Dalla nota di Alberto Manguel
Se volessimo immaginare il metodo di lavoro di Brancale, è esattamente la tecnica di Rodin: nello scolpire Rodin aggiungeva argilla alla forma che costruiva, Brancale sottrae, sottrae e continua a sottrarre finché non resta che un granello di senso, ma che grano! In una poesia Brancale dice: «Il cuore è perfetto in ogni battito dell’imperfezione», ossia il cuore raggiunge la sua perfetta condizione esistenziale attraverso l’imperfezione del suo battito, come – potremmo anche dire – il poeta raggiunge la sua perfetta condizione esistenziale attraverso l’imperfezione del linguaggio, attraverso ciò che non può essere detto. La metafora, lo sappiamo, è un’ammissione del fallimento del linguaggio; forse per questo Brancale utilizza metafore così di rado. Le sue immagini valgono a se stesse. L’originalità non è necessariamente ammirabile in un’opera letteraria, ma quando essa è riuscita, sentiamo che quell’opera potrebbe avere duemila anni di vita, come per esempio: «la porta sulla stagione di un altro corpo.»
(Traduzione di Federica Cremaschi)
ESTRATTI
voltarsi verso la notte in persona
è così che andiamo nell’assenza
le mani strette intorno al fiato
un cieco col bastone porta il tempo della vista
l’orecchio porge la mano al silenzio
non ci sono ore nel sonno, non peso
né condivisione
il buio trapassa le bocche
fuori
nel sangue il corpo mantiene la sua promessa
chi rimane conta ancora
il numero degli addii è insopportabile
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Cercavo il segreto dell’altro.
Era quell’ostinarsi della carne
a spingersi lontano nel giorno.
Ovunque il tempo delle mani. In loro riposi la vista.
Scavarono in cerca della dimora.
Scavarono fino a trovarsi nella luce totale
quando la cecità è tiranna.
E’ lì. Fuori. E’ nell’altro che la nostra identità non serve.
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In principio fu il bacio coniugato all’infinito sulle labbra.
Giurammo che mai saremmo stati senza.
Giurammo. Siamo noi.
Il sangue che non ha perché.
Il sangue di nessuno.
La disperata corsa verso la prima cellula.
L’annidamento.
Il tempo necessario alla specie per parlare.
Il figlio non nato in vita
che un padre avrà da piangere o nominare sempre.
Siamo noi del mistero la sola realtà.
Noi ci portiamo dentro.
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Domenico Brancale (1976) è nato a Sant’Arcangelo, in Lucania. Ha pubblicato “Cani e porci” (Ripostes, 2001), “L’ossario del sole” con una nota di Michele Ranchetti (Passigli, 2007); “Controre” (Effigie, 2013). Ha curato il libro Cristina Campo – In immagini e parole e tradotto Cioran, Jhon Giorno, Michaux, Claude Royet-Journoud.
è una voce di scavo brancale…. una gran bella voce…..un poeta lucano è brancale ma che in lucania non sanno dei suoi versi (a parte qualche anima candida) ….non sanno nulla in quella terra che tutti i giorni si fanno i gargarismi con questa storia di matera capitale della cultura eurpoea 2019….penoso il quadro!!!!!
mimmo mastrangelo
cronista di cinema e libri….
Letto il libro, lo rileggo e lo rileggo e lo rileggerò. ancora.