CANTO XIV
ALLA LUNA
O graziosa luna, io mi rammento
Che, or volge l’anno, sovra questo colle
Io venia pien d’angoscia a rimirarti:
E tu pendevi allor su quella selva
Siccome or fai, che tutta la rischiari.
Ma nebuloso e tremulo dal pianto
Che mi sorgea sul ciglio, alle mie luci
Il tuo volto apparia, che travagliosa
Era mia vita: ed è, nè cangia stile,
O mia diletta luna. E pur mi giova
La ricordanza, e il noverar l’etate
Del mio dolore. Oh come grato occorre
Nel tempo giovanil, quando ancor lungo
La speme e breve ha la memoria il corso,
Il rimembrar delle passate cose,
Ancor che triste, e che l’affanno duri!
COMMENTO DI LUIGIA SORRENTINO
Molto spesso nelle sue liriche Giacomo Leopardi si rivolge alla luna. Siamo a Recanati, molto probabilmente sul colle dove il poeta scrisse “ L’infinito”, e in questa lirica quello che ci sorprende è la delicatezza del ricordo, un ricordo che il poeta definisce pieno di angoscia. Ma ora Leopardi ha lasciato da parte quell’angoscia giovanile proprio perché la ricorda in una dimensione diversa che fa pensare che l’abbia superata come “ picciol cosa”. Ecco perché in effetti non si può parlare arbitrariamente di “pessimismo leopardiano” poiché spesso le sue liriche sono accompagnate da aggettivi che smussano la visione pessimistica. Proprio in questo idillio Leopardi scrive: “diletta luna”, (luna amata) e questi aggettivi addolciscono la sua condizione umana, stravolta dalla sua figura d’uomo, storpio, gobbo, malaticcio. In questo idillio Giacomo riesce a trovare la bellezza nell’amore della relazione fra lui e la luna, che tanto riempie le notti recanatesi. È come se con il suo sguardo notturno rivolto in alto seduto alla finestra del palazzo dell’ “avita casa paterna”, il poeta provasse un senso di consolazione e di pienezza. Alla luce lunare, femminile, Giacomo rivolge una forma d’amore trasferendola alla naturale bellezza dell’astro.