La rivoluzione linguistica di Majakovskij

Vladimir Majakovskij

Porto

Lenzuola d’acque v’erano sotto la pancia.
Le lacerava in onde un bianco dente.
V’era urlo di camini – come se amore e lascivia
Fluissero per il rame dei camini.
Le barche si strinsero dentro le culle delle imboccature
Ai capezzoli di madri di ferro.
Nelle orecchie assordate dei piroscafi
Risplendevano gli orecchini delle ancore.

(1912)

 

Traduzione di Angelo Maria Ripellino

 

 

Ancora Pietroburgo

Nelle orecchie brani d’un fervido ballo,
ma più canuta della neve – da settentrione –
con la faccia sanguinaria da cannibale, la nebbia
masticava gli uomini scipiti.

 

Le ore minacciavano come grevi bestemmie,
sulle cinque incombevano le sei.
E dal cielo una schifezza qualsiasi guardava
Maestosamente, come Lev Tolstoj.

 

(1914)

Traduzione di Ignazio Ambrogio

 

Vladímir Vladímirovič Majakovskij  (Bagdati, 7 luglio1893 – Mosca, 14 aprile 1930) è stato un poeta, scrittore, drammaturgo, regista teatrale, attore, artista e giornalista sovietico, cantore della rivoluzione d’ottobre e maggior interprete del nuovo corso intrapreso dalla cultura russa post-rivoluzionaria.

Majakóvskij nacque a Bagdati, in Georgia (al secolo una provincia della Russia zarista), il 7 luglio del 1893, figlio di Vladimir Konstantinovič Majakóvskij, un guardaboschi russo appartenente ad una nobile famiglia di origini in parte cosacco-zaporoghe, e di Alexandra Alexeyevna Pavlenko, una casalinga ucraina. Orfano del padre a soli sette anni, ebbe un’infanzia difficile e ribelle; all’età di tredici anni, si trasferí a Mosca con la madre e le sorelle. Studiò al ginnasio fino al 1908, quando si dedicò all’attività rivoluzionaria. Aderì al Partito Operaio Socialdemocratico Russo e venne per tre volte arrestato e poi rilasciato dalla polizia zarista. Il poeta racconta del terzo arresto nel saggio autobiografico Ja sam (Io da solo). In carcere cominciò anche a scrivere poesie su un quaderno che andò perduto.

Nel 1911 si iscrisse all’Accademia di Pittura, Scultura e Architettura di Mosca dove incontrò David Burljuk, che, entusiasmatosi per i suoi versi, gli propose 50 copechi al giorno per scrivere. Nel maggio del 1913 fu pubblicata la sua prima raccolta di poesie Ja! (Io!) in trecento copie litografate. Tra il 2 e il 4 dicembre l’omonima opera teatrale, dove Majakovskij lanciava la famosa equazione “futurismo=rivoluzione”, fu rappresentata in un piccolo teatro di Pietroburgo.

Aderì al cubofuturismo russo, firmando nel 1912 insieme ad altri artisti (Burljuk, Kamenskij, Kručёnych, Chlebnikov) il manifesto Schiaffo al gusto del pubblico «dove veniva dichiarato il più completo distacco dalle formule poetiche del passato, la volontà di una rivoluzione lessicale e sintattica, l’assoluta libertà nell’uso dei caratteri tipografici, formati, carte da stampa, impaginazioni.» Nel 1915 pubblicò Oblako v stanach (La nuvola in calzoni) e l’anno successivo Flejta-pozvonočnik (Flauto di vertebre). Ben presto mise la sua arte, così ricca di pathos, al servizio della rivoluzione bolscevica, sostenendo la necessità d’una propaganda che attraverso la poesia divenisse espressione immediata della rivoluzione in atto, in quanto capovolgimento dei valori sentimentali ed ideologici del passato. Fin dagli esordi della nuova avanguardia futurista, si batté contro il cosiddetto “vecchiume”, ovvero l’arte e la letteratura del passato, proponendo al contrario testi letterari concepiti con un forte senso finalistico (la poesia non aveva senso per lui senza una finalità precisa ed un pubblico definito), e con rivoluzionarie scelte stilistiche esposte nel suo scritto Come far versi del 1926. Insieme ad altri fondò il giornale Iskusstvo Kommuny, organizzò discussioni e letture di versi nelle fabbriche e nelle officine, al punto che alcuni quartieri operai formarono addirittura gruppi “comunisti-futuristi”. I suoi tentativi, però, trovarono opposizioni e censure da parte prima del regime zarista e poi della dittatura staliniana.

In un primo periodo egli lavorò alla ROSTA, agenzia pubblica delle comunicazioni, e quindi fondò il LEF (Levyi Front Iskusstva, “Fronte di Sinistra delle Arti”) nel 1922 che secondo Majakovskij aveva il compito di «…unificare il fronte per minare il vecchiume, per andare alla conquista di una nuova cultura […] Il Lef agiterà con la nostra arte le masse, attingendo da loro la loro forza organizzativa. Il LEF combatterà per un’arte che sia costruzione della vita.» Nel maggio del 1925 partì alla volta dell’America, che raggiungerà nel luglio dello stesso anno per trattenervisi circa tre mesi annotando versi e impressioni su un taccuino. Tornato in URSS pubblicò 22 poesie del cosiddetto Ciclo americano su alcune riviste e giornali nel periodo compreso tra il dicembre del 1925 e il gennaio 1926 e gli scritti in prosa nel 1926 con il titolo di La mia scoperta dell’America. Da questi scritti l’atteggiamento di Majakovskij nei confronti degli Stati Uniti appare contraddittorio, passa infatti a momenti di entusiasmo e attrazione ad altri di rabbia per le condizioni di semischiavitù degli operai delle fabbriche.

Con il poema, 150.000.000, in cui «i versi sono le parole d’ordine, i comizi, le grida della folla… l’azione è il movimento della folla, l’urto delle classi, la lotta delle idee…», e con il dramma, Mistero buffo Majakovskij descrisse quanto di grande e di comico ci fosse nella rivoluzione. In questa luce vanno considerate le opere di Majakovskij, dai poemi di propaganda proletaria come Bene! e Lenin, alle commedie come La cimice e Il bagno, espressioni critiche del mondo piccolo-borghese e dei problemi della realtà quotidiana. L’ultima opera di Majakovskij, uno dei punti più alti della sua poesia, è il prologo di un poema incompiuto, A piena voce, del 1930, che potrebbe quasi dirsi il suo testamento spirituale.

Sovente Majakovskij è stato considerato per antonomasia il poeta della Rivoluzione: tra le tantissime voci poetiche che la Russia seppe regalare alla cultura mondiale nei primi decenni del Novecento, quella di Majakovskij è stata spesso vista come la più allineata, la più rispondente ai dettami del regime sovietico. Majakovskij decise di interrompere violentemente la sua esistenza, con un colpo di pistola al cuore, il 14 aprile del 1930. I motivi che lo condussero al suicidio, non ancora del tutto chiarito[9], furono «la campagna condotta contro di lui dalla critica di partito, le delusioni politiche e motivi amorosi…» quali la passione per la giovanissima attrice (22 anni) Veronica Polonskaja, sua amante, che rifiutò di divorziare dal marito per sposare il poeta poiché « Veronika capiva perfettamente che accanto a Lili Brik non poteva esserci nessuna esistenza comune tra lei e Majakovskij»

Nella sua lettera di addio scrisse: «A tutti. Se muoio, non incolpate nessuno. E, per favore, niente pettegolezzi. Il defunto non li poteva sopportare. Mamma, sorelle, compagni, perdonatemi. Non è una soluzione (non la consiglio a nessuno), ma io non ho altra scelta. Lilja, amami. Compagno governo, la mia famiglia è Lilja Brik, la mamma, le mie sorelle e Veronika Vitol’dovna Polonskaja. Se farai in modo che abbiano un’esistenza decorosa, ti ringrazio. […] Come si dice, l’incidente è chiuso. La barca dell’amore si è spezzata contro il quotidiano. La vita e io siamo pari. Inutile elencare offese, dolori, torti reciproci. Voi che restate siate felici». Con la sua morte si chiude l’utopia civile di “una generazione che ha dissipato i suoi poeti”

 

La scelta delle poesie di Vladímir Majakovskij  è di Federica Giordano.

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