Claude Royet-Journoud, “Le nature indivisibili”

Claude Royet-Journoud

Nota di Luca Minola

Libro estremo, selettivo Le nature indivisibili di Claude Royet-Journoud, pubblicato da Effigie nel 2016 e tradotto in maniera netta e inequivocabile da Domenico Brancale, è da codificare in continuazione e richiede studio e assiduità. Non appaiono all’interno le versioni dei testi originali dal francese, per una scelta motivata dall’autore stesso: “Nella traduzione, la lingua di arrivo è la versione originale e non l’inverso. D’altronde la poesia ha un corpo. Un recto, un verso. Uno spazio fisico e uno mentale. E’ racconto-e in una sola lingua. Non scrivo una raccolta, ma un libro. Nelle edizioni bilingue ciò che viene distrutto è la nozione stessa di libro: la doppia pagina (sinistra, destra), l’importanza del voltare pagina, la sospensione della narrazione, il rapporto con il tempo, ecc.”. Quindi l’inappropriato elemento dell’originalità di Royet-Journoud, che preferisce il contrasto, il contrario per eccellenza: liberare la traduzione del testo dalla gabbia della lingua originale o il bisogno della sospensione di spazi e tempo. Piace quello che non è, quello che non c’è, che non si può spiegare e soprattutto che non vuole essere spiegato: e “ho bisogno di pensare alla tua mano sulla carta/è l’esercizio più basso/che permette di seguire/una riduzione geografica/erano in attesa di essere notati”. Incide profondamente sulla lettura una pagina attraversata da una parola asciutta, tagliente, svincolata da un’energia comunicativa.

La stessa solitudine delle frasi, gli spazi bianchi consegnati al lettore, vogliono spingere qualsiasi tipo di fruitore ad aggiungere, ad apportare modifiche di pensiero all’interno delle poesie, come un’opera ferocemente inconclusa. Le misteriose aperture dei versi costruiscono le forme interne ed esterne del libro, la fibra che si distende nei testi impoverendo qualsiasi cosa che non sia poesia dettata da scelte impossibili. Rappresentare il nulla della parola, la nudità dell’amore: “affinché ciò resista/lei accoglie l’indistinto/non avrei mai voluto/si fanno i conti nel buio/un calore senza fine/tavolo era la parola”. I componimenti sono interni assoluti di spazi fisici e mentali, sono la precisione del loro messaggio: “una manciata di blu nell’angolo”. Curioso è il continuo arresto dei contenuti, come se fossero scanditi da tempi indifferenti alle regole e alla normalità, la brevità obbliga a percorsi incrociati di senso e a continui riferimenti di immagini, di sensazioni inconsce.

La misura delle nostre capacità di percezione si regola sulle profondità che possiamo immaginare e di conseguenza il vuoto da colmare diventa forma pura, fibra e colore: “matite dorsali/scarabocchi d’infanzia/il colore è una misura/lei persegue ciò che ignoriamo”. I toni che dilagano nei versi di Royet-Journoud riportano le figure a profili di continua attività, dove le superfici applicano il loro peso creando spazi potenziali; per nulla indifferente a tutto questo è il corpo, il vero risultato ultimo. Il corpo che manca, il corpo che viene completato, dalle parole, dai versi, diventando un bersaglio che può comunicare parlando una lingua curiosa che nessuno può parlare: “e se/a balzi successivi/nella pratica del fuoco/………………………………”. Sicuramente è significativo il tema amoroso in queste poesie, l’amore in sillabe, in alfabeti senza margini, dove si parla per sottrazione: “…lei parla al nero/nessuna immagine resterà/una palla cieca urta i muri in silenzio/l’erba incerta come il colore e/il soffocamento dei numeri”.

Non bisogna farsi spaventare dalla ventata di oscurità e astrattezza che qualcuno potrebbe cogliere, bisogna immergersi in questi cambiamenti di toni, di identità per percepire quello che le labbra ancora possono dire, quel gesto che siamo e che saremo ancora: “una postura/smentisce il gesto d’arresto/il poco che siamo/intorno all’immagine/sentirlo sulle labbra/lei prende il posto del nome”. La struttura di questo libro crea un vero e proprio cerchio che proietta amore, corpo e parole, qualsiasi forma e profilo ci apparterrà dopo la lettura, dopo una nostra vera presa di posizione nei confronti di questo libro. Claude Royet-Journoud è probabilmente ancora poco tradotto in Italia, dello stesso autore si possono trovare sul blog GAMMM testi di “Del vicinato e della forma”(da Teoria delle preposizioni) tradotti da Michele Zaffarano in maniera, anche qui, netta e riuscita, ricordando che la poesia è struttura di sé, materia viva. Per questo le nature indivisibili sono quella luce che manca e che non sarà più riflesso, quel fuoco verbale che ustiona: “questo cerchio/è un sovraccarico di colore/l’area di un fuoco/la leggenda non dà nessuna indicazione”.

ESTRATTI

Da Senz’alcun rumore di sillabe

*

ho bisogno di pensare alla tua mano sulla carta

è l’esercizio più basso
che permette di seguire
una riduzione geografica

erano in attesa di essere notati

*

dirti una sola cosa
(senza usare la bocca
né la lingua
e senz’alcun rumore di sillabe)

gesti di collera
una generazione d’intrecci

liquido non mi appartiene

 

Da La storia in serie

*

è nella stanza che respira

a dirla tutta
l’aria lascia una macchia rossa

un po’ di febbre nell’intersezione
la fine dell’evento

s’impossessa di colui che è solo

*

scrivevo la parola pura

Da Portamento di voce

*

matite dorsali
scarabocchi dell’infanzia
il colore è una misura
lei persegue ciò che ignoriamo

Da Errore di localizzazione degli eventi nel tempo

*

il dorso
la ramificazione dei nervi
tutto questo blu che dilaga

il bambino senza memoria
pianta un dito nella terra

l’aurora si allontana
una sola rappresentazione per il coro

*

è morto nella frase
il freddo raggiunge il bersaglio

lei parla al nero
nessuna immagine resterà
una palla cieca urta i muri in silenzio
l’erba è incerta come il colore e
il soffocamento dei numeri

Da Cancellazione del bordo destro del cuore

il polso (analogo)
immagine
di una nascita inversa

appena visibile
distrutta dall’usura

lo spazio si alimenta a una mano secca

(Traduzioni di Domenico Brancale)

________

Claude Royet-Journoud è nato a Lione nel 1941. A partire del 1963 ha fondato e diretto con Anne-Marie Albiach e Michel Couturier la rivista Siècle à mains, cui succederanno le riviste «A», L’In-plano, Zuk, Anagnoste e Vendredi 13. Ha tradotto George Oppen e pubblicato John Ashbery e Louis Zukofsky. Nel 1974 ha creato e diretto per la radio il programma Poésie ininterrompue su France Culture. Una tetralogia, frutto di un lavoro di venticinque anni, costituisce l’opera principale apparsa per Gallimard: Le Renversement (1972), La notion d’obstacle (1978), Les objets contiennent l’infini (1983) e Les natures indivisibles (1997). Per l’editore P.O.L è apparso nel 2016 il libro La Finitude des corps simples. Collabora alla rivista Koshkonong diretta da Jean Daive. Vive a Parigi.

 

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