Risveglio
La pazienza della ruggine che sgretola il ferro
le radici contorte emerse dalla terra
la porosità del cristallo –
qualunque cosa è uno specchio se guardata a lungo.
Impara il linguaggio delle pietre.
Non abbiamo che parole e una conta di sassi, qui
nella geometria del nostro diradarci.
Quello che abbiamo vissuto forse
deve ancora succedere,
ma poco più in là un impenetrabile risveglio.
Pietre vive
Volevamo uscire dal silenzio
ma non eravamo mai entrati.
Pietre vive le parole,
unica traccia di quello che abbiamo cercato.
Agli alberi abbiamo chiesto in prestito la voce,
ai sassi il volto per dare forma al visibile.
Dall’acqua abbiamo imparato la pazienza dell’attesa,
dal ghiaccio che si muove seguendo la corrente.
Perché nel movimento impercettibile della polvere
è scritta la meccanica dell’universo,
la conta del tempo che non torna.
La candela
Sono solo nella stanza,
eppure non è deserta.
Osservo la candela spegnersi
immergendosi un’ultima volta
nel guizzo della fiamma.
Così il movimento del tempo che scorre
e dilegua indifferente a se stesso,
mentre raccoglie tutto di me,
briciole, frammenti, tracce,
parole restate in voci altrui,
vita che mi sopravvive –
In un suono sento dissolvermi.
Semi
Sappiamo e non sappiamo, tra il torto e la ragione, lo sguardo scruta senza vedere. Ma la parola impone all’evidenza la forza di ciò che è segreto: ognuno è l’anagramma di un nome da decifrare, pietra lanciata su uno specchio d’acqua che disegna la sua geometria esatta e circolare. Rovescia i sassi del sentiero dove cammini, leggi le superfici lisce, il bianco delle venature, distingui la sagoma dei fossili. La memoria rinomina ogni istante, lì dove un silenzio è sparso come semi che chiamano a un raccolto.
Il silenzio della scena
Quante voci restano imprigionate nelle case abitate prima di noi. Impigliate tra le fessure dei muri, nelle fughe del pavimento, ci respirano accanto, presenze invisibili, si muovono furtive al nostro fianco. A volte provo a interrogarle, lotto col loro silenzio, in un alfabeto incomprensibile, un linguaggio dimenticato. Un corpo a corpo in una scena muta. È tutto qui: siamo parola strappata dalla carne, dai corpi che il decrescere delle ombre lentamente scopre.
Nel giardino
Lo sgocciolio monotono della grondaia a poco a poco scava un solco nel giardino. Il flusso incontra un dosso di terra, assorbito, scorre formando una piccola pozza, esita, prova a rodere la montagnola che blocca la strada o a scavare sotto di essa. E l’acqua avanza oltre l’ostacolo diramandosi in tre o quattro sottili rivoletti. Oppure rinuncia e affonda nella terra. Osservo dall’interno. La vita, questo movimento impercettibile, acqua che scivola e si rivela, prima di tornare sabbia.
Immagini di immagini
Quante immagini si nascondono dentro altre immagini,
quante parole rannicchiate – come animali – all’interno di altre.
Un bosco ancora respira nelle nodosità del tavolo,
dove ogni mattina appoggio la mia tazza.
C’è una trascendenza tangibile
nell’infinita interiorità di un filo d’erba,
dentro l’acqua, dove spinge una forza opposta alla gravità
e disegna cerchi in superficie.
Da Tempo riflesso (Interlinea, 2018) – Premio Europa in Versi 2018
Corrado Benigni è nato nel 1975 a Bergamo, dove vive e lavora. Ha pubblicato i libri di poesia: Tribunale della mente (Interlinea 2012) e Alfabeto di cenere (LietoColle 2005). Nel 2010 la sua silloge Giustizia è stata inclusa nel Decimo Quaderno italiano di poesia contemporanea (Marcos y Marcos). Sue poesie sono tradotte in inglese e spagnolo. Suoi testi sono apparsi su diverse riviste specializzate italiane ed estere. Con la raccolta Tempo riflesso (Interlinea) ha vinto il Premio Europa in Versi 2018.