La parte dell’annegato raccoglie poesie scritte tra il 2011 e il 2014. Qui si susseguono, incessanti, voci oniriche e crudeli, figure chiuse nella ripetizione del peggio: pesci che nuotano in ospedali, seppie che non possono riprendersi il loro inchiostro, cinghiali che si danno la caccia da soli.
Molti testi prendono spunto da episodi di cronaca.
ESTRATTI (nottetempo, 2015)
Il freddo
è poco piacevole.
Se si trema
la credibilità
diventa niente.
Per questo ho imparato
a piantare chiodi
nelle mani.
Ora sono
una persona ferma.
**
Ieri il bambino più alto
ha messo una pietra
tra i denti
e ha iniziato a masticare.
Ha dimostrato a sua madre
ciò che una bocca può fare
se messa all’orlo
e che una casa distrutta
è solo una casa distrutta.
Ieri tutti i bambini più alti
hanno messo alla fame i nemici
e raccolto i loro giochi in fretta.
Hanno dimostrato alle madri
l’ordine
e la disciplina dei morti
poi sono corsi a lavarsi le mani
e ad ascoltare le notizie
in forma di ninnenanne.
**
A scuola
le bambine
si dispongono
in base all’altezza
dei loro gomiti.
È una nuova regola.
Le mamme
all’uscita
riempiono di sassi
i sacchetti della spesa
e nascondono
gli scontrini tra le labbra.
Hanno tutte un numero
che identifica la nascita,
che separa nascita giusta
da quella a giusta distanza.
A casa
le bambine
si riempiono d’acqua
e sognano forti gomiti
da scavalcare
come in una guerra.
Chi sopravvive
fa merenda,
le altre di corsa in bagno
a riflettere sulla perdita.
**
Quando mi obbligavano
a mangiare
la profezia serale
– Che cresci forte
e sana – dicevano
mentre mi si scheggiavano
i denti,
non esisteva dolore
nessuna strada
restava da sola
a lungo
e niente era da dire
quindi nulla
c’era da mangiare.
Questo era
il sogno che facevo
mentre la profezia
stava a piccoli pezzi
nel piatto
a raffreddarsi
davanti.
**
Mi sono riempita
una guancia sola
per assomigliare di più
al cadavere che sarò.
E mi farò tirare la pelle
e sarò tossica.
Ingiustamente
guardata come viva
non sanno
che già mi ritiro dentro:
tra gli organi interni
un’intera casa delle bambole
e qualche sigaretta di troppo.
**
Mentre sbattevo
tra le auto
– Non ricordo
non ricordo –
mi suggeriva
la fatina senza denti
e se ne stava
sull’incidente
a morirmi davanti
mentre lasciavo niente
e me lo riprendevo
ad ogni istante.
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Laura Accerboni (Genova, 1985) laureata in Lettere Moderne, vive a Lugano dove ha frequentato il Master in Letteratura Italiana (USI). Sue poesie sono apparse su diverse riviste tra cui Nuova corrente, Italian Poetry Rewiew, Gradiva, Poesia, Lo Specchio (La Stampa), Steve, Capoverso e Loch Raven Review. Nel 2010 ha pubblicato il suo primo libro Attorno a ciò che non è stato (Edizioni del Leone, Premio Marazza Opera Prima, 2012). Ha conseguito numerosi premi per la poesia inedita tra cui Lerici Pea (1996), il Molinello (2000), Piero Alinari (2011). Dal 2012 è nel comitato editoriale della rivista di poesia Steve (Edizioni del Laboratorio). Suoi testi sono stati tradotti in francese, inglese, tedesco, romeno e armeno.