PRESENTAZIONE
Questo volume di poesie inedite di Marco Tornar presenta una selezione dai materiali ritrovati in un faldone contenente 185 fogli sciolti (167 dattiloscritti, 16 stampati da computer e 2 completamente manoscritti) e un racconto di 37 pagine rilegate. Oltre a questo racconto, a tre altre brevi prose (di cui due allo stato di frammento) e ad alcuni abbozzi per una recensione del volume Luce frontale di Roberto Mussapi, si tratta esclusivamente di versi, molti dei quali recano in calce la data di composizione che ci permette di porre con sicurezza l’elaborazione di gran parte del materiale in un arco temporale che va dal dicembre del 1988 al febbraio del 2000¹; la presenza di un frammento della poesia Nei sogni ci sono confidenze eterne, pubblicata nell’estate 1985², ci lascia però supporre la presenza nel faldone anche di versi risalenti almeno fino a quella data.
In questi fogli si trovano poesie poi effettivamente pubblicate (ne La scelta o su riviste e volumi antologici), moltissime varianti, abbozzi, redazioni apparentemente definitive (o con alcune correzioni a penna) di poesie rimaste inedite, e anche (poche volte) testi recanti inequivocabili segni di rifiuto da parte dell’autore.
Su tutto, però, si impone l’evidente tentativo di ordinare una raccolta successiva a La scelta, il cui titolo, Le terre insorte, appare su due diversi fogli usati a mo’ di frontespizio (entrambi con lo stesso exergo virgiliano) e il cui materiale, tra varianti e redazioni diverse, ammonta a ben 66 fogli. Le poesie selezionate per questa silloge — stante la numerazione apposta a mano dall’autore su fogli chiaramente di epoche differenti — sarebbero state ventinove, datate tra settembre 1996 e gennaio 2000.
Non sempre è stato facile decidere quale redazione dello stesso testo considerare definitiva³. In alcuni casi la “bella copia” o le annotazioni dell’autore fugavano ogni dubbio, in altri era sufficientemente evidente la progressiva costruzione della poesia fino a una stesura per così dire completa, ma alcune volte versioni dello stesso testo apparentemente definitive e tuttavia in parte diverse tra loro sembravano coesistere. Né poteva aiutare l’ordine dei fogli nel faldone, che con molta evidenza non segue un andamento cronologico. Chi scrive si è allora affidato unicamente al lunghissimo sodalizio amicale e intellettuale con l’autore e alla dimestichezza con le sue opere, arrogandosi il diritto di scelta e segnalando tuttavia in nota le varianti più importanti e notevoli⁴.
Tra i pochi fogli stampati da computer ve ne sono otto con una numerazione progressiva a pie’ di pagina che va da 92 a 99: la pagina 92 reca a mo’ di titolo di sezione Da “E poi, essere uditi” cancellato a biro. Si tratta di sette poesie di cui una, Lontano, in tre parti, sarà presente ne La scelta con il titolo Dovunque c’è un profilo; è presumibile quindi che questi fogli facessero parte del materiale proposto per la pubblicazione del libro e che tra essi sia stato poi selezionato solo uno dei testi. Le poesie non recano datazione, ma forti affinità stilistiche con alcune poesie pubblicate su riviste e volumi antologici negli anni precedenti all’uscita de La scelta sembrerebbero collocare la redazione di questi versi attorno al 1986/1988⁵.
Vi sono poi due brevi cicli di sonetti, in versione praticamente definitiva con minime correzioni manoscritte. È interessante notare come la data di composizione apposta in calce ad Alma, il primo di questi cicli⁶, ovvero febbraio 2000, lo collochi quattordici anni prima dell’uscita dei Sonetti d’amor sacro — ultima opera pubblicata dall’autore, a parte alcune traduzioni — a testimonianza di un’assiduità “privata” di pratica metrica e formale classica⁷, come anche di un’evidente utilizzazione di questa forma stilnovistica per un corteggiamento d’antan (ma a volte anche molto carnale) dell’amata del momento.
Un altro titolo compare all’interno del faldone: Atlanti della luce, presente anch’esso in un foglio usato a mo’ di frontespizio⁸ (il primo foglio del faldone) e poi in un appunto manoscritto. A differenza de Le terre insorte, tuttavia, non ci sono poesie chiaramente riconducibili a un’ipotetica raccolta, anche se la qualità del nastro della macchina da scrivere e la tipologia di carta usata collegano a detto frontespizio perlomeno una poesia, priva di titolo, il cui incipit è Sembrava che l’ombra potesse ridere⁹. Arbitrariamente, ho voluto usare il titolo Atlanti della luce per la IV parte di questo libro, in cui pubblico una scelta delle poesie “sparse” ritrovate nel faldone, più una poesia inedita il cui dattiloscritto mi era stato regalato dal poeta.
Resta infine da spendere qualche parola su Le terre insorte, la raccolta che avrebbe dovuto seguire La scelta. A livello stilistico, essa inizialmente¹⁰ riprende e sviluppa la fase poetica delle composizioni più recenti della silloge precedente, con una sempre maggiore attenzione a quello che potremmo definire “paesaggismo” (si notino, in tutta la raccolta, i preziosismi linguistici legati al mondo naturale, in particolare a quello vegetale), che si snoda in un lungo periodare dal respiro sinfonico e in un lirismo che man mano si fa meno ermetico, collegandosi più di una volta a un erotismo ora febbrile ora giocoso.
Dall’immaginismo metaforico si passa gradualmente a un’esposizione poetica più piana e diretta, a volte con tocchi decisamente ironici (e autoironici: cfr. ad esempio Nel delta del cuore), al servizio infine di una polemica civile e a suo modo politica nei confronti della società massificata, che sempre più — dalla fine degli anni Novanta in poi — si farà centrale nella riflessione di Marco Tornar¹¹. In questa visione polemica, la contrapposizione del sentimento della natura vissuto con empito romantico vs. il materialismo dilagante nella società attuale è un vero e proprio cardine:
La bellezza della natura non ha mai smesso
di dare fastidio alla civiltà.
(V – Sole invitto)
Nell’ora del tempo in cui possiate
fare i conti con la vostra ispirazione
fermatevi un istante, considerate
pure il fatto che d’estate
le foglie diventano più scure […]
ma abbiate la compiacenza di non mentire
sulla progressiva perdita del sacro
che adesso oscura i vostri giorni.
(XIV – Il canto dei mirabolani)
Il sogno della natura e degli umani
si è perso, è distrutto, oltraggiato
da una falsa democrazia dei desideri
e da un vuoto materialismo dei bisogni.
(XX – Preghiera per Ermes)
Come chiudendo un cerchio, il sentimento panico della natura si salda all’erotismo, molto presente ne Le terre insorte, visto come forza vitale irriducibile all’omologazione della civiltà dei consumi.
Da sempre ammiratore del Romanticismo tedesco e inglese, proprio da Errando di notte in luoghi solitari Marco ne farà un paradigma del proprio essere “fuori moda”, del rifiuto dei (dis)valori della propria epoca. Ma la prima traccia di questa evoluzione è presente in questa silloge poetica rimasta inedita. L’evidente incertezza, da parte dell’autore, riguardo alla sua pubblicazione non è forse da considerarsi casuale, coincidendo con gli anni che segneranno il passaggio, quasi definitivo, al romanzo¹²: forse l’arma della prosa sembrò al poeta più efficace del verso per perseguire i propri sogni e le proprie battaglie.
Desidero ringraziare la Sig.ra Nicoletta Tornar, madre del poeta, per la fiducia nell’affidarmi gli inediti di Marco per questa pubblicazione.
Sandro Naglia
NOTE
¹ Oltre a una prima plaquette giovanile, Il segreto (Edizioni Oggi e Domani, Pescara, 1981), le due sillogi poetiche pubblicate in vita da Marco Tornar sono Segni naturali (Bastogi, Foggia, 1983) e La scelta (Jaca Book, Milano, 1996): quest’ultima raccoglie poesie scritte tra il 1986 e il 1996. Dopo La scelta, Tornar non pubblicò quasi più nulla in versi, a parte pochissime eccezioni apparse su riviste o antologie e il volumetto Sonetti d’amor sacro (Tabula fati, Chieti, 2014). Per una cronistoria dell’attività poetica di Marco Tornar cfr. la mia Presentazione al I volume delle sue Opere: Poesie edite 1980-1992, Tabula fati, Chieti, 2017.
² Nei sogni ci sono confidenze eterne in Catalogo della Mostra Linguaggi a confronto, a cura di Elio Di Blasio e Rita Ciprelli, Pescara, agosto/settembre 1985 (inclusa in Marco Tornar: Poesie edite 1980-1992, cit.: p. 115). La recensione su Luce frontale di Roberto Mussapi (Garzanti, Milano, 1987) fu pubblicata sulla rivista “Tracce” n° 18/19, gennaio/aprile 1986: la data reale di uscita della rivista va però chiaramente posposta rispetto a quanto dichiarato in copertina.
³ Tre di queste poesie risultano comunque pubblicate: L’erta (XII) e La pittrice ipnotica (VIII/2) in Letteratura oggi: Laboratorio linguistico-letterario 1997, introduzione di Nicoletta Di Gregorio, Edizioni Tracce, Pescara, 1997, pp. 100-103 (viene anche citato esplicitamente il titolo della raccolta); Verso le fiamme di pietra (XXIX) in Sonetti d’amor sacro, cit., pp. 28-29. Per dovere di completezza le includiamo in questo volume di inediti.
⁴ Tutte le note alle poesie nel volume sono del curatore.
⁵ Cfr. la tavola di Riferimenti Bibliografici in Marco Tornar: Poesie edite 1980-1992, cit.: p. 128.
⁶ Alma consta di sette sonetti numerati; gli altri sonetti sono tra i pochi fogli del faldone stampati da computer e quindi probabilmente composti in anni più recenti (il che porterebbe forse a dover ampliare la datazione del materiale presente nel faldone): ne pubblichiamo solo uno perché gli altri sono poi confluiti nei Sonetti d’amor sacro (cit.: pp. 16 e 23), pur essendo stati senza dubbio composti molto tempo prima, stante il nome della dedicataria.
⁷ Il che viene confermato anche da altri inediti di anni successivi al 2000. Sul rapporto di Marco Tornar con la metrica cfr. la Presentazione al volume delle Poesie edite 1980-1992, cit.: pp. 11-12.
⁸ Sul quale è presente anche in exergo una citazione da Daniele Del Giudice: …in una notte in cui l’ora non significava nulla…
⁹ Cfr. p. 99 di questo volume.
¹⁰ Si tenga presente che l’ordine della silloge stabilito dall’autore non rispetta la cronologia delle composizioni.
¹¹ Cfr. soprattutto Marco Tornar: Poesia e dissidenza in Id. (a cura di): La furia di Pegaso. Poesia italiana d’oggi, Archinto, Milano, 1996; Id: Errando di notte in luoghi solitari, Quaderni del Battello Ebbro, Porretta Terme, 2000.
¹² Nel 2004 uscirà il romanzo Niente più che l’amore (Sperling&Kupfer, Milano), seguito poi da Claire Clairmont (Solfanelli, Chieti, 2010), Nello specchio di Mabel (Edizioni Tracce, Pescara, 2011), Lo splendore dell’aquila nell’oro (Tabula fati, 2013).
Da LE TERRE INSORTE
(1996-2000)
VII – NEL DELTA DEL CUORE
Spesso ripenso alla tua grande bellezza
veloce più di un dardo, un intercity, un file
su Internet che finalmente
trapassi nella notte la distanza
d’insicurezza che ormai s’è insediata, mia
ninfa oscura, hostess padana, nuova musa
di fantastici viaggi testuali
e astrali, e mistici, e turistici, così
clamorosamente tra gli oggetti
che ho intorno, tra il tuo ricordo
e il mio desiderio inappagato, psico-
analizzato più volte, compreso
nel processo di autostima
da farmi sperimentare fino in fondo
la dinamica dello straniamento, quando
ad ogni crepuscolo mi sembra d’incontrarti
nella nobile e caotica piazza
di una retorica provincia italiana, tra
ciniche sgommate di automobili, lampi di bar
e passanti un po’ pedofili e iperbarici
e comunque pieni di una grande professionalità
nel fregarsene allegramente
dell’immensità della sera: tu allora
appari come hai già fatto un’altra volta,
che non scorderò mai, tra le stilate
di una chiesa romanica, portando scompiglio
ai sensi devozionali dei fedeli, e a quelli miei
naturalmente più profani, miracolati
anche se non lo davo a vedere
dalla grazia a mozzafiato
della tua minigonna: nella città che urla
tu invece assicuri il soprassalto
di un senso assoluto, la magia che ha
l’orizzonte di frusciare nel buio:
ti ho idealizzata?
Chiusa sotto la volta di interiori
fantasmatiche cattedrali? Per ora
è solo il mio fantasma che la sera
si avvicina al tuo letto, s’infila
tranquillamente sotto le coperte, ti spia
mentre ti spogli, fai la doccia, oppure dormi
e non sai che la tua bellezza personificata
ha messo fuori gioco tutti i medium,
gli occultisti, i maghi, i parapsichici,
i paracadutisti: perché è il mio cuore
che precipita davvero ogniqualvolta
vedo una cabina per chiamarti. Ho preso
ad adorare i cellulari. Pure la Omnitel! La
Telecom! Ma nella piazza brillano
parole di ghiaccio. S’è fatto molto
tardi. Come nel Tasso, il mondo
fa silenzio. Si chiude. Si apre l’iridescente
principio di realtà della notte.
In cui sei dappertutto, e io sono solo
la preda di un fatto eccezionale
con l’anima strappata nell’aria rarefatta
dove sento mormorare le foreste, le tue laggiù…
a centinaia di chilometri… a migliaia
di alberi… nel buio oltre le spalle
dell’ultimo pietoso barista
che mi guarda perplesso
e a cui chiedo solo un poco di conforto.
Perché io sento disperarsi le sorgenti
di qualsivoglia immaginazione
per tanta oscurità senza il tuo nome
e ancora sento esplodere le acque
di ogni potente bonifica interiore
di ogni sballata voglia di dimenticare
il richiamo palustre del sentimento.
Perciò nelle tue plaghe mi perdo
e visito di colpo, come un falco,
dall’alto, le tue terre emerse, insorte
da non so quale linguaggio
di epoche perdute, di sconvolti acquitrini
disciolti in metafore ardite, ferite
che sono adatte a me, che perdo sangue
nel delta sovrumano del ricordo
di un volto, il tuo, che adesso tremola
nell’acqua, l’inargenta, già moltiplica
gli effetti specchianti della pineta
circondata da un mistero di voci
di passere, di folaghe, di albanelle
in attesa di qualcosa che nella nebbia
rosseggerà fra poco giù alle Motte
del Fondo e alla Ribaldesa¹, e poi
più avanti, fino al folto dei lecci,
delle farnie, degli spiriti dei pioppi
bianchissimi per aver riconosciuto
nel vento tra i canneti a Bosco Mesola
nel volo controluce delle folaghe
la musica che smalta le tue albe.
E il vento mi riporta la tua voce
in questo parco dove spunta il giorno
e un abbaglio rosseggiante fa scoppiare
le ultime foglie tremanti dell’autunno
che cadono, s’involano come pensieri
o come le mie piume quando volo
nel gelo di remotissime atmosfere
e sento che il tepore del tuo letto
è l’unica possibilità per non morire.
Perciò mia dolce folaga, mia nobilissima
passera estense, mia divina
arzàvola del cuore
non essere crudele o indifferente
se a pregarti di non scordarlo mai
è un falco riverente.
¹ Pinete a sud del comune di Mesola, nel ferrarese, all’interno del Parco del Delta del Po. Tutto il componimento sembra essere una divertita e autoironica ode a una guida turistica incontrata in quei luoghi; in effetti nel dattiloscritto è presente anche una dedica, cancellata a penna e resa illeggibile.
da E POI, ESSERE UDITI
(prob. 1986/1988)
ALUNNI DI STORIA
Nemmeno così, dopo tutti i metri
potevano giurare
di cercarci o per sempre
scrivere poesie
perché iniziasse la lezione
e chiunque poteva vincere
nell’orologio buio, nel sangue già perduto
dalla storia
quando i ragazzi muti si moltiplicano
per chi entra per primo
e non ha voce, non è più sufficiente
alla ragione classica
mentre corriamo in uno schema più grande.
Eppure, adesso
qualcuno esclude i ciechi
e la città è profonda
nei portavoci
che lì cercano una fiaba
per spezzare la grazia
della linea intravista: se
chiedo di loro
sapranno impazzire, con un solo gesto
di chi alla fine non ricorda
contro tutti
ha uno sguardo azzurro e un sole indiano
come se potesse cambiare nome
al suo pomeriggio mentale:
«Ma tu
scendi da un libro, usami
come un diverso agguato.»
QUANDO UN VESTITO HA UN ALIBI
Quando un vestito ha un alibi
qualcuno somiglierà
alla sua data inseparabile. Altri
avranno una linea per rimanere
in ogni cosa, mentre fuori
tu spieghi la storia, vuoi
sentire di meno. La trasmissione
è sotto controllo. Tutti i nostri passi
sono già a Vienna, come finti colori
per indovinare ancora
il saluto più giovane, la materia
sottovoce. Quello che chiedi, ora
non importa se è stato già commesso
in una vita qualunque e anche
l’ombra del giocatore trema
mentre cade, a destra, una scienza.
DALL’ALTRA PARTE DELLA MUSICA
Dall’altra parte della musica
abbiamo invitato una guerra. Chiunque
trasecola nella sua compagnia
e nella frase giusta di un villaggio
che stava cercando. Non fallire, guarda
le telefonate e i quaderni nell’angolo
che ha più febbre, più pareti da udire
in un giorno. Daccapo
questa musica tra i sospetti e una pietra. Il chiarore
prendeva coscienza di ciò che eravamo
se agli appunti si unisce
una pronuncia di neve, perché il racconto
degli oggetti sia ostile, sia infanzia
e veleno. Ancora una volta
la foglia ha un respiro immenso
come una caserma
dove mi perdo in una nuova vita.
IL SOGNO CHE NON HAI RACCONTATO¹
Il sogno che non hai raccontato
stava per sciogliere²
lo stesso incantesimo, lo stesso giro
di sangue distratto
di pace distratta³. Dove hai ubbidito
la lanterna apprende una vista
nei manuali delle tracce
della lotta. Le medicine⁴
colorano un’anima
senza barriera⁵, quando il rumore
forma ogni cosa⁶. Allora la pace
arriva dove scende un’accusa, una distanza
che ha il potere di aspettarmi. Sia questa
l’eccezione incompiuta⁷.
¹ Di questa poesia, in stampa da computer (cfr. Presentazione), esiste nel faldone anche una redazione originale dattiloscritta, con correzioni a mano, seguita (sullo stesso foglio) da una versione riveduta manoscritta. Riporto quindi le varianti precedenti alla stesura definitiva perché mi paiono illuminanti riguardo al processo creativo del poeta.
² Nel dattiloscritto: compiere, poi corretto in scegliere e mantenuto tale nella versione manoscritta.
³ In entrambe le versioni precedenti: lo stesso incantesimo e nello stesso giro / il sangue sperava / una pace distratta.
⁴ In entrambe le versioni precedenti: nel controllo dei manuali, tracce / ed elementi della lotta: le medicine.
⁵ In entrambe le versioni precedenti: che non ha più barriere.
⁶ Nel dattiloscritto: compie una cosa, corretto a mano in forma ogni cosa.
⁷ Gli ultimi due periodi della poesia nel dattiloscritto: La pace arriva nello stesso punto / dove scende un’attesa, una distanza matura. Sia questa / l’eccezione. Così corretto a mano: La pace arriva nello stesso punto / dove scende un’accusa, una / distanza che ha il potere di aspettarmi. Sia questa / l’eccezione incompiuta, confermato nella versione manoscritta.
Marco Tornar nasce a Pescara il 15 ottobre 1960. Poeta, prosatore, traduttore, ha pubblicato quattro raccolte di poesia: Il segreto (1981), Segni naturali (1983), La scelta (1996), Sonetti d’amor sacro (2014); cinque romanzi: Rituali marginali (1985), Niente più che l’amore (2004), Claire Clairmont (2010), Nello specchio di Mabel (2011), Lo splendore dell’aquila nell’oro (2013); un monologo teatrale: Allegra per sempre (2011) e altri scritti, tra cui Errando di notte in luoghi solitari (2000). Ha tradotto opere di Henry James, Jane Alexander, Kate Field, Vernon Lee, Sigrid Undset, Constance Fenimore Woolson.
Muore improvvisamente, per un attacco cardiaco, a Pescara l’8 febbraio 2015.