Francesco Dalessandro, “Figure d’ombra”

Francesco Dalessandro / Credits ph. Dino Ignani

INTERNO

 

(Jan Van Eyck, Gli sposi Arnolfini, 1434)

 

 

  1. a) all’origine fosti selvaggia

quasi felina

solo trovavi pace

in quell’ora della notte

quando l’alba è un presagio

e la sera dagli sguardi tormentosi

si cela nello sgomento del ricordo

poi fosti col tempo più quieta

e cedesti all’abitudine preziosa

la tua mano si fece

foglia senza peso

nelle carezze e nel cucito

 

  1. b) m’irritava la tua calma

quasi innaturale

credevo che niente

ti desse gioia o pena

né il mio corpo se nudo si prestava

al tuo gioco né il pianto

che non mi dava pace

ma col tempo mi vinse

la distratta attenzione

mi vinse la tua calma

cui cedetti per sempre

nelle carezze e nel cucito

 

 

  1. ab) c’è in noi quasi da sempre

una pace così docile e silente

che neppure un sussurro di foglia

vi si può soffermare

la mano che ci traccia e ci disfiora

in piena quiete è il Tempo

 

 

LA FOSSA

 

(Tommaso Campanella in Sant’Elmo, luglio 1604 – marzo 1608)

 

 

Orazione al sonno

 

I

 

A grado a grado scende e ti sommerge

la notte, anima, e non ti lascia scampo.

E tu chi preghi? A chi domandi aiuto

contro il gelo che ha vinto la speranza

e ti confina viva in questa fossa oscura?

Ma non pensarla eterna l’empia notte

che t’avvolge, anima, non cedere alla sorte.

 

 

II

 

Prega il sonno così, perché scenda a salvarti:

«Vieni, sonno, a legare muscoli e nervi,

ad avvolgere le ossa nel tuo fertile limo;

vieni, accoglimi e curami, proteggi

la mente e il corpo rinchiusi in questo duro

carcere, in questa fossa umida e ghiaccia.

Dammi quiete, sonno, fra le tue caste braccia».

 

 

Apologia ex “Caucaso”

 

I

 

Giù, in una fossa murata, nel tempo recluso,

estraneo alla realtà che soltanto la luce rivela.

Gesti insensati, parole impronunciabili,

voce inascoltata. Dediti a cosa, a chi destinati

i miei versi? Da dove scaturivano le immagini?

Sarebbero svanite con i sogni che generavano?

 

II

 

Poi, senza ragione, senza merito, una luce, reale

– un raggio intenso e doloroso –, incise il buio,

i sogni aderirono ai fatti, alle cose. Sgomento,

compresi che le parole scritte nella tenebra

erano presagi, cronaca viva di atti e di pensieri

vissuti nei sensi, senza saperlo, senza coscienza.

 

 

LA RINUNCIA   

 

Camillo Fonte, L’Aquila 1951-1987

 

 

non è vivere vivere sospesi

sull’orlo dell’addio, dell’abbandono

 

 

I

 

Un altro giorno inerte, speso male.

La città ferve ancora, ma lontana.

Salgono voci dal cortile: gente

che rincasa. Hanno echi

 

insinceri, le fredde cortesie

fra vicini. Dal parco,

i giochi dei bambini.

Altre voci si chiamano. Qualcuna

 

la riconosci…

È la memoria che s’avvia, fa nodo.

 

II

 

Una fede caparbia ti preme

a incidere il foglio, avventuroso

mare dove lo scafo ha il poco scampo

che gli assegna la sorte.

 

E linea dopo linea onda per onda

tu ne solchi il pallore, ma sai

che neanche il cuore ormai se ne consola:

non serve a sopravvivere, non basta.

 

 

MEMORIA E DOLORE

 

Per me la poesia è questione di memoria e di dolore. Mettere insieme il maggior numero possibile di ricordi e spasimi, e usare la forma più interiore e più diretta.

Eugenio Montale, Lettere a Clizia; lettera del 5.XII.1933

 

 

I

 

Lo scroscio sulle cave.

Freddo, improvviso. La breve

rincorsa a un riparo, l’architrave

sul quale osservi un volto

di luna che si stinge.

Tu enumeri distanze,

o forse fatti, assenze.

Chi può dirti

se il sonno che s’attarda in questi vicoli

sia solo il non saperti

dare pace? Più antico

della memoria e certo più tenace

è il dolore.

 

 

II

 

Sul tardi ti sorprende

la musica. Tu osservi

il muro che si screpola, attaccato

dalla muffa. Ma non

t’importa.

Il tempo raccoglie

i tuoi ricordi, come chi restringe

le foglie e vi dà fuoco.

Memoria: vano gioco.

Ciò che è stato non può

essere più.


dalla Prefazione
di Raffaela Fazio

Dimensione composita, l’ombra è provenienza e destino, essenza e condizione dei personaggi che abitano le pagine di questo nuovo libro di Francesco Dalessandro. Ombra è il non-luogo, il silenzio da cui emergono e a cui fanno ritorno dopo aver raccontato la loro storia. E ombra è la consistenza propria di personaggi, labile ma al contempo più reale del reale, come di attori che si affacciano al proscenio per dar voce, amplificandolo, a un sentire universale. Infine, è d’ombra il loro stato di “esiliati”, se esilio è ogni sofferta lontananza da ciò che si ha caro.

Per queste figure, la distanza è spesso separazione fisica dalla persona amata. La nostalgia che ne scaturisce è percepibile nella voce della Ragazza che dice “Non è qui. / La passione per la caccia me lo tiene lontano”, o nel lamento del Poeta che si strugge per la perdita della sposa, o nelle parole del miles che, di ronda, pensa alla dama irraggiungibile.

A volte, la distanza è anche un opaco distacco dal mondo o dall’io, dal suo centro pulsante. In questo caso, i personaggi sono osservatori passivi di qualcosa che non li coinvolge più, come il soldato della retroguardia, che non ha “né meriti né colpe”, o l’Ulisse moderno, che ha rinunciato ai suoi viaggi, o la sposa Arnolfini, che ha messo a tacere ogni fremito per raggiungere una pace “così docile e silente” più simile alla rassegnazione che alla serenità.

Strappo oscuro e doloroso da chi amano o progressivo estraniamento che svigorisce il sentire, l’ombra può manifestarsi anche come perdita della propria capacità creativa. Questo è il senso di inadeguatezza che s’insinua nei pensieri del Pittore, consapevole che “non basta / un grumo di colore a farsi grazia / e rigore” o in quelli del Poeta ormai certo che “incidere il foglio […] non serve a sopravvivere, non basta” e che, nel momento in cui abbandona la poesia, si congeda anche dalla vita.

1 pensiero su “Francesco Dalessandro, “Figure d’ombra”

  1. Nella lettura di Figure d’ombra, quello che ha tenuto avvinto il mio interesse, più della maestria del comporre, è stato l’affondo nel tempo. Lo spunto storico che fa parlare i versi di caducità, amori, amore, malinconia, declino da una distanza che smussa il tema a allo stesso tempo dona un alone nebbioso. Ho letto la raccolta avvolta in questa nebbia autunnale, odore di foglie calpestate, e non al freddo, ma in un tepore appena appena, che forse scema, forse finisce.
    Piace molto, al lettore di poesia, stare dentro un’atmosfera. Questa, di torri, forre, nebbia, mi è stata viatico al comprendere.
    Poi c’è la maestria di Francesco, la sua classica elegante semplicità, che non cambia nel tempo.

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