1. Stevens
Le foglie cadono, noi ritorniamo
al senso ordinario delle cose.
E’ come se fossimo arrivati alla fine
dell’immaginazione, inanimati in un sapere inerte.
E’ difficile persino scegliere l’aggettivo
per questo freddo vuoto, questa tristezza senza causa.
la grande struttura è diventata una casa minore.
Nessun turbante sui pavimenti impoveriti.
Mai come ora la serra ha avuto bisogno di vernice.
Il camino ha cinquant’anni e pende da una parte.
uno sforzo di fantasia è fallito, una ripetizione
nella serialità di uomini e mosche.
Eppure l’assenza di immaginazione doveva
a sua volta essere immaginata. Lo stagno grande,
il suo senso ordinario, senza riflessi, foglie,
fango, acqua come vetro sporco,
esprime un certo tipo di silenzio, il silenzio
di un topo che esce fuori a guardare
lo stagno grande, lo spreco delle ninfee. Tutto questo
doveva essere immaginato come una conoscenza inevitabile
e imposta, come impone la necessità.
*
4. Accadere
Suo figlio ha due anni; lui cerca un bagno che vada bene per il bambino, ma i bagni dei bar sono pensati per gli adulti e togliere i pantaloni a un bambino è complicato, il figlio si incupisce, è come se il pianto lo gonfiasse internamente nello spazio sporco e stretto, fra piastrelle che amplificano le voci. Pulisce le gocce sul vaso e copre il sedile con la carta, ma il bambino ha perso il controllo e sparge merda ovunque: è un essere che ha generato, è un essere che dovrà amare per sempre avendone pietà, avendone paura. Apre la porta, escono dal bagno, le persone nel bar non hanno sentito perché guardano, sopra di loro, Federer e Nadal. Accade così, senza forma, come questo pomeriggio esploso, il loro, il mio da questa parte dello schermo, la melma in testa, anni interi che non riesco a ricordare. Ora però sono usciti, sono sereni e impercepiti in mezzo agli altri, mangiano torrone.
*
5 Stevens
Il centro che cercava era uno stato d’animo
come il tempo quando schiarisce, nulla più.
E’ un’illusione essere stati vivi,
aver vissuto nelle case delle madri, sistemato noi stessi,
con i nostri movimenti, in una libertà d’aria.
Guarda la libertà di quarant’anni prima.
L’aria non c’è più. Le case stanno in piedi
ma sono rigide nel vuoto, le nostre ombre,
le loro ombre, non restano.
Le vite che hanno vissuto nella mente
sono finite, le parole dette non erano e non sono, è assurdo.
L’incontro a mezzogiorno ai confini del parcheggio
sembra un’invenzione, come se il nulla
contenesse un métier, un assunto vitale, un’illusione.
Essere vivi, un continuo essere vivi,
un dettaglio dell’intero, questo universo grezzo.
SCHEDA LIBRO
Uscirà, sarà un passante, osserverà i dettagli minimi, gli oggetti nelle strade, gli stratocumuli sopra le case tracciare segni senza significato. Ciò che siete non è reale. Ciò che siete vi oltrepassa a ogni istante.
La pura superficie intreccia, in un’architettura studiatissima, voci e temi diversi.
In primo piano c’è l’esistenza di una persona qualsiasi nelle città del mondo occidentale, una persona che attraversa il mezzo del cammino della propria vita sperimentando il vuoto, la solitudine, l’estraneità a se stesso e gli altri. Poi ci sono gli altri, gli individui che l’io incontra o osserva da lontano, e che in alcuni casi prendono la parola per rendere visibile la complessità dei destini personali. Infine, tutto intorno, c’è il piano dei destini generali, i grandi eventi collettivi che condizionano le singole vite, e che si mostrano sotto forma di esperienze dirette o, più spesso, di spettacoli: i conflitti degli anni settanta rievocati nel corso di una conversazione, il G8 di Genova, l’11 settembre visto in tv, i video dell’Isis. Un libro che parte dalle superfici (i finestrini di treni e aerei, gli schermi dei media, le facce degli altri) per ricercare la profondità. Un libro che alterna testi in versi e testi in prosa per allargare i confini e il pubblico della poesia, e per restituire un’immagine plausibile di cosa significhi essere vivi all’inizio del XXI secolo.
inedito e forte libro. . dotato di limpido pensiero in poesia. me lo procuro volentieri. grazie Andrea. Maria PIA QUINTAVALLA