Poemi naturali
Quando s’apre non si
ripercorre nel sogno suo
insabbiandosi come un folto
di luci già entrato e pronto
alle voci raccolte intorno.
Poi qualcuno certo si spaventa
a vederlo ma lancia una striscia
solida di conservazione
e attende gli uccelli ad ogni
bordo forcaiolo che li dissangua.
Uscire ora sarebbe entrare.
Ho concesso senza perdermi,
parlando piano lungo una parete
che subito mi riassorbiva.
*
Ho letto i miei anni
nell’insinuarsi lento
delle strade. Come un mutante
dagli occhi marini
nel bianco scomporsi
della sacralità. S’è svuotato
di nuovo. Chiunque vorrà
il mistero, e per due notti
intere, è un corpo gettato
alla fame densa dei colori.
*
Mentre passanti tra i vetri
colmi della degradazione,
anch’io più volte in
essi, l’intero discorsivo
giorno nelle relitte a riva
o in largo. Vedete ora
il distacco è
tale vicinanza. Non saprei
essere. Ma se vola
un uccello da una torre
all’altra e in mille. Saprà solo
lo spontaneo meno dell’azzurro.
*
Quest’alito e va bene
che prima appannava
ed ora dissolvendosi
e va bene mi lascia
nudo vedi sono nudo
questo è un pelo per
snidarmi la lingua
che ha per base il cielo
e senti ho rifiutato
quello che gli altri
per ragioni diverse non
hanno mai voluto se
mi guardi e ti cola in
faccia lo sputo ovale
del mare te l’asciugo io.
*
Quando s’appiattirono le
volte nei suoi grigi
luminosi e addirittura
pensavo al ritmo tropicale
di una tempesta.
Nel quieto ritirarsi
delle valli scompariva
ogni traccia d’animali.
Seduto sul rosa
insistente più in pelle
che in sogno, umido
per contemporanea presa
delle foglie. La mia
calcarea impressione
già viaggiava sicura
nel disastro che la possedeva.
*
Una mattina del bosco
un attimo in cui mi
persi in questo modo
mille mondi asserpandomi
si concretizzarono al
mio luogo forgiarono
volti s’unirono in dose
in partizione d’amore
eppure avvenne prima
non so da dove da quale
volontà o ruota si
lanciarono spingendo
dalle preesistenze.
*
L’inverno scorso, passato
L’inverno scorso, passato il primo momento di luci sul campo, adagiati come in una bassa marea di navi o tappeti, i commensali dalle chiare idee sulle scale appena trascorse, come fossero invece che di pietra ferme e bianche e nelle forme splendide, tutto non fu quindi che il ricordo stesso della notte trascorsa, le nubi gonfie di salsedine, e riportare tutto ciò, ancora una volta, alla quiete del giorno.
Da “Oggetto e Circostanza”, Il Labirinto, Roma, 2016
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Gino Scartaghiande
Nato a Cava de’ Tirreni (SA), il 23 maggio 1951. Vive e lavora tra Roma e Salerno. Laureato in Medicina. Ha pubblicato: “Sonetti d’amore per King-Kong”, Cooperativa Scrittori, Roma-Milano, 1977; “Bambù”, Antonio Rotundo Editore, Roma, 1988; “Oggetto e Circostanza”, Il Labirinto, Roma, 2016, Premio Nazionale Frascati Poesia Antonio Seccareccia. Sullo scorcio degli anni settanta è stato tra i collaboratori di “Prato pagano” e tra i fondatori di “Braci” (1980-1984). Intenso il suo sodalizio d’arte e di vita con poeti e artisti operanti a Roma; tra gli altri, oltre a quelli gravitanti attorno alle due riviste sopra citate, è stato legato da profonda amicizia con Elio Pagliarani, Amelia Rosselli, Giovanna Sicari, Paola Febbraro, e, fuori di Roma, con gli artisti e i poeti cosentini di “Inonija”, la rivista ideata da Angelo Fasano. Sue poesie sono state tradotte in francese e spagnolo.