Dalla Prefazione di Elio Pecora
L’amore occupa la prima parte di questo libro, ed è quello petrarchesco dei versi messi in epigrafe che trova l’amante “del tutto disarmato”; ma è anche l’amore che attende e pretende, vede e fantastica, si rallegra e patisce. E’ il sentimento amoroso rivolto a una donna che “domina lo specchio”; dunque, ancora una volta, l’amata si riflette e rivela anzitutto nell’immaginazione e nel sogno. ( … ) Se la donna si presenta qui ancora come l’emblema del femminino, pure di continuo viene incrinato il mistero che l’ammanta. Le calze rosse, i maglioni, le parole scarse, rare, le braccia tenere e avvolgenti, la rendono prossima e viva, ne fanno un corpo da abitare, da indossare. Le “grandi mani calme” sono le prime a mostrarsi nella “stanza segreta” in cui all’amore è dato esistere. I momenti del desiderio placato conducono alla contentezza cui basta poco: Che il posseduto sia l’amante (…) lo prova il cercare dalla parte di lui un’interezza impossibile.
E’ un “parlare” chiaro e onesto questo di Giovanni Bracco: una nudità di toni che rivela grazia e leggerezza, anche dove s’annidano la pena e il pensiero del fatuo e del precario.
Nel verso libero, sempre saldamente ritmato, come nel fluire dell’endecasillabo e finanche nell’uso della rima, la scrittura prende l’andamento di un’emozione colta velocemente e restituita per durare. Nelle altre sezioni del libro, concluso l’evento amoroso, o raramente evocato come un dono, e, lasciandosi a una visione più estesa e travagliata (…), lo sguardo si posa sugli oggetti, si muove nei luoghi e nelle stagioni. Così la girandola piantata sul balcone nel vaso di coccio e il suo disperato sogno di volare; così gli orti gelati dei luoghi nativi, e i momenti fermati dentro “riserve di allegria”, e “prova di resistenza / agli insulti di troppa verità”. Accade che una piuma sintetica, colta nel suo vagare leggero, conduce a una scelta: E’ un libro di poesia questo di Bracco, lo è perché significa e inquieta, e accoglie parole e cadenze necessarie.
ESTRATTI
Alla stazione di Bonassola
Tre pennellate rosa dentro al cielo,
la panchina perfetta
sul marciapiede del primo binario.
Un merci allegro, due interregionali,
la signorina dell’altoparlante
cita località che non conosco.
Tre ragazzi fanno a gara di rutti.
Venti minuti al treno,
poi un letto come un altro. Avrei voluto
arrivare ai confini della sera
col bagaglio ben fatto
e una carezza non occasionale.
Ogni convoglio scuote per un poco
cespi di erbacce sulla massicciata.
**
Dalla mia stanza a forma di conchiglia
sento la vita degli altri che passa,
sbatte, sale, s’infiamma, poi ripiglia,
di là dai muri, con voce più bassa,
sciabordio tra le barche dietro il molo.
Io me ne sto rincantucciato, solo,
e sento pure la mia vita, mossa
dal mio respiro: una boa rossa…
Quasi al largo ogni notte si dissolve.
**
Pomeriggio a Sitia
Alla taverna due giocano a dama
e sei stanno a guardare.
Ci sono tre tavolini sul mare
con la tovaglia candida
e le sedie di paglia
pittate di celeste.
Hanno tutti camicie pulitissime
su canottiere dagli scolli larghi.
Ma c’è un vecchio, di quelli che guardano;
non sorride al caffè, né ai pensieri;
sta corteggiando un’altra sigaretta,
con calma, mentre filtra le parole
degli altri. Neanche lui si ricorda
delle cicche spremute nel piattino.
**
Procida
Su un’isola si aspetta
anche se il mare è calmo.
Sulle isole ho visto
poca gente di mare,
perché è gente costretta
a starsene lontano.
Sulle isole c’è gente
attaccata ai limoni
ai conigli, alle vigne
e a tutte le fortune della terra;
che si ama nella spuma degli scogli
ma se c’è dietro un vento di cicale.
**
Sala di attesa
Domenica, il tempo rallenta. Il fischio
tardo del capostazione scuote
il torpore dei carri semivuoti,
si perde fra i gerani col crescendo
progressivo dello sferragliamento.
Mi avvicino allo scemo che ha dormito
fra i giornali nella seconda classe.
“Sala di attesa”, leggo. Ride muto,
gli occhi perduti nei binari: quello
sorride sempre. Aspetteremo insieme
le sorprese del prossimo convoglio.
**
Una piuma sintetica
si è venuta a posare
su un brandello di sedia di legno
appoggiata al balcone.
Un’altra piuma vibra
dentro una ragnatela
distesa tra le maglie dell’antenna.
In fondo la differenza è questa,
rimanere impigliati o posarsi.
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Giovanni Bracco, giornalista, è nato a Polla (Salerno) nel 1961. Laureato con lode in lettere e diplomato in pianoforte, vive a Roma dove è capo della redazione dell’agenzia di stampa economico-finanziaria “Il Sole 24 Ore Radiocor”. Ha pubblicato poesie sulle riviste “Nuovi Argomenti” e “Poeti e Poesia”. “Le grandi mani calme” (La vita felice editore) è la sua prima raccolta di poesie. Ha quattro figlie. Coltiva la musica, su uno Steinway del 1938, e le lettere; la vigna e un piccolo uliveto.