Nella poesia di Fornaretto Vieri

Fornaretto Vieri

LUCE E DESTINI NELLA POESIA DI FORNARETTO VIERI

SCELTA DEI TESTI E COMMENTO DI ALESSANDRO FO

È appena uscita con Interno poesia una cospicua e notevole silloge di Fornaretto Vieri: Teologia familiare e altre poesie, Latiano (BR), 2019, 154 pp., euro 15. Nel titolo si scorge già una sorta di stemma della poesia di Vieri, i cui temi fondanti sono appunto il ricordo intenerito dei molti doni d’affetto ricevuti in seno alla famiglia e quella ricerca di Dio che sembra configurarsi come un mai appagato desiderio di risalire alle sorgenti ultime di ogni amore e di ogni grazia, l’Archetipo da cui si sono ripetute nella sua vita tutte le inesprimibili meraviglie di cui sono capaci le creature. Quella di Vieri è una prospettiva lirica che corre con impressionante, musicale naturalezza dal privato all’universale, sulle ali di un verso limpido e fastoso (sono soprattutto endecasillabi a dare corpo al «pentagramma/ segreto ch’è nel cuore dei poeti»: Il Lanco,p. 124), impreziosito da scelte lessicali ora eccentriche e ardite («contrade strinate dal rovaio», «gusci barlacci», «fruciandolo/ del crepuscolo») e ora tali da farsi luce esse stesse («l’azzurro, il verde, il libro smeraldino»: p. 26). Come specimen si propongono qui L’ordine delle cose (p. 137), il brano IV della sezione La luce dell’essere, e due poesie dal canzoniere d’amore e delusione Al margine dei sogni: di queste ultime, la XVII è un virtuoso esercizio sul bianco, inteso come colore di un gelido spegnersi in un’irraggiungibilità lasciata in sospeso, mentre la XVIII completa sia tematicamente il quadro, sia grammaticalmente il periodo, facendo di quel trionfo polare il campo di sempre più pallide epifanie destinate a un artico naufragio.

Fornaretto Vieri è un poeta tutto cose anche quando è più metafisico. E i tratti della contingenza, siano essi impalpabili sibili o aromi, transiti d’aria o minuscoli viventi, in quanto prove, o meglio inoppugnabile documento dell’esistenza di Dio, sono tutti degni d’essere amati (direi quasi «adorati») e assunti a oggetto di canto – eccetto la stupida violenza che li lede e li incrina: lo spregio delle creature e dell’amore: il male.

L’ordine delle cose
(2012)

Paleserà ogni cosa sua natura
profonda di miracolo, condotta
al proprio ultimativo intimo vero:
davanti a Te, Signore, splenderanno
come le albe i crepuscoli e le notti
così come le aurore; né più il tempo
sarà, ma solamente la bellezza
delle ore del giorno, e di ogni istante,
il brusio delle api, la carezza
del volo delle pieridi, la danza
d’elitre delle ronze – le splendenti,
le verdidorate cetonie – e il canto
degli uccelli nei cieli,
e i gelsomini della pioggia
e il fischio del vento e il profumo del tuono,
soffi leggeri d’anemoni
e di tromboncini.
E noi tutti bambini e insieme adulti,
noi tutti finalmente fatti puri
dalla tua grazia, dal tuo amore infinito.

 

La luce dell’essere

Il lume della mente, quella luce
che il peccato non basta ad offuscare,
la luce che ci viene da ogni essere,
luce di primavera che trafigge
di tenerezza, luce di prodigi,
la luce delle estati e degli autunni
sui ricami e i broccati delle foglie,
la luce che declina e che risorge,
ali di luce, petali, sorgenti,
luce di broli, luce di radure,
la luce delle notti ai silenziosi,
ai sospesi stupori della luna
per le danze incantate dei conigli,
luce che infiammi le anime d’amore
e voi tutti, messaggeri della luce,
angeli del Signore oltrelucenti,
misericordi, intrepidi, più puri
del più puro e indicibile splendore,
angeli del Signore, nostri tramiti
dell’eccelsa sua luce, del suo amore.

 

Dalla sezione Al margine dei sogni. Rime d’amore 1989-99 XVII e XVIII

XVII

Per scialbi scintillii, sordi riverberi,
cordigliere di ghiacci ardue, scalene,
di diafane falene in lenti vortici,
nella luce del polo, al freddo bianco,
bianche banchise, mugghio di dirupi,
candore di parvenze al tuttobianco,
di non viste balene i soffi cupi
e creste e brocchi del quartiere bianco,
faglie infinite al tempo, ora dei lupi…

 

XVIII

In ghiaccio d’ombre, in cieli di cristallo,
in pallore di nebbie, in freddi transiti,
in spenti grigi, in lampi di metallo,
è ancora più lontana la tua immagine;
la ritrovo ad un tratto, solo un attimo;
poi tutto è gelo e neve: in tutto manchi.

 

L’ordine delle cose

Paleserà ogni cosa sua natura
profonda di miracolo, condotta
al proprio ultimativo intimo vero:
davanti a Te, Signore, splenderanno
come le albe i crepuscoli e le notti
così come le aurore; né  più il tempo
sarà, ma solamente la bellezza
delle ore del giorno, e di ogni istante,
il brusio delle api, la carezza
del volo delle pieridi, la danza
d’elitre delle ronze – le splendenti,
le verdidorate cetonie – e il canto
degli uccelli nei cieli,
e i gelsomini della pioggia
e il fischio del vento e il profumo del tuono,
soffi leggeri d’anemoni
e di tromboncini.
E noi tutti bambini e insieme adulti,
noi tutti finalmente fatti puri
dalla tua grazia, dal tuo amore infinito.

 

Fornaretto Vieri, figlio del giornalista e poeta Agostino Vieri e del soprano lirico Giuliana Fontanelli,  è nato a Firenze nel 1952. Ha pubblicato le raccolte di versi Tartaria (Polistampa, 1999) e L’oltranza del vero (Polistampa, 2003), il saggio Intorno alle Fiale. Incunaboli del protonovecento govoniano (Le Lettere, 2001) e Gli anni della storia. Un’antologia di date da Abramo alla caduta del muro di Berlino (Libri Liberi, 2003). Sue poesie sono comparse su varie riviste  e sono state inserite nelle antologie Nostos. Poeti degli anni Novanta a Firenze (Polistampa, 1997), Poesia del Novecento in Toscana (“Associazione Novecento Poesia”, 2009) e Segni del sacro – arte, poesia, letteratura, filosofia (Università degli Studi Roma Tre e Ministero per i Beni e le Attività Culturali, 2006), nonché in testi per la scuola.

1 pensiero su “Nella poesia di Fornaretto Vieri

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *