da Quel che fu senza luce (1987, trad. Einaudi 2001)
Sauf, c’est vrai, que le monde n’a d’images
Que semblables aux fleurs qui trouent la neige
En mars, puis se répandent, toutes parées,
Dans notre rêverie d’un jour de fête,
Et qu’on se penche là, pour emporter
Des brassées de leur joie dans notre vie,
Bientôt les voici mortes, non tant dans l’ombre
De leur coleur fanée que dans nos cœurs.
Ardue est la beauté, presque une énigme,
et toujours à recommencer l’apprentissage
De son vrai sens au flanc du pré en fleurs
Que couvrent par endroits des plaques de neige.
*
Se non che, è vero, il mondo ha solo immagini
simili a fiori che bucano la neve
di marzo, e poi si schiudono, rigogliosi,
nel nostro sognare un giorno di festa.
E non appena ci chiniamo là, a raccogliere
bracciate della loro gioia nella nostra vita,
eccoli subito morire, non tanto nell’ombra
del loro colore appassito ma nei nostri cuori.
Ardua è la bellezza, quasi un enigma,
e sempre da ricominciare è l’apprendistato
del suo vero senso sul pendio sul prato in fiore
coperto qui e là da chiazze di neve.
*
da Inizio e fine della neve (1991, trad. Einaudi 2001)
Oui, à eintendre, oui, à faire mienne
Cette source, le cri de joie, qui bouillonnante
Surgit d’entre les pierres de la vie,
Tôt, et si fort, puis faiblit et s’aveugle.
Mais écrire n’est pas avoir, ce n’est pas être,
Car le tressaillement de la joie n’y est
Qu’une ombre, serait-elle la plus claire,
Dans des mots qui encore se souviennent
De tant et tant des choses que le temps
A durement labourées de ses griffes,
-Et je ne puis donc fair eque te dire
Ce que je ne suis pas, sauf en désir.
Une façon de prendre, qui serait
De cesser d’être soi dans l’acte de prendre,
Une façon de dire, qui ferait
Qu’on ne serait plus seul dans le langage.
Sì, a capire, sì, a fare mia
Questa fonte, il grido di gioia, che ribollendo
Sgorga tra le pietre della vita
Presto, e così forte, poi s’indebolisce e si spegne.
Ma scrivere non è avere, non è essere.
Perché qui il trasalire della gioia non è
Che un’ombra, fosse pure la più chiara,
In parole che ancora si ricordano
Di tante e tante cose che il tempo
Ha duramente lavorato con le grinfie
-E non posso fare altro che dirti
Quel che non sono, salvo in desiderio.
Un modo di prendere, che sarebbe
Cessare di essere sé nell’atto di prendere,
Un modo di dire, a far sì
Di non essere più soli nel linguaggio.
Traduzione di Davide Bracaglia
Yves Bonnefoy (Tours, 1924 – Parigi 2016) è stato uno dei più importanti poeti ed intellettuali di lingua francese del ventesimo secolo (e oltre). Formatosi filosoficamente alla Sorbona e vicino al surrealismo e (poi) all’esistenzialismo, è stato anche traduttore, prosatore, saggista. Destinatario, nel corso della propria esistenza, di innumerevoli riconoscimenti artistici ed accademici, oltre alla scrittura poetica si è dedicato al surrealismo, a Rimbaud, a Shakespeare, a Keats. I suoi lavori sono largamente tradotti in lingua italiana. Tra questi ricordiamo Quel che fu senza luce. Inizio e fine della neve (Torino, Einaudi, 2001), Seguendo un fuoco. Poesie scelte 1953-2001 (Milano, Crocetti, 2003), Il Digamma (Milano, SE, 2015). I testi qui riportati appartengono a Quel che fu senza luce. Inizio e fine della neve. Nel 2010 è uscito, per Mondadori, il Meridiano che raccoglie la sua opera poetica.
La scelta dei testi qui riportati di Yves Bonnefoy è di Emanuele Franceschetti