il gran parlare incipit di morte
là sul ponte che brulica di gente
dove epilogo non prevede inizio
che mai in vita si sia esistiti
sulle travi si porta il cadavere spoglio
dei discorsi distrutti dall’ansia di dire
come fuoco che troppo di fiamma s’innalza
esaurendo la forza nascosta nel ceppo
collocate sono le voci in muti loculi
per quella maledetta foia occidentale
di assegnare una schedatura ad ogni cosa
che ne definisca un significato solo
tamburo di un esilio che desta frontiere
come ciminiere di civiltà estinte
ma tra le macerie la lingua è sconosciuta
nei figli si crescono destini di morte
e le parole perdono mummificate
l’imprevedibilità dei dirottamenti
che ne assicurano qualche sopravvivenza
in unità diverse ma riconoscibili
così che inoltrandoci fra loro ogni lume
si omologa con gli altri a formare necropoli
*
e nel labirinto delle ceneri impervio
tra lapide e lapide è ritrovare un’erma
che segnali l’acuto di un nome esemplare
e indichi senza filo d’Arianna la via
ah se potessimo distinguere una voce
tra la sordità di questo rumore bianco
gettare un ponte ma dove possa condurre
è avvolto dal baluginare della nebbia
potrebbe forse servire a rendere ciechi
orrore angoscia e sbigottimento degli occhi
ma dubito che questo inutile congegno
incastrato nel cuore della nostra mente
anche ammutolito ridotto a fatui sterpi
si lascerebbe estirpare con resezione
radicale ne resterebbe quanto basta
per proliferare in aggressive metastasi
batti batti ‘la vita ha una pelle di morte
che ne tiene il gusto’ nulla vi può sfuggire
ciò che credi d’altri t’impregna è chiuso in te
batti batti bel Masetto in catene stretto
come un’endovena l’urlo avvelena il sangue
e non esiste farmaco che lo depuri
*
dalla sanie della palude come vomito
osceno che inatteso d’un tratto dirupa
senza che si ergano argini a trattenerlo
tracima il rombo sordo della controversia
così oltre il limite della comprensione
ci raggiunge il persistere della bufera
in un luogo ignoto ma che sappiamo esistere
e ci si chiede se abbia quell’unico senso
o se per errore si sia preso un abbaglio
ma questo pullulare di larve si abbarbica
come un polipo straziante alle nostre gambe
e più acido non s’attiva per scacciarle
seguono le vie linfatiche sino al capo
e tutto occupano ciò che non distruggono
un tempo si cantava come metamorfosi
il processo con l’illusione di rivivere
stesso cuore stessa mente in forme diverse
ma l’inganno è che muta il sangue nella pelle
allora l’urlo indistinto non è più d’altri
si identifica è nostro acquista voce propria
una maledizione l’ira della vita
Da Il gran parlare, Venezia, Marsilio, 1998.
Mario Ramous, (Milano 18 maggio 1924, Bologna 8 luglio 1999) frequentò l’Università a Firenze e Bologna; nel 1947 iniziò a scrivere d’arte su il Progresso d’Italia, iniziando così l’attività di critico, che manterrà per molti anni a venire. Collaborò poi con numerose riviste, assommando oltre 200 saggi e articoli sulla letteratura e la linguistica. Dal 1950 al 1975 fu a capo della casa editrice Cappelli, per cui curò la collana Documenti, e ne creò altre, come Universale, Biblioteca dell’Ottocento Italiano e Dal soggetto al film. Francesco Flora lo volle come collaboratore alla rivista Letterature moderne. Negli anni ’70 iniziò a lavorare per Garzanti, curando le voci di linguistica per l’Enciclopedia europea dell’editore milanese. Fu tra i nominati per il Premio Monselice 1972, ed entrò tra i 4 finalisti segnalati con Filippo Maria Pontani (poi vincitore), Giorgio Caproni e Nicolò Carandini. Le sue traduzioni delle Poesie di Catullo gli valsero una ulteriore segnalazione nel 1976 e nel 1977. Vinse il Premio “Lorenzo Montano” 1999 per la sua raccolta Il gran parlare.
In poesia ha pubblicato:
La memoria, il messaggio, Bologna, Cappelli, 1951
Il presente, l’affetto, Bologna, Libreria Antiquaria Palmaverde, 1954
Nuove poesie, Bologna, Cappelli, 1956
Quantità e qualità, Bologna, Geiger, 1968
Battage per Valeria, Bologna, Cappelli, 1973
Macchina naturale, Milano, Feltrinelli, 1975
A discarico, Rivalba, Geiger, 1976
Dopo la critica, Milano, Società di poesia, 1984
Interferenze, Milano, Garzanti, 1988
Ricercari a discanto, Milano, Garzanti, 1992
Il tempo, Urbino, Edizione degli scalzi, 1993
Per via di sguardo, Venezia, Marsilio, 1996
Il gran parlare, Venezia, Marsilio, 1998
Remedia, Castel Maggiore, Book Editore, 1998
Buonasera, sono il figlio di Mario Ramous, desidero ringraziarla per la pubblicazione della poesia.
La scorsa estate abbiamo ripubblicato l’opera poetica di mio padre per intero: MARIO RAMOUS, Tutte le poesie 1951-1998, Edizioni Pendragon.
Se vuole contattarmi sarei felice di farle avere una copia del libro.
Cordiali saluti.
Michele Ramous