera sventoli sulla mia città”, quasi a voler omaggiare il Miłosz delle Città senza nome (Miasto bez imienia).

Adam Zagajewski è infatti nato a L’viv, ora Ucraina, città che all’epoca della sua nascita, cioè nel 1945, apparteneva allo stato polacco. Adam Zagajewski conosce molto bene il peso della storia che, nel corso dei secoli ha cambiato nome e lingua alla sua città natale, che è stata mongola, galiziana, austrica, ungherese, polaacca, russa e ucraina. Una terra di discontinuità e di radicale incertezze che finiscono a rispecchiarsi nei versi del poeta dove il passato continua a presentarlo sempre nella vita di tutti i giorni perché nei suoi versi la storia non è una cronaca della morte, ma un forza, immensa, a volte sottile e intrinseca che la gente avverte e sente quotidianamente.

Questo modo di vedere e di sentire è come ci modella la storia, ma per un poeta, possiamo dire è così che viene modellata la sua poesia. E se la sconfitta diventa nazionale allora non può che bruciare come “La febbre” appunto, dove “La Polonia, febbre riarsa sulle labbra dell’emigrato….”, nazione che, sempre restando in questa vibrante e appassionata silloge, viene descritta come un “paese senza aculei” che nulla ha potuto contro lo scorrere del sangue, contro “L’armata nera, l’armata rossa, l’armata verde, arcobaleno di ferro” precise parole, usate per colorare “Il Fiume” invadente.

Zagajewski ci insegna quanto profondamente una poesia che considera il passato possa misurare la temperatura del presente, e quanto una poesia possa penetrare nella profondità della realtà, contemplando l’ordinarietà del presente. Le sue tematiche si sono sviluppate attraverso una direzione contemplativa, ha iniziato a comporre poesie dove l’esperienza è atemporale e si interseca con il nostro mondo quotidiano. Quello che sembra davvero interessarlo è l’intreccio della storia e del mondo cosmico, quello immobile, e quello in movimento, in modo completamente diverso. Lui stesso, ha affermato, che non capirà mai come questi due mondi possano convivere limpidi e disincatati, così appaiono i versi del poeta polacco, poesie sottostanti alla continua presenza di una invadente spada di Damocle, dove l’invasore può arrivare in ogni momento, o pregne di silenzio, schiacciate dalla repressione, ma mai, senza speranza.

I suoi componimenti rifiutano l’idea dell’impotenza, anche se tutto quello che possiamo cambiare, a suo dire, potrebbe essere solo i nostri metodi di percezione. La voce poetica di Zagajewski è calda e chiara e si sente degna di fiducia perché non mente; non nasconde i saccheggi della storia, o i pericoli del presente, e si preoccupa di chiamarci a usare tutte le nostre capacità per essere più umani. Tutto ciò può essere, a volte, terribilmente difficile da trovare in noi ma l’essenziale poesia di Zagajewski è qui a ricordarci una delle principali necessità umane, cioè quella di provare. I suoi componimenti ci ricordano, con delicatezza e a volte con sarcasmo, ma sempre con grande compassione, che tutto è ancora possibile, nonostante quello che viene mutilato in noi dalla storia, attaverso un estremo momento lucidità.

Zagajewski ha iniziato a scrivere poesie di protesta contro la repressione dello stato – i suoi lavori furono vietati in Polonia nel 1975, e lui visse in esilio per 20 anni, dal 1982 al 2002. Ma il suo impegno sociale e politico non è mai finito e mai scontato, recentemente si è dimostrato contrario alle posizione politiche attuali del suo paese.

Non lasciare che il momento di lucidità si dissolva
Lascia che il pensiero radiante duri in silenzio
se la pagina è quasi piena e la fiamma sfarfallio
Non abbiamo ancora raggiunto il livello di noi

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