Nanni Cagnone, “Accoglimento”

Nanni Cagnone

Amor conduce
silenzioso dono,
che per riuscire
dev’essere paziente,
a capo scoperto
inoltrarsi nel tacito
nel folto e venerare
le lacrime,
devotamente figlio
d’ogni almanaccare,
finché non farà notte
su un popolo d’ombre.

**

Quando
s’abbassa il giorno,
si può dirlo ancora tale
o in verità si tratta
d’un esonerante dolore,
non esser piú entro la cosa
ma decano oltreconfine,
in regioni smemorate
o nel rimpianto?

Diversità minima nel cielo
fu sempre turbamento—
ricordo una donna di Tebe
confusa da vicende di nuvole,
smarrito anche il suo nome.

**

Indimenticati
torbidi addii,
quante volte sollievo
e quante mancamento.
Il guscio delle cose
desolato, vuoto,
dice revocabile
il progresso
verso cose ultime,
intendo necessarie.

Férmati
all’intatto sorriso
precedente, nel vuoto
ricambialo, se puoi.

**

Ho riguardato,
non te, bensí la luce
da cui attorniata,
quasi fossi un bosco
una radura
o un albero da solo,
ch’era bosco
prima che gli altri
morissero intorno,
ed ora teme
dedicato un folgore
e innata la pioggia,
sovrabbondante
per una donna sola.

**

Si perde
come un mattino
l’origine,
quel sogno materno
a cui si deve
nostra vestizione.

Mi volgo indietro,
ove s’adombrano
disarmonie, insistenze
e congedi, e si spiega
in quel ch’è mio
volto confuso.

Vorrei sapere
quel che di me si fece
su tortuosa via—
non essermi straniero.

**

Non affrettarti,
aspetta che maturi,
se di frutto si tratta
e non di cosa da sola—
non si giunge facilmente,
è scontrosa la sponda,
la corrente
prende in sua esultanza
ogni cosa, e da qui
puoi veder straniero
anche l’approdo.

Ricordi quei fichi
avanti alla soglia?
Ecco, acerbe parole.

Da : Accoglimento, di Nanni Cagnone, La Finestra Editrice, 2020

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