La poesia, ora, che cos’è?
Sociologicamente, una malattia che resiste alle terapie d’urto dei mass media e dei social networks. Una delicata attività asintotica, che richiederebbe solitudine, e invece è chiassosamente praticata da troppi, pur essendo cosa per pochi. Sarò un reazionario, insensibile al mito della democrazia, ma condivido quel che si dice negl’Inni orfici: “Il numero degli eletti è chiuso”.
Dall’intervista a Nanni Cagnone uscita su Pangea News (16 maggio 2019).
La parabola creativa di Nanni Cagnone (1939), raccolta dal poeta per la prima volta, à rebours dall’oggi alle origini. Cagnone, ligure di Ponente, “di quelli che tramontano”, è stato batterista jazz, giornalista, editore, direttore creativo d’agenzie di pubblicità, consulente per la company image, docente d’estetica e di strategie progettuali. Oltre alle opere poetiche, romanzi (Comuni smarrimenti, Pacific Time), racconti (Cammina mare), saggi e aforismi (Discorde, Dites-moi Monsieur Bovary). Ha tradotto e commentato The Wreck of the Deutschland di G.M. Hopkins, Agamemnon di Eschilo, Perì Phýseos di Parmenide.
Una vita inquieta, avventurosa e infine solitaria, segnata da ricoveri psichiatrici e frequenti vagabondaggi. Una delle più importanti voci fuori scena della poesia italiana contemporanea, affascinante, polimorfica, ritrosa, si offre in un autoritratto per lampeggiamenti da cui la parola prova a risalire, nuda come un suono e, sempre, controcorrente.
***
Specchio di notte,
divinità debole armata.
Che abbia in sé
istinto d’armonia
o saggezza ingegnosa,
lentamente, cullata
in uno strame,
indivisa scurità
dal giorno.
***
Se getti ombre per me,
calme, senza esperienza,
quel che prima
s’è taciuto o scontentato
sopraggiunge, allora,
e ombra è dura sostanza.
Uomini
di delicato ingegno
passano crucciati
per chiusi canali,
quasi non fossero
famiglia d’un fiume.
Quel fiume
abbonda verso il mare
con una fede
alta come granturco.
***
Nel verde nato colore
che conversa con l’ombra,
nei giardini, credendosi
smarrito, o in fioca lunula
al fondo delle dita,
lo stesso vincolo
di quando si guarda
non riamati
un corpo mortale.
Un luogo appartiene
alle domande,
e ognuno nel cammino.
***
Anima del vuoto,
cagionevole.
Bastasse allontanarsi
per veder intere figure,
non avrei queste rovine
nello sguardo, non
questo battito oscuro.
Spinte di qua di là
senza capriccio,
saranno nubi
bambine sempre
quelle che saluto
prima che dissolte.
***
Un niente, un vuoto
di memoria, tolse vento
al fogliame. Briciole
di pane raffermo
caddero indietro.
Talora si stanca
il vero, come la gente
al pensiero
del giorno dopo
del giorno dopo,
sempre a seguire l’orlo
temuto rovinoso.
***
Lenzuolo,
avvolgimento infantile,
poi corredo d’amore
finché meno comodo,
persino funebre,
e sempre furibondo
nel sonno, navigante—
ricordo di tempie
adagiate
a rose damascene.
***
Non può esser patria
un vento, a meno che
non ci voglia altrove
una superiore fedeltà.
Recisi, ad ogni modo,
indotti sempre
a vedere e ricordare.
Cosa che vuol accadere
non chiede consenso,
siamo ogni volta
preceduti, e ci solleva
quel vento, se volete
destino—non insegna,
come cosa improvvisa
non si doma.
Da A ritroso, 2020-1975, di Nanni Cagnone, nottetempo 2020
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Nanni Cagnone (1939), ligure di Ponente, “di quelli che tramontano”, è stato batterista jazz, giornalista, editore, direttore creativo d’agenzie di pubblicità, consulente per la company image, docente d’estetica e di strategie progettuali. Oltre alle opere poetiche, romanzi (Comuni smarrimenti, Pacific Time), racconti (Cammina mare), saggi e aforismi (Discorde, Dites-moi Monsieur Bovary). Ha tradotto e commentato The Wreck of the Deutschland di G.M. Hopkins, Agamemnon di Eschilo, Perì Phýseos di Parmenide.