Franco Arminio, Cartoline dai morti

Altre scritture a cura di Luigia Sorrentino

Mi era proprio sfuggito il libro di Franco Arminio ‘Cartoline dai morti’  pubblicato da Ginevra Bompiani nel 2010 nella collana gransasso nottetempo (euro 8,00).
Un libro che vale la pena leggere, per due ragioni fondamentali. La prima: per la brevità e la densità della scrittura; la seconda: perché è un libro che lontanamente rimanda – senza esagerazioni – a un’altra lettura, all’antologia di Spoon River dell’americano Edgar Lee Masters pubblicata tra il 1914 e il 1915 con ogni poesia scritta in forma di epitaffio.
La scrittura di Arminio si ‘stringe sulla pagina’, è un’altra scrittura – né poesia, né prosa – è una lingua che solo alcuni poeti riescono a raggiungere.
Franco Arminio dedica questi testi al padre “che non ha più bocca a quest’ora/ e non ha più dormito/ dal giorno della sua morte”.
(Luigia Sorrentino)
“Qui la fine della primavera e la fine dell’inverno sono più o meno la stessa cosa. Il segnale sono le prime rose. Ne ho vista una mentre mi portavano nell’autoambulanza. Ho chiuso gli occhi pensando a questa rosa mentre davanti l’autista e l’infermiera parlavano di un ristorante nuovo dove ti fanno abbuffare e si spende pochissimo.”

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Penetranti, ironici, secchi i racconti di Franco Arminio sono affidati alle voci dei morti che inviano le loro cartoline da un posto sconosciuto, spedendoci di volta in volta un soffio impercettibile, una leggera pena, un sollievo, una vertigine, una sorpresa. La morte è l’occasione per disegnare in poche asciutte parole il ritratto di se stessi e del proprio mondo, alle prese con “questa cosa che forse regge tutto, questo niente che sorregge e corrode ogni cosa”. Poi, in modo dolce-amaro, condensano in un’immagine l’ultimo bagliore di memoria: una luce sul comodino, un barattolo di caffè, un maglione verde, le prime rose, una torta di compleanno, un solitario, una vigna, un mandarino, le rondini che fanno avanti e indietro, una donna amata, una sconosciuta… “Pensavo sempre di avere qualche brutta malattia ma i medici mi dicevano sempre che non tenevo niente. Io ora li vorrei prendere a calci uno per uno”.

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