Nota al testo
L’idea originaria di questo libro è nata con la plaquette L’altro limite (Pordenonelegge-Lietocolle, PordenoneFaloppio 2017). Il puro, l’impuro e il trasparente raccontano la trasparenza. Il trasparente è la sintesi, il puro e l’impuro sono la tesi e l’antitesi. La sintesi del mondo digitale è il grande vetro attraverso cui traspaiono il puro e l’impuro mescolati, l’umano e il non umano, la velocità e la prospettiva. L’uno altro limite dell’altro.
I
Il peso si sente come i capelli sulle spalle
i pori che si stringono per non far passare l’acqua
l’attrito sempre quando capita una coincidenza.
Ma dicono che oggi il peso del tempo è irreale
assomiglia all’aria spostata dagli insetti
che si nutrono di sangue e muoiono a volte
sotto il palmo della mano.
II
La coscienza si stacca, sopra di noi è uno specchio
ci vede punti che galleggiano in una piscina
vede la pelle sporca del sangue di tanti compresso in
[una macchia –
i mobili flessi sono dita vegetali, il circuito elettrico
[sciolto
un pensiero di sottomissione, il pensiero puro di ridarsi
[al tempo.
III
Scompariamo nell’acqua. Le nostre case sono acqua
nascondono sul palmo la condensa di molti
l’idea che osservandola ci trasformiamo
in molti schiacciati in una macchia.
IV
Poi, per vedersi, la coscienza ha strappato un cavo
lo spezza coi denti, si scheggia le dita con il filo elettrico
sente la macchia di sangue aperta –
ha immerso il filo nell’acqua…
V
La coscienza separata dal corpo ha sentito il tempo
[pulirsi
nella casa come in una vasca una luce di fondale
mobili flessi sono dita vegetali, il circuito elettrico
[sciolto
una polvere, una prospettiva, un filo incandescente
il tempo che è coincidenza, la storia di tutti e uno
trasparente fuori dal baricentro nell’acqua
senza peso, vive e vede
*
Sapersi avvicinare.
Così vediamo l’enigma della distanza
dal posto in cui si addensano i luoghi che ci hanno abitato.
Inizio chiamando le isole di erica e ghiaccio
l’alba atlantica
un aereo al decollo
versi duri di gabbiani come sottili catene.
Chiedete nudità. Le scogliere si aprono
più a sud in un prato piatto
e gli animali sono immobili
una sinfonia che si avvolge su se stessa:
pensavi alla loro bicromia
trovando in qualche angolo della lingua
mele acide, bacche rosse
la pianura premuta dalla nebbia
che si incastra nei movimenti.
Affacciati, dall’alto sul mare,
ripeti la vertigine
nel basso della pianura
in contrappeso.
Mi sono affacciata ed era spazio più ampio
una meridiana arsa di capperi e lava
tesa a lande calcaree, dorsali.
Gli uomini sdraiati sul fondo dell’Europa
forse mi hanno guardato, e chiedo
sarete intrecciati nei posti che ho visto
in uno solo breve come poter dire
cosa sono i miei anni minuscoli
attraverso lo scontro di sud e nord.
Ogni luogo appartiene ad altri.
Li appoggio senza genealogia,
gli do odore, ricevo umido e arido.
Ci bagnano o uccidono.
Eri nel punto più alto della scogliera
nel vento del nord affilato, lunare.
Voi li abitate adesso. Avvicinatevi.
Mi affaccio, salto –
da roccia a roccia sopra un resto.
***
Ha piegato le camicie in fila
con la coda dell’occhio al cassetto semiaperto
come potesse contenere te e il respiro silenzioso
dove si posano i capelli e le unghie
ascoltando un cacciavite che cerca di aprire.
Muovendo i polpacci sul lenzuolo
resta un uncino sulla retina
tira gli errori come una pinza d’argento,
il ruvido dal liscio, i nodi
dei peli appena crescono sulla pelle.
Questa ora è un silenzio ampio
abbatte il movimento di gambe, pieghe,
fenditure, lacci. Dall’altra parte del silenzio
una persona che con il silenzio parla
che ha potuto vedere camicie, calzini, lacci
la distanza e forse l’acerbo proteggere
mentre sale come un uccello in vetta
con sfida al predatore, per non appartenere.
In questo silenzio la meraviglia trasparente
di ciò che è lasciato batte per granelli di sale:
accade, così si giura, né prima né dopo,
punta un entrare occulto, che non è
conoscersi o ascoltarsi, ma essere.
In questo silenzio il pacco delle camicie riposa:
una bomboniera, un diario, un ciottolo.
Come un uccello freddo gli vorresti chiedere
di ucciderti, di vedere che cadi dalla scogliera
nell’acqua ti trasformi in un delfino
e forse, padre ignaro di sé, potrà sentire
come per i figli che chissà cosa diventano
quando abbiamo creduto di proteggerli…
Ti ha mandato un silenzio ampio
dentro a un vetro sottile, si rifrange
mentre leghi la carta. La camera di altri
il respiro di altri rompe la trasparenza –
già precipita, pochi secondi.
***
Farnese
La finestra a una luce dice non immaginate,
appoggiatevi alla parete come fosse una strada.
La schiena nuda non ha più freddo. Ecco le cose
che ci abitano: il vetro trasparente, il muro opaco,
noi per le cose, una strada curva sul muro,
il muro dentro vene lenticolari. Tutto batte
come bronzo sul deserto: è innocenza
che muove la testa. Mi abiti così, come il giorno
sulla piazza che Giordano Bruno era quel piccolo
fuoco di tutti. Ti abito come il suono che si stacca
tra i palazzi incastrati, la campanella sul muro duro
caldo come un liquido muove la testa.
Maria Borio, Trasparenza, collana Lyra Giovani diretta da Franco Buffoni, Interlinea 2019
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Maria Borio è nata a Perugia, laureata in lettere moderne, dottore di ricerca in letteratura italiana. Ha scritto su Vittorio Sereni, Eugenio Montale, su diversi poeti italiani del secondo Novecento, sta lavorando a un saggio sulla poesia italiana contemporanea. Una sua raccolta di poesia è presente nel XII Quaderno italiano di poesia contemporanea, Marcos y Marcos. Collabora a diverse riviste cartacee e online. Cura la sezione poesia di «Nuovi Argomenti».