Laura Di Corcia, “Epica dello spreco”

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Laura Di Corcia, nata a Mendrisio nel 1982, ha conseguito la laurea specialistica in Lettere Moderne, con una tesi sulla poesia italiana del Novecento, occupandosi di Giovanni Raboni, Guido Gozzano, Umberto Saba, Giorgio Caproni e Patrizia Valduga. Terminati gli studi nel 2007, ha iniziato a frequentare il mondo del giornalismo. Dopo un paio di esperienze all’estero (a Berlino e a Los Angeles) è ritornata nella Svizzera italiana dove collabora con diverse testate, occupandosi soprattutto di teatro, cultura e servizi di approfondimento. Oltre ad aver partecipato a diversi Festival, tra i quali Europa in versi e Topolò, ha curato la biografia di Giancarlo Majorino, uscita per la casa editrice “La vita felice”. Il suo primo libro in versi, Epica dello spreco, è uscito con la casa editrice Dot.com Press.

ESTRATTI

1.

Il confine fra chi sono e chi non sono
è una palude larghissima,
una radura di acque di zolfo.
Di notte, se stai in silenzio,
il gre gre di ranelle ti sale fino in gola,
ti si appioppa nel cuore
come un colpo di pistola.
E provaci tu a tenerle zitte,
quelle mezze belve,
a sfibrare il loro lamento di fango.

Tutto è di un liquido
che sfianca la materia
sciorina versi indecenti
da farti tremare di nausea.

Il fluido di stelle
è un mal di testa che non dico
un sogno di quelli
che puoi fare solo in aprile,
in mezzo alla notte,
come un sole d’agosto
che gli dici: no, grazie, è troppo.

2.

Il confine fra chi sono e chi non sono
è una palude larghissima,
una radura di acque di zolfo.
Di notte, se stai in silenzio,
il gre gre di ranelle ti sale fino in gola,
ti si appioppa nel cuore
come un colpo di pistola.
E provaci tu a tenerle zitte,
quelle mezze belve,
a sfibrare il loro lamento di fango.
Tutto è di un liquido
che sfianca la materia
sciorina versi indecenti
da farti tremare di nausea.
Il fluido di stelle
è un mal di testa che non dico
un sogno di quelli
che puoi fare solo in aprile,
in mezzo alla notte,
come un sole d’agosto
che gli dici: no, grazie, è troppo.

3.

Che cosa si prova a non avere
più una mammella
da succhiare,
che cosa si prova a scoprire
che l’asfalto brucia la pelle?
Ricordo il mio stupore, da bambina,
che la bicicletta era una scuola dura.
Rimanevo a bocca aperta
sotto il cielo
prima ancora che nascesse la paura.
Le ginocchia sanno tutto,
conservano i segni, le scorticature.
Bisogna starle a guardare
con pazienza,
capirle a suon di carezze.
Che cos’è un ginocchio?
Un osso a punta,
che ti ricorda quel cielo
e tutto il resto che andava avanti
mentre tu eri ferma, infiammata.
Sappiamo tutti cosa c’è
sotto la pelle:
sputi e grida
Caravaggio e santi.

4.

Il lago ha questo vizio del colore pieno
(e del bosco; e del tonfo)
ha l’allegria attonita di una mosca contro il vetro.
Non è orizzontale,
ma di una verticalità che piomba, che srotola verso
lo zolfo, il terrigno del profondo nulla
che ci contiene e ci origina.
Così, in silenzio, ci dicevamo queste storie
contro le montagne alte, e molte altre
che erano diverse, ma consustanziate al lago.
È di queste appartenenze lontane
che si riempiono le cose.

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